giovedì 24 dicembre 2015

BANCO NATALE

E’ arrivato pure quest’anno, mai come quest’anno con purè di osanna. Contorno di spirito santo di patate, per questo piatto rituale e questo rituale quantomai piatto. Oltretutto con un che di papale e pesantuccio. Come il fiato dello zio infartuato eppure costipato dopo tutti i cenoni alla barcollo ma non mollo, come non potrebbe non essere coll’afflato ecumenico e paraculico di tutte le religioni sul colon e sul collo. Religioni, al plurale: perché da noi nasce il frutto del suo seno gesù, però nel resto del mondo monoteista nascono altri pretesti come frutti di stagione che fuori di senno lo sono anche di più. Tutte religioni della bontà, con tutte le loro buone ragioni di marketing, antecedenti anche se adesso meno efficienti di quelle della Coca Cola che col suo Natale trionfa qua come là… Religioni, oppio dei popoli e scoppio degli oboli a negozianti e mendicanti. Religioni: che sono le solite sette, che alla solita mezzanotte della stagione e della ragione fanno scattare il rimedio anti-magone: il timer di qualche festa per controllare il cucù nella nostra testa. Pioggia, freddo, giornate corte e musi lunghi no, così non va. Periodo troppo cupo. Urge festa da scavarsi nel cuore dell’inverno, per non sentirsi nel buco del culo dell’inferno. Come in effetti siamo, ma pare brutto se lo ammettiamo. Verità fa rima con felicità solo a parole, mica fra le galline festaiole... E che è ‘st’atmofera mesta alla Arthur Schopenahuer? Vai colla mega festa da Fedez il rapper! Luci, suoni, colori e calore e regali a coloro che ami. La tua religione che incoraggia e benedice la libagione, tutte le religioni che riconoscono la sola vera religione con una ragion d’essere, anzi d’avere: il consumo, lo shopping, la Santissima Scontrinità. Prego dio, ma prego accomodarsi alla cassa meglio di così. Dal cattolicelismo all’islam all’ebraismo: festoni che sono suggestioni anche per l’ateismo, superstizioni per il solstizio d’inverno col clima ostico: che infatti stanno bene anche all’agnostico. La neve scende giù coll’umore, tiriamoci su colla saga mentale dell’amore. Fintamente fraterno, ché gli altri per noi sono sempre l’inferno. Ma volete mettere Sartre, colla bellezza di ‘sto cimitero panoramico di sepolcri imbiancati da neve finta che nemmeno a Montmartre? Questo si pensa e ci sta bene, ma non sta bene dircelo. Quindi ipocrisia come se piovesse, anzi, nevicasse. Quindi avanti colle feste, avanzi di cena e di pena fino all’Epifania.
Ennesimo Natale di crisi, ma primo Natale di CrisIs. Un Natale come lo scemo: di guerra; un Natale più o meno di guerra, ma scemo e farlocco come tutti quelli che il padre del neonato se esistesse, come se anche esistesse non avesse di meglio da fare… ha mandato in Terra. Scemitudine e guerra come libidine, due concetti che ricorreranno spesso in questo Papaluto da Papà Natale. La scemitudine chiama la guerra, ma chi ama la guerra non ama la scemitudine: e la guerra per conto suo la fa fare agli scemi, mentre persegue i suoi schemi finanziari.
Tipo il geniale Hassanal Bolkian. Come, chi cazz’è? Lo scemo del giorno, che infatti fa la guerra; lo scemo del giorno di Natale, che infatti fa la guerra al giorno medesimo. A parte questi fondamentali titoli onorifici, il signore è anche sultano del Brunei. Cioè della solita petrocrazia islamica a minchia retta dalle nostre democrazie strabiche a benzina, in cui festeggiare il Natale sarà proibito per legge e vaneggiamento del suo cervello scorreggiante a nafta bigotta. Fino a 5 anni di carcere per chi nel Brunei festeggia il Natale: se fai l’albero, ti facciamo un culo come la capanna del presepe. Intendiamoci. L’idea non è male, in fondo anche equa: che sono cinque anni di carcere per il Natale in Brunei, rispetto alla galera cinepanettona di trenta e passa che ci tocca col Natale in Italia ma sempre da qualche parte con De Sica?! Fino a quando lo fanno comandare, Bolkian a casa sua fa come gli pare. Il problema è che lui fa come gli pare all’estero, mentre a casa sua devono obbedire. Perché il sultanato è nel Brunei, ma il sultano non ci conterei. Hassanal colla Total incassa, ma col Total Burqa delle sue femmine si scassa: infatti lui le feste se la fa a Londra. Cioè in una città talmente natalizia che Babbo Natale al confronto sembra il Grinch che presiede una riunione del Cicap. Champagne per Bolkian, sharia per i suoi sudditi. Fare contento l’imam islamista ossesso sì, essere scontento e fesso lui, no. Gli piace fingere facile, ecco. Più comoda di così, la guerra santa non può essere. Soldi a manetta dall’occidente che importa, solide manette se l’occidente si importa: e lì m’incazzo, lì m’importa… Perfetto spirito natalizio, diciamo. Ipocrisia canaglia, uguale e contraria a chi da noi raglia all’incirca allo stesso modo.
Tipo Matteo Salvini, che in questi giorni ha trasformato la classica tritatura di palle delle recite di Natale in una bellica e trita pantomima di balle sulla terza guerra mondiale. Più bello e più bellico, il presepe coll’elmetto e il filo spinato alla fin fine siamo sempre in medioriente, e lì ci si va armati: ma mica solo di buone intenzioni. Salvini il leghista presepista che manco un napoletano, Salvini apripista di nuova tendenza anche in casa Cupiello. Il presepe bellicista, animalista, feticista delle perversioni zoofile. Del presepio facciamo un carnaio, un canaio, un porcile e uno scempio. Tutto grazie a lui, l’asino che si dà alla politica internazionale, il bue che dà del cornuto all’asino internazionale Renzi, il dromedario quasi più gobbo del colpo che gli è riuscito nel far sembrare la Lega il partito di chi si fotte la Corna e i diamanti nel partito che si batte per la pulizia morale e per i credenti. L’uomo-bestialità che facendo il Re Mago della Fuffa propagandista e della Truffa razzista nel presepe della scuola del figlio ha dato un messaggio chiaro: se posso essere tutte ‘ste bestie insieme, noi della Lega non dobbiamo porci (e cani) limiti. Da partito dell’incidente giudiziario a partito dell’Occidente reazionario e avanti colle belle statuine del presepio, colle brutte pose suine che fanno pieni voti da Brescia a Manerbio.    
E noi del Papaluto che siamo, da meno? Meno porci e cani e minorati del cazzaro maggiorato Salvini? Se il presepe dev’essere un simbolo, uno status di stato confusionale da embolo noi mica ci tiriamo indietro. Al massimo ci tiriamo dietro un po’ di ricordi. E quindi più che vivente e di propaganda, noi il presepe lo facciamo meno demente: e con qualche appunto in agenda. Magari in una di quelle che regalano le banche in questo periodo, mentre ti relegano allo spizio della Caritas. Mica per niente il nostro presepe ha per titolo (scontato e spazzatura, anche, ma mai quanto quello obbligazionario di certe banche ladre di natura…)  Banco Natale. In onore di Banca Etruria, ma anche per lo scandalo bancario-leghista Credieuronord alla (cattiva) memoria…
E chi ci mettiamo, dentro la scena della natività? Tutti quelli che vorrebbero starne fuori, perché questa è una scena se non del crimine certo della complicità. Della passività, della connivenza, quantomeno dell’indifferenza: verso chi derubato dalla sua banca s’ammazza mentre tuo padre locupletato dalla medesima nella crisi ci sguazza. Tutti quelli che non vorrebbero essere messi in mezzo, che del presepe più che altro gl’interessa la mangiatoia, che con ogni mezzo vorrebbero passare per verginelle quando sono figli di troia. E allora, prego e preghiamo si accomodi Maria (Elena) vergine mica tanto dal servo encomio, protettrice degli uccelli paduli di Boschi e di Riviera nonché della Maremma Bancaria. Che nel reparto santa maternità (e cotanta paternità…) del presepe ci sta benissimo perché l’ha fatto da piccola, che modestamente è ancora illibata come allora perché lei dà solo inculate della madonna che interpreta e della malora, che oltretutto ha umili origini contadine: anche se da come ha messo a quattro zampe i risparmiatori truffati, si pensava pecorine. Accanto a lei suo marito putativo e sputtanativo del Paese, che di banche non sa e con lei ci fa una sega: il falegname Giuseppe Renzie, col chiodo di pelle fisso di farti la pelle eppoi fesso dicendoti che lui il decreto salvabanche mica l’ha fatto per proteggere papà Boschi o se stesso. Anche se il decreto che convertiva e spolpava le popolari in Spa l’ha fatto undici mesi fa, lui di ‘sto casino se n’è accorto adesso. All’improvviso. Un’illuminazione, una rivelazione, anzi un’epifania: epifania? Avanti allora e all’oro (sparito dalla cassa) e incenso (sparato dalla grancassa dei giornali) a tutta birra, arriva il Re Mangio Denis Verdini. Il terzo toscano, il freddo che completa la banda della Maiala. L’uomo dell’aiutino al governo Renzi, dello zampino nel crac Mps, del Credito Cooperativo Fiorentino sotto terra con lui sotto processo. Fallito pure quello, guardate un po’. E guardante anche un po’ il nostro presepre che prende forma, fra risparmi e risparmiatori che prendono il volo dalla finestra. Ancora fermi a Gesù, Giuseppe e Maria? Aggiornatevi: Denis er più, Giuseppe Fonzie e Maria. Li chiamavano Trinità, voi chiamateli calamità: prima di loro in Toscana non era mai fallita una banca…
Solo coincidenze, eh. Al massimo un po’ di connivenze, ma roba piccola: gozzovigliare gozzanesco, intimo, famigliare… E comunque non hanno fatto o imparato tutto da soli. Hanno avuto un venerabile Maestro, che proprio in questi giorni è morto non invano: lasciando questo adorabile contesto. Licio Gelli è morto e sepolto, solidarietà ai vermi che dovranno mangiarsi una merda così. Gelli è morto, ma non sepolto. Solo coperto, male, dalla cattiva coscienza delle sue ex cameriere che gli devono fantastiche carriere. Gellì è morto:  fra tanti, stranamente, non ne danno il triste annuncio Silvio B, Maurizio Costanzo, e Fabrizio Cicchì. Tutti personaggi che ci starebbero bene, nel presepe. E che infatti Nazareno più o Domenica In meno ancora ci stanno. E’ morto Gelli, ma mica i suoi anni belli: la P2 va avanti, dei successi si fanno sempre i sequel. Con Verdini e simili siamo già a P3 e P4, e senza manco la P38. A che ti serve la pistola, quando sei al già al comando di tutto quanto fa gola? Le banche, la Rai, anche la magistratura che senza Berlusconi non fa più tanto la dura capirai, dopo la clava di di Napolitano per quel popò di cura… Il Piano di Rinascita Democratica di Mastro Licio questo prevedeva: tenere tutti a libro mastro, tutto il Palazzo nel suo capestro. Una dittaura sordida, ma morbida. Uno Stato Licio al dovere. Istituzioni, giornali, capitani d’industria e generali dell’esercito. Lo Stato d’allora aveva reagito e Gelli aveva fallito: lo stato pietoso e fallito d’oggi, Gelli lo avrebbe seguito. Mica per niente, mentre lui è marcio in una tomba, la sua idea marcia che è un bomba. Stesso Piano, stesso Palazzo: in una piazza Italia in cui però dormono tutti. Dal golpe borghese siamo passati al colpo di sonno palese di tutto il paese, che stanco e sfiduciato ha solo voglia di abboccare come un tonno grosso così, di abbioccare con un sonno lungo così. Solo voglia di darsi, per amo o per forza, a quella lenza di Renzi: il piccolo fanfaniano Fiorentino, che nel matrimonio politico colla Boschi porta in dote e in auge il masson-cattolicesimo aretino. Testimone, anzi, giudice di nozze ad Arezzo, il procuratore Roberto Rossi. Il pm che avrebbe dovuto indagare sui sotterfugi bancari fatto consulente casualmente, lungimirantemente di Palazzo Chigi coi pretesti più vari. Così si fa: sì la do, la solfa con cui la bella tipa Italia ti molla la topa senza menarla coi tempi da Minima Moralia… Adesso lo chiamano partito della Nazione, ma a Licio potrebbero almeno riconoscere che è partito per primo: concedere il brevetto dell’invenzione…
Un bel quadro e un bel quadriglione, certo. La danza del potere che t’arreda tutta la casa per le feste. Il bue e l’asinello Salvini, la pecorina deigli obbligazionisti derubati dei quattrini, la mucca e il suo vitello, maria e… cazzo, il bambinello! Momenti ce lo scordavamo. Fortuna che c’ha pensato Bertone. Al Bambin Gesù, e anche a tutti gli altri bambini che non ci sono più: morti di malattia, mentre lui coi soldi del loro ospedale ci si faceva un attico che manco un boss di Scampia. Del resto, o di campane o di Campania, alla fine sono sempre don che per dindi fanno dan… Quadri tappeti e dipinti per il soggiorno del cardinale, mentre mio figlio soffre in un corridoio d’ospedale. Il bambino al centro di una rappresentazione dell’infamità, più che della natività. Altroché paura dei pazzi dell’Isis: forse è per pura repulsione di questi pezzi di merda e di collezione De Pisis, se all’apertura della porta santa c’era meno gente che alla chiusura di un concerto di Valerio Scanu…
Altroché Natale di Crisis, natali di una crisi. Morale e materiale, senza fine: e col solo scopo di lucrare sulla paura; morale e umorale, senza senso pietà e decenza. Al punto che il ministro danese Inger Stojberg ha potuto impunemente proporre ai profughi di pagare anche con gioielli e averi di famiglia la loro accoglienza nel suo paese: per rilanciare l’ideona delle camere a gas, la simpatica signora aspetta l’invito nella stanza degli orrori e delle arie di Del Debbio… Nell’attesa di Retequattro, signora ministro, si becchi quattro svastiche piene sul nostro Nazi-advisor. E si accomodi pure nel presepe precomatoso e malvivente con Salvini. E con i nostri complimenti e auguri.

Auguri di buon Natale di scemi di guerra fra poveri. Poveri di soldi contro poveri di solidi principi e di qualche minimo scrupolo. Da progressisti, noi del Papaluto vorremmo che la storia fosse una linea retta: ma ci sembra sempre più un cerchio, un circolo vizioso che retta ne dà solo al peggio dentro di noi. Siamo senza pietà, ma in compenso ne facciamo tantissima agli altri, e mai a noi stessi. Non ci facciamo problemi, a non farci pietà: a disfarci della poca umanità che abbiamo. Ogni volta che è successo, siamo finiti preda di qualche ossesso coi baffetti o i baffoni osannato da sanguinari coglioni. Qui dal Papaluto noi speriamo bene, e spariamo cazzate mica tanto. L’Occidente laico e aperto e tollerante sta chiudendo di nuovo la testa e le frontiere: l’ultimo che fanno entrare spenga la luce. Anzi no, col buio da pestaggi che c’è meglio ne accenda una. Persino di Natale: purché di speranza, perché la disperanza non vinca. E l’arroganza oscurantista non trionfi, come ci sembra farà. Tanti auguri a voi, e a noi, di buone feste. E di cattivo pronostico.     


giovedì 19 novembre 2015

DAESH NON LAVA PIU' BIANCO

I tagliagole non possono e non devono vincere, ma i baciapile non possono e non ci devono convincere. Gli oscurantisti islamici non si sconfiggono cogli oscurantisti anti-islamici: agl’integralisti non si risponde coi razzisti, a chi vuole imporre la legge coranica non si ribatte proponendo la legge marziale. Le nostre armi non bastano, ma già solo smettere di venderle a chi le usa contro di noi sarebbe qualcosa. L’ingiustizia per l’Occidente è come la dialettica per Trockij: possiamo non occuparci di lei, ma poi lei si occupa di noi. Magari un venerdì sera a teatro o allo stadio, a Parigi come ad Hannover.

E con questo il Papaluto sui tragici fatti che sapete   e che purtroppo in futuro si sapranno ancora, ostinandosi a non guardare ai propri torti pur di vedere solo le nostre ragioni potrebbe concludersi qui. Ma poi ci toccherebbe beccarci e quindi incazzarci per: i si Salvini chi può padani, i Rondolini falliti e fetenti dalemiani, il blob fumettistico di Sob Gasp Gasparri e Gulp, i pitipim e pitipam per il rock del Bataclan ci vuole un esorcismo alla Pape Satan dei vari Ferrara in versione Alex Drastico-Padre Amorth-prete di Dirty Dancing. Un’arena di proposte pelose, e non solo per la barba. Un ring affollato e un ringhio continuo i nostri parassiti contro i loro salafiti, i nostri bomber saccenti contro i loro bombaroli ignoranti. La gara a chi la spara non solo più grossa: ma anche più infame e più in fretta. Bombardiamo tutti, chiudiamo tutto, Emergency è un’organizzazione filo-islamista mentre la Deficiency di chi a sangue ancora caldo twitta sciacallaggio bello fresco è alto pensiero umanista. Un cartone fin troppo animato da secondi fini e terze o quarte categorie di pensiero pelosissimo-demagogico. Ovverosia il continuo dibattito politico-culturale fra chi non capisce o per interesse finge di non capirci un’h24. Beh, allora. Se l’alternativa a tutte le ore e le Oriane è la televisione urlatoria o un libro della  fallacissima Fallaci obbligatoria, noi continuiamo così. Facciamoci del male, con questo Papaluto, ma facciamoci un po’ di strada in questo mare di cazzate.

Ipocrisia e cazzate, a essere precisi. Ipocrisia isteria e cazzate, a essere precisi nonché ottusi. Ipocrisia prima, isteria dopo, cazzate prima durante e dopo ogni attacco terroristico. Siamo in guerra! Ci attaccano! Bastardi islamici! Accorgersene sempre troppo tardi, essere sempre troppo tardi per accorgersene in tempo. Accorgersi di cosa? Di una serie di cose fondamentali più che fondamentaliste, quelle che una pessima memoria e una coscienza anche peggio tende a farci ignorare o dimenticare.

Primo. La sicurezza è un diritto, la sicurezza sicura e obbligatoria no: è solo un ridondante dovere della propaganda politica più fetente e immonda. Proteggere tutto da tutti è impossibile vero per quanto orribile. Come ben sanno in Israele e Palestina (uno dei tanti posti del nostro pianeta e dei tanti costi del nostro benessere di cui ce ne fottiamo: ma ci arriveremo…), contro chi è disposto a uccidersi pur di ucciderti non c’è difesa efficace o duratura prima o poi l’attentatore suicida riesce. Ci sarà sempre un pazzo che convince un emarginato o un esaltato a farsi saltare per aria: a non campare fantasie per aria per cercare di campare e basta dobbiamo essere noi. La pazzia non la puoi prevenire o combattere, l’emarginazione o la disperazione sì. E qui arriviamo al secondo punto.

Le organizzazioni terroristiche saranno di pazzi da legare, ma mica di scemi che non sanno delegare: al momento opportuno, uno al posto loro che si fa saltare in un posto dei nostri lo trovano. Uno che ci odia, anche e soprattutto perché in uno di questi nostri posti ci è cresciuto. Magari da povero disperato e abituato alla violenza nelle periferie, magari da ricco viziato e arrapato dalla violenza jihadista come alternativa alle sue vuote fighetterie. Parigi è stata colpita da belgi e parigini, mica da marziani siriani o maghrebini. Non è un fatto isolato: è un virus, che va isolato. Quello dell’esclusione, del vuoto, dell’indifferenza che ammala la nostra società: e che poi ferisce a morte le nostre città. Per una volta però si tratta di colpire l’anello più forte e non più debole della catena. Se è vero che bisogna fare la guerra, bisogna farla prima ai pazzi che comandano eppoi ai disperati che eseguono. Togliere le truppe ai reclutatori d’odio, mettere a stecchetto le trippe di finanziatori e organizzatori che se la passano liscia come l’olio. Perché spesso sono nostri affezionati soci, compari, fornitori e compratori.

Ed ecco il punto tre, che poi è anche il punto tres douloureux. La necessità della guerra santa è una cazzata: la sacrosanta necessità è una guerra alla guerra come sistema di sviluppo economico. Eh sì ragazzi, perché non è che noi e adesso siamo in guerra. Noi siamo in guerra da sempre e ovunque, in qualche parte del mondo. Per prenderci il petrolio, per dargli le nostre armi, per predicare la virtù della democrazia esportata mentre pratichiamo qualche forma di schiavitù legalizzata. Profitto a ogni costo, specie se altrui; conflitto in ogni posto, trasformando interi paesi in cessi sanguinosi e bui. Begli affari con penosi affari fantoccio spacciati per governi, petrolio e gas in cambio di pietre e odio, l’ennesima scorpacciata a costo dell’ennesima Intifada, tanti soldi restando tanto sordi ai bambini soldato. Anche e soprattutto questo è l’Occidente, oggi nel mondo. Ma quale culla: tomba di democrazia, libertà, diritti. Se i primi a svendere i nostri valori in blocco siamo noi, perché gli altri dovrebbero comprarsi ‘sto pacco completo? Sin dai tempi dei Bush-Bin Laden nemici-amici, di George e Osama che si fanno vedere i sorci verdi dopo essere stati soci in verdoni, mantenere lo stato di guerra oggi è per noi mantenere uno stato di supremazia e benessere. O abbiamo il coraggio di cambiare sistema con un minimo di razionalità, o avremo sempre paura di chi ci odia con più di qualche ragione, in verità: e con seguaci che possono diventare legione, con o senza il pretesto di Allah.

Ci odiano? Ma come, ma perché, ma percome? Belle domande, specie se poste da belle e Belpietre faccine di merda. Il Direttore Odiatorale di Libero la risposta ce l’ha nel titolo del suo giornaletto porno-soft da odio duro: per la nostra libertà, ecco perché. Il dramma è che ha ragione, il dramma doppio è che per quelli del suo coté il concetto è vago e triste come un doppio senso da cabaret. Per questi Stuart Mill taroccati in Cina, la libertà dev’essere come la nostalgia per Al Bano e Romina: canaglia. Libertà è fottersene, per loro. E’ sbattersene di tutti appena fuori della mia porta, e magari sparare a tutti quelli che la superano senza permesso; libertà è non pagare le tasse ma lamentarsi se la polizia non protegge un onesto cittadino come me; è campare da ladri alle spalle degli altri facendola franca, è sparare a un ladro alle spalle pretendendo la medaglia e l’applauso della plebaglia; libertà è invocare legge e ordine per gli altri; libertà è fottersene del mondo, ma frignare quando poi il mondo viene a fotterti. Insomma, poveri loro e poveri tutti noi, libertà per questi signori è tutto quello che la libertà non è. Legge del taglione, dell’indifferenza verso l’universo, del coglione stai zitto se sei povero o diverso. La libertà per cui gl’integralisti ci odiano è quella che noi stessi stiamo imparando a odiare. La libertà come partecipazione, ad esempio: proprio come diceva Gaber, e come dobbiamo ricordarci noi ogni giorno. Libertà è condivisione, curiosità, interesse per l’altro. Libertà non è solo prendersi quella di chiudere il mondo fuori colla tv accesa; è accendere l’interesse per il mondo, anche se dal tuo 60 pollici t’infila un indice in un occhio. Guardando anche quello che non ci piace. Avessimo fatto così, oggi sapremmo o non potremmo ignorare di quanto sangue ancora fresco gronda il nostro cantuccio bello caldo. Quante vite innocenti e quante morti sconvolgenti causa il terrorismo nel mondo, trovando killer e follower per colpa delle ingiustizie e della barbarie che l’Occidente appoggia o finge di non vedere per calcolo. Un vaso di pandora scoperchiato con ogni barile di petrolio. Le stesse vite, le stesse morti, la stessa ingiustizia e la stessa barbarie che stiamo piangendo noi oggi, in fondo; solo inferiori, e sono inferiori: perché non sono nostre, perché sono lontane, perché in fondo sono uguali ma più che altro sono in fondo, e basta. Sei in culo al mondo? E allora in culo restaci, mondo. L’erba del vicino è sempre più verde, anche quella del cimitero. Un bar a Beirut, un volo russo sul Sinai, una scuola in Nigeria roba lontana, che mica vale un teatro di Parigi o i grattacieli di New York! E che mo’ davvero una schifezza di bambino africano mangiato dalle mosche o siriano affogato dagli scafisti, per i suoi genitori è importante quanto per me il mio Luigi o Hans o Stephane o Peter? Ma che scherziamo?

Eccole, l’ipocrisia e l’isteria. Reagire da matti a un mondo di pazzi che abbiamo finto d’ignorare: perché ci fa comodo. Eccolo, il razzismo strisciante. Il complesso di superiorità ributtante. Pretendere di fare impunemente quello che poi non vuoi subire. Come ti permetti di farmi la guerra, solo perché te la faccio da sempre? E se tu me la fai, io dovrò fartela doppia dando pure una bella botta al fatturato delle armi, che modestamente io vendo anche a te… Se proprio devi ammazzarmi, fallo almeno colla mia merce. Affarista fino alla morte la tua o la mia, se poi ci si guadagna, chissenefotte.

Ecco, fin quando l’unica libertà che difendiamo è quella del liberismo cannibale travestito da carità cristiana in forma di crociata, non abbiamo speranze. A lottare per un dio guerriero o per il dio denaro non si va in paradiso solo al cimitero. La guerra che bisogna fare non la vinci solo colle operazioni di polizia internazionale ne serve una di pulizia nazionale, collettiva, mondiale, morale. Che ridia dignità alle persone, alla vita, alle parole. Bene Libertà Uguaglianza e Fratellanza cantate dallo stadio in coro, ma questi valori devono tornare ad essere nel nostro vissuto e nel nostro decoro. Nelle nostre coscienze, non nei nostri account. Hai voglia che posti, twitti e ritwitti bandierine e faccine e lacrimucce e candeline serve una sofferenza vera, vissuta e non affettata o twittata. Serve quella che ti dà il coraggio di cambiare le cose. A partire da noi, perché il nemico non è alle porte è dentro la porta di casa. E’ fra noi, molto spesso siamo noi. Che, a parte la nostra, non rispettiamo la vita di nessuno. Che siamo disposti a uccidere qualcuno per farne lucido da scarpe o da trimestrale di cassa. A dimostrarcelo c’è la vita di tutti i giorni, che va avanti: e molto spesso a fondo. Quando dopo tutto quello che è successo a un derby Toro-Juve fra pulcini (pulcini, cazzo!) due genitori vengono pestati da altri genitori al grido di sporca negra torna al tuo paese, che resta da dire? Simpatici amici dell’Is, se volete distruggere la nostra civiltà fate presto, che qua non ne resta molta… Nessuno può farti diventare un mostro, se il mostro non ce l’hai già dentro. Smettiamo di essere quello che noi stessi dovremmo odiare, torniamo a essere davvero quello per cui tutti i sanguinari e i fanatici del mondo hanno ragione d’odiarci. Aperti, colti, laici, tolleranti, gioiosi, liberi e rispettosi della vita umana di ciascuna vita umana. Liberi, uguali, fratelli.

Nessuno potrà imporci di cambiare, ma noi stessi dobbiamo proporci di farlo. Combattendo la cultura della morte: non lasciando morire la nostra quella vera, però. La cultura dell’umanesimo che ci fa fatto grandi, non del liberismo al 100% e del cattolicesimo all’8 per mille che ci ha fatto grandi cinici e scettici. La cultura della pace, del confronto, della contaminazione anziché della distruzione. Fermi e forti nel braccio, ma anche nel pensiero. Ma quale rabbia, quale orgoglio; qui o riscopriamo che pensare e confrontarsi è una gioia o sarà sempre e solo cordoglio. Lasciamo le nostre radici ai seminatori d’odio e ai coltivatori d’interessi inconfessati, cogliamo i frutti dei pensatori più illuminati. Averroè, Voltaire, Kant, Tolstoj, Hikmet, Pamuk: dalla merda rabbiorgogliosa fiori così non sono mai nati. Pace, umanità, giustizia morale e materiale il nostro vero arsenale, quello per vincere la battaglia delle idee. E senza cui la guerra sul campo non la vinci mai. Ovvio. Al punto che persino Renzi per una volta rinunciando a fare il figo facendola facile sulla guerra ha ammesso che il terrorismo non lo sconfiggi solo costruendo biblioteche, ma che anche quello aiuta. E ancor più aiuterebbe non solo costruirle all’estero: anche non disertarle da noi, o non riempirle solo di libri dell’amico suo Baricco e simili o peggiori. Perché a forza di andare appresso al titolo più venduto, quelli più venduti e senza titolo per opporsi o parlare saranno i nostri presunti intellettuali. Altroché scontro, scontrino di civiltà…

Insomma, riscoprirci in gioco a costo di scoprirci un poco. Di mettere sul piatto un po’ delle nostre finte sicurezze, del nostro precario benessere personale pagato dal malessere mondiale. Cambiare in meglio per non farci cambiare in peggio. Scelta con qualche rischio, ma sempre meglio del Risiko proposto dagli strateghi strafatti sempre in onda e in auge. Politicanti, demagoghi, baccanti. Cantagiro di geopolitici pazzi che disegnano cartine che farebbero meglio a fumarsi; che fanno libri, voti e figura discettando sempre e tacendo mai. Quelli che ti riprendono per essere ripresi meglio in camera o sui giornali. I meglio amici dei meglio fichi della Cia, che adesso l’Is o Isis lo chiamano Daesh. Perché è meno offensivo per i musulmani, mi raccomando. Ecco, tutto a posto adesso! Mica le bombe o le stragi o l’indifferenza, il problema lì era il nome. C’è intoppo che il marketing non possa risolvere?! Con questi abbiamo a che fare. Gente non solo noiosa da ascoltare: anche untuosa, presuntuosa, pericolosa. Che nasconde la polvere della propria malafede sotto lo zerbino dei potenti che servono di mestiere. Ecco, non facciamo come loro. Pensiamo con la nostra testa, visto che rischiamo col nostro culo. Confrontiamoci colla nostra coscienza sporca e non crediamo agli slogan da Bar Spot. Perché hai voglia di bombe per non occuparsene: prima o poi l’ingiustizia si occupa di noi. Perché anche a cambiargli il nome e i connotati Daesh non lava più bianco.                  






giovedì 8 ottobre 2015

POMPE FUNEBRI

La Riforma Istituzionale fatta con mostri d’intelligenza alla puttanesca tali, che si fa prima a chiamarla Deforma Prostituzionale. Un taglio delle tasse che forse ti viene un infarto dalla gioia: peccato che i tagli agli esami medici per pagarlo non consentiranno di accertarsene. Inquisiti e miracolati che dettano ed edittano la linea bulgara persino al Renzianissimo Tg3 (la Linea Notte di Mannoni oramai è talmente al servizietto del governo che manca solo una gomma che brucia in studio, per diventare ufficialmente Linea Mignotte…). Il bavaglio alle intercettazioni sulla stampa, però piccolo: un bavaglino, nel senso che chi vorrà informare sulle inchieste e gli scandali dovrà prendersi la pappetta pronta dal Governo di Sua Rencellenza, oppure cazzi amari tipo olio di ricino. La star politico-giudiziaria toscollywoodiana Verdini che fa Bob DeLiro in Taxi Buyer: Sono solo un tassista che porta da Berlusconi a Renzi. Sì, l’unico tassista al mondo che però i clienti se li compra, con cui sgancia anziché incassare. E facendo finta di far incazzare Silvio, oltretutto. No perché alla stronzata che il Nazareno è morto ci si può credere giusto il venerdì santo: ma per loro fortuna l’Italia non è più solo il paese del Carnevale tutto l’anno, adesso è anche quello della Pasqua destagionalizzata e perenne. Nonché delle simpaticissime pasquinate alla Lucione Barani, eroico Verdinian-Craxiano che per aver chiesto un pompino in aula si becca solo 5 giornate di squalifica pronto e schierabile da mister Renzi per il prossimo turno di Inciucions League, insomma…

Piccolo riepilogo di una democrazia piccola piccola e all’epilogo. Una democrazia da una botta e via, la nostra; un fotti in fretta e furia, un trasformismo da McDonald, un Crispi McBacon cucinato dal Renzi Trasformer. Una (poco) democrazia cristiana ed eterna, da sembrare indù: perché si reincarna sempre collo stesso spirito, anche se in corpi diversi. Per l’esattezza corpi sciolti (come cantava il Benigni che aveva qualcosa da dire a parte i canti di Dante, oltretutto decantati come fossero di suo pugno e non una sua pugnetta interpretativa da occhiaie...). Merde umane. Una metempsicosi che sta diventando una minchia di psicosi, per noi del Papaluto. Una democrazia da buttare e da buttane, le cui esequie non sono certo state celebrate colla pompa funebre del già leggendario Barani from Aulla in aula, però. Magari. Anche coll’aiuto delle opposizioni troppo arroganti divise e inconsistenti, la tumulazione è avvenuta da mo’. Ed è partita da molto. Crispi, De Pretis, Giolitti, Fanfani, Andreotti… (Quasi) non penali, ma i precedenti ci sono. Questa finta sinistra renziana che va davvero a destra per restare sempiternamente al centro dell’intrigo come dello spettro politico e trasfromistico, viene da lontano e lo sappiamo; se l’Italia può andarci ancora molto lontano, questo no.

Le certezze che abbiamo sono altre, cioè le carezze che Silvio, Sergio e altre belle personcine stanno avendo da ‘sto Little Tony Blair senza ciuffo elvisiano ma colle frange verdiniane da tutte le parti. Renzi sta facendo cose che Berlusconi poteva solo sognare: per se stesso, sotto il suo stesso governo! E non parliamo dei milioni regalati alla Fiat cogli sgravi per schiavizzare gli operai a Melfi, dove si fanno turni che in confronto a raccogliere pomodori per i caporali ti riposi all’aria aperta. Non parliamo neanche dell’entusiamo popolare suscitato dal fatto che si toglie la tassa al ricco sul villone tagliando la tac al vecchio colla pensione. E neppure di un governo che va avanti (a destra) a botta di mance, mancette e manchettes di marketing da ottanta euro o da quattro soldi. Basta, con ‘sta roba. Dalla farsa del Jobs Act alla falsa abolizione delle province dei clamorosi bidoni hanno ottenuto ancor più clamorosi applausoni la maggioranza vince, anche se la minoranza evince e dice che sono tutte cazzate. Noi vogliamo parlare delle cose veramente fondamentali, cioè di quanto in apparenza è più superfluo del pelo di Luxuria coll’estetista in ferie. Di libri, parole, letteratura, carta imbrattata. Della sistematica distruzione della cultura, quindi dell’etica; quindi della politica; quindi della società, del paese, del futuro. Del perché tutto ciò stia accadendo nel più assoluto silenzio, a parte i cinguettii e i latrati della solita cagnara propagandista su Twitter.

Per fare chiarezza sul Ducismo culturale in corso, ma senza fare amarezza da reducismo stronzo, dobbiamo premettere che noi del Papaluto siamo gente orrenda. Personacce terrificanti e filoterroriste (c’hanno detto pure questo, al tempo…), capaci di spararsi la doppietta Palavobis-Circo Massimo in due mesi, di scendere in piazza ogni due per tre e  per certi principi, di non scenderci a patti sopra per nessun bel faccino o assegnino. Insomma per noi, e per tanti come noi, la Questione Morale su tutto. E noi, e forse tanti come noi, oggi si chiedono: ma alla questione morale sotto i tacchi come siamo arrivati? Sì perché parliamo di tredic’anni fa, mica di trecento. Eppure. Siamo passati da un paese che contro certe cose ha gli anticorpi, a un paese che ce l’ha con gli anticorpi contro certe cose. Sì, direte, ma certe cose che? Quelle che non servono a nessuno, forse perché non servono nessuno. I libri, la cultura, l’arte, la bellezza, la libertà, la bellezza della libertà. Quella vera, quella difficile, quella faticosa. Quella nel pensiero e nei fatti, non nelle citazioni da discorso per fare salotto, flanella e figuroni da filotto al bar. La bellezza che diceva Camus di certo non fa la rivoluzione: ma verrà il giorno che la rivoluzione avrà bisogno della bellezza. Sarà per questo che noi abbiamo solo la Grande Bellezza come perfetto film kitsch (cioè finto) della nostra (autentica, purtroppo) controrivoluzione culturale, politica, sociale. Un impeccabile manifesto anti-ideologico, postmoderno, psicologico. Sarà per questo che la nostra arte è ridotta ad artefatto, che le nostre parole si traducono in fatti orrendi, che il nostro pensiero stupendo e stupidissimo non trova niente da dire neanche sulla roba più immonda. O Immondazzoli.

E questo era?! Tutto ‘sto casino, ‘sta parata di nomi e paragrafi per arrivare a Silvione che si mangia Rcs Libri (e praticamente tutta l’industria culturale italiana su carta che canta e che conta, tranne Adelphi) per fare un clistere di contanti a quella merde secche di Gazza e Corsera?! Sì, ragazzi. Il superfluo ma fondamentale pelo di Luxuria nell’uovo dei polli di Renzi che siamo è questo, per noi. L’operazione in se stessa non ci sconvolge, figurarsi. La reazione del governo e dell’antitrust che non diranno nemmeno un se o un ma? Seee, ma figurati! Ci sconvolge l’intera operazione di non-reazione, in sostanza, della cultura italiana o di una parte di essa. Di una parte di noi, in buona o cattiva sostanza. Nelle mani di uno solo tutte le principali case editrici e non uno qualsiasi, quello dei maxicasini e delle mini-meretrici. Tredici, dieci, cinque anni fa ci saremmo scandalizzati, legati, incatenati a qualcosa o incazzati a girotondo con qualcuno. E adesso, niente. Nessuna sollevazione popolare, intendiamoci: stiamo parlando comunque di una minoranza. Ma la democrazia si misura, sulle minoranze. Specie quelle rumorose. Sono le dittature, a contare sulle maggioranze schiaccianti, accondiscendenti, silenziose. Oggi siamo tutti maggioranza, siamo tutti silenziosi. Non tutti, quasi nessuno, pochi sono avviliti e pensierosi. Noi del Papaluto sì, avviliti e pensierosi. Nonché disperati al punto da commettere l’insano gesto dare ragione a Sgarbi. Che ha sostenuto che in Italia un buon libro vale meno di un pessimo giornale. Vero. Anche grazie a lui, però. Anche e soprattutto grazie a quelli meglio di lui, che come lui o peggio si sono comportati.

Parliamo per gl’intelligentissimi scemi o degli scemi fin troppo intelligenti che si sono esaltati e ancora si esaltano per la fine delle ideologie. Evvai, figata! Spezziamo le catene dello spezzare le catene dell’oppressione! Basta colle prigioni del pensiero organico, organizzato, ortodosso! Da allora tutti più liberi di testa ma chissà come mai tutti con meno libri in casa. Dio, Marx, Io: tutti morti, o che non si sentono tanto bene. Ma cogli effetti che invece si sentono benissimo, oggi. Il basta al pensiero forte è diventato un forte basta al pensiero, stop. Coi bei risultati che ammiriamo. Una società e quindi una politica ridotta a puro mercanteggiamento, a perseguimento dell’utile, all’aggiramento delle regole minime di decenza e moralità. E come mai? Perché, parafrasando Chesterton, quando gli uomini non credono più in un’idea non è che non credano più a nulla: credono a tutto. E oggi solo a tutto quello che si può comprare, consumare, cosificare, classificare, banalizzare, taggare all’istante. All’ideologia si è sostituita la merceologia, e nel cambio merce-idee c’hanno guadagnato solo i Berlusconi in giro per il mondo, i simil-Silvio in world tour. Quelli che non hanno nessuna idea, tranne il guadagno. Che però pubblicano tutto e di tutti gli orientamenti politici, filosofici, letterari: quindi, che problema c’è? Proprio questo, che non c’è nessun problema basta che faccia soldi. Il problema sta tutto nella quantità, mai nella qualità di ciò che si pubblica o che si vende. O che si è. Il Folle Volo di Dante come i romanzi di Fabio Volo o le romanze degli ex tenorini del Volo tutto dentro, fuori tutto, tutto scontato di prezzo e di pensiero, facciamoci un cofanetto con doppio libro, Blu Ray e prefazione di Benigni-Jovanotti-Gramellini per Natale…

L’era del sapere post-moderno fintamente democratico e progressista: tutti uguali, niente distinzioni. La merda vale la meraviglia, l’arte vale il kitsch, chi nelle sue opere la cerca vale quanto l’altro che nelle sue lo propina, lo propone, lo propugna. Lo sperimentale è male e dio ce ne guardi, lo sperimentato un mare di soldi. Perché cercare davvero qualcosa di nuovo e magari con poco seguito, quando puoi riverniciare e incassare con qualcosa di vecchio o addirittura decrepito? Se nella spazzatura il riciclaggio fosse avanti come nella cultura, la puzza la sentiremmo solo in libreria anziché per strada. O, a proposito di fintamente democratico e progressista, nella faccialibreria tuittarola del nostro ggiovane premier socialmediopatico. E siamo al punto dolente, al punto che volente o nolente la discussione deve toccare. Col cittadino consumatore e mai dubitatore, col pensiero che dev’essere o populista o menefreghista o tutt’e due, il discorso da largamente culturale si fa strettamente politico, carissimo Pinocchio Matteo Renzi. Farla facile non significa che poi lo sia: significa che facile è solo una bugia. Un mercificare, un mentire, un raccontare che è un raccontarsela. Azzerare il senso critico è a costo zero come le tue riforme cioè per niente.

Nessuna nostalgia/apologia di Stalin e simili delinquenti/pensatori di ‘sta minchia, sia chiaro. Come dev’essere chiaro che certe ideologie erano una prigione: come dovrebbe essere, ma non è, che libertà di pensiero non vuole dire pensieri in libertà. Tantomeno pensiero unico colla sola libertà di nascere, consumare, twittare, crepare o possibilmente crepare twittando. E postando il video su Periscope, magari. Abbiamo il diritto di essere meglio di così, di non essere solo dei cosi consumanti: ma per riuscirci abbiamo il dovere di difendere e di difenderci colla cultura; di crederci credendo nella bellezza, quella vera. Quella difficile, faticosa. Diversamente, l’aforisma di Chesterton non perdona: e l’uomo diventa una bestia che si bastona. Coi suoi simili, causa il cellulare per cui fa una fila da stadio: allo stadio, da dove poi lo portano via sul cellulare. Studi alla mano, anche senza il Muro di Berlino, senza studio si viene alle mani comunque. Anche se non ci sono idee forti, si passa lo stesso alle maniere forti. Perché il cretino crede, crede sempre, crede comunque e a chiunque. Tanto vale provare a fargli credere o leggere qualcosa di buono. E non necessariamente di Benedetta Parodi benedetta da Berlusconi… Usiamo la nostra, di testa. Altrimenti, le altre e alte menti dei capintesta che c’abbiamo. E che ci meritiamo. Come Alberto Sordi per un famoso regista (foto) ex girotondino ed ex chiacchierino oggi attonito, stufo, sfinito dalla situazione.


Che stando, alle indagini demoscopiche, è bella (o brutta) sconfortante di suo. Guardacaso 6 italiani su 10 non leggono neanche un libro, e proprio 6 italiani su 10 si professano supertifosi in neanche un secondo. Cioè appassionati dello sport che non è più sport, ma scommesse, risse anziché rivalità, distruzione dei suoi valori in campo e creazione di valore in banca per chi lo commercializza. E non a caso il Renzi ha fatto dello sport il suo spot al volo e alla lettera: a settembre piazzando il suo culetto a forma di faccia sul jet e in tribuna agli Us Open (pagando col nostro, di culo: faccia lui, col conto…); o appena l’altroieri incontrando lo Sceicco Bianco Bin Zayed facendo lo Sciocco Viola del coro Salutate la Capolista. In attesa di un bel Chi non salta Gufo è alla finale regionale di freccette o mazzette con Verdini, il livello della narrazione è questo. Basso, ma mai quanto la linea di galleggiamento (o affondamento) politico-culturale, culturale quindi etica e politica. Ma va bene così, in fondo. Per andare a fondo, va benissimo così. Che sarà sarà, e che sarà mai. Mica finisce il mondo, se inizia Mondazzoli! Alla fine è solo la normale logica di mercato, l’ovvia trasformazione della società che cambia non per forza in peggio, alla fine  la merda che si vede è tutta nutella: e alla fin fine, che Mondazzoli sarebbe senza Nutella? E se va bene a voi, buona merdenda a tutti! Anche a te, alla tua salute e in tua memoria qui sotto, Nanni…

         


martedì 21 luglio 2015

I VISAGISTI DELL'ANTIMAFIA

Più facile trovare l’accordo coi Khomeinisti non ravveduti di Teheran che coi Komunisti corretti di Tsipras, la Germania più ayatollah dell’Iran, Usa e resto del mondo che disinnescano il pericolo nucleare mentre in Europa non riusciamo a far saltare per aria le puttanate atomiche della Merkel e degli altri rigoristi-opportunisti sul debito greco. Tollerenza che guarda caso fa rima con intelligenza, di là; austerità che mica per caso fa rima con stupidità e avidità, di qua. Le palle quadrate di Obama per provare a tendere la mano al nemico contro i cavoletti e i cazzi amari di Bruxelles, che a tendere la mano a un paese amico nemmeno ci prova: al massimo tendergli una corda per impiccarsi in amicizia. Il mondo cerca la pace sulle testate atomiche, l’Europa va a cercarsi la guerra fra poveri per quattro testate di minchia termonucleari…

Insomma, avete capito quale sarebbe l’antifona: l’antitesi del nostro tradizionale repertorio papalutesco. Quale sarebbe stata, meglio. Dite la verità, era o non era bello, un pezzo così? Un Papaluto cazzuto e internescional, che praticamente si scrive da solo e si commenta da sé. Un blog che per una volta non è il solito blob d’inquisiti coi requisiti per Palazzo Chigi da premier ma pure per Palazzo di Giustizia da cliente premium. Una cosa diversa dal solito, dai soliti. Un articolo di ampio respiro internazionale, anziché  la solita agenzia Asma sull’Italia col fiato troppo corto e le mani sempre troppo lunghe…

E invece. Noi avremmo voluto, ma invece… Niente asma, c’è un’altra emergenza sanitaria che toglie il respiro. Roba urgente, cogente: ma soprattutto indecente. C’è un signore che, partito come simbolo dell’antimafia, adesso gli è partito l’embolo che l’antimafia è solo lui. Un sindaco coraggioso da tremarella (e non solo perché era lì a Gela…) diventato un governatore antimafioso da ridarella. Un tipo passato dall’opera buffa all’operetta tragica all’operato tragicomico. Che non merita nemmeno disprezzo: merita il prezzo del biglietto dello spettacolo che ha messo su. Che meriterebbe di andare sotto i ferri della sanità e del sistema di mafiosità che ha finito di spolpare la Sicilia coi suoi compari, dando in pasto alla stampa nomi buoni da sgranocchiare con un Campari. Nominativi-aperitivi al disastro, apericenni di fuffa eppoi di truffa a ogni cambio di giunta demenziale e semestrale. Vip, ex viceprocuratori, magistrati, scienziati, imparentati famosi e disgraziati famosissimi. Battiato, poi Zichichi, poi Borsellino, e domani magari Zorro, Bono degli U2, Batman, Briga di Amici per acchiappare i gggiovani, Gonzalo de Il Segreto per rastrellare il consenso fra le vecchie… Trentanove assessori cambiati in trentanove mesi, la lotta alla mafia per spot, la Caccia al Nome per sport, la cacciata della vecchia Nomenklatura politico-mafiosa manco per sogno, l’accordo con essa per professione e per passione Rosario, basta, dopo tre anni e tremila giunte mettiamoci una Crocetta sopra e diciamolo: metterla sul tuo nome, alle elezioni, è stata una cazzata.

Volenteroso, speranzoso, apparentemente ansioso di cambiare, all’inizio. Fumoso ozioso e persino odioso nella sua presunzione d’aver cambiato tutto nonostante tutti che lo minaccino, alla fine. Fine che purtroppo non si vede. Perché il peggio non ne ha mai. Perché Crocetta, tragicamente, non molla. Perché Crocetta, comicamente, è una specie di Tiramolla degli scandali, dei fallimenti, degli scandali fallimentari e degli scandalosi fallimenti del suo governo. Anzi: governi. Perché lui così reagisce a ogni nuova botta in testa o in capo alla sua giunta: ne fa un’altra, ne fa un altro. Un’altra testa che cade, un altro capo nominato al suo posto evvia che si ricomincia. Si posa il polverone, ma resta il fumo. Meglio, il fumetto Crocetta che se la tira e non molla. Se la tira tipo Cavour, per non mollare la poltrona che per certi pezzi di fetenti è garanzia di caviar. Un sistema che ha collaudato lui personalmente, e che personalmente ha disgustato noi: figuriamoci i i siciliani. Una legalità di facciata, una faccia nascosta e legata alle peggiori carnizzerie del potere. Ultima ma non ultima, temiamo la vicenda dell’Assessore alla Salute Lucia Borsellino. Scelta per il curriculum, sì, ma solo per le prime due righe: dove dice Borsellino e figlia di Paolo. Messa lì a lottare con un sistema più grande di lei, mentre Crocetta trafficava e le sparlava alle spalle con merde anche più grandi di lui. Squallido, triste quasi come il finale. La Borsellino che lascia l’Assessorato alla Salute perché a un certo punto ha dovuto scegliere o l’assessorato o la salute e Crocetta che magari si prepara a scegliere qualche altro nome che lascia contenti i Visagisti dell’antimafia. Sì, avete capito. Quella della legalità come trucco, cosmesi, imbiancatura dei sepolcri delle vittime colla cipria da culo del potere. Il miglior commento a riguardo è stato del fratello di Lucia, Manfredi Borsellino: Mia sorella ha portato la croce. E pure portato acqua a Crocetta, purtroppo. E che purtroppo bis è pronto a fare il casting bis o tris con qualcun altro. Certo, dopo aver bruciato o sputtanato quasi tutti i cognomi antimafiosamente in, potrebbe anche chiamarsi out da questo giochino al massacro dei parenti di massacrati illustri. Ma non è da lui. Piuttosto che chiamarsi fuori, starà già chiamando dentro e fuori Sicilia per sapere se il cugino, il nipotino, l’imbianchino di uno qualsiasi degli Impastato, dei Falcone, dei Chinnici possa essere interessato a un posto al tavolo verde, possa essere chiamato all-in in questo indecente strip-poker da potere in mutande.

Perché Crocetta non può e non vuole fermarsi. ‘Sto Rosario dobbiamo sgranarcelo e beccarcelo tutto. Troppe cambiali firmate in bianco, per cambiare ‘sta pagina nera. Avrà finito i parenti famosi, ma i serpenti merdosi che si è messo in casa (tipo Tutino, il medico del bel personale di Crocetta che augurava alla figlia di Borsellino la fine del padre…) non hanno finito con lui. E allora si andrà avanti con ulteriori riscossioni e indecenze. Ma non senza ripercussioni e conseguenze. Quest’anno alla commemorazione delle Agende Rosse per Paolo Borsellino c’era più gente sul palco che sotto; più autorità, giornalisti e turisti dell’antimafia venuti da fuori che palermitani. La lotta alla criminalità è abulica, burocratica, opportunistica, prammatica, anemica, senza carne e sangue: un paradosso, visto tutto quello che è costata. Una vergogna senza scuse, secondo noi. Siamo adulti, la giustificazione per le nostre assenze non ce la firmano più né i genitori né gli impostori. Secondo noi l’incapacità di qualcuno non può essere l’alibi di nessuno. A tenerci a casa sono la nostra indolenza, la nostra indifferenza, la nostra convenienza non certo l’indecenza o l’insipienza di un politico. Chiarito questo, per noi Crocetta è davvero il peggio senza fine. Fine che almeno giustifichi il mezzo disastro della Sicilia, che lui ha trasformato in disastro intero…  Le Asl che ne ammazzano più dell’Isis, il disagio che cresce più veloce del deficit, le strade che crollano, i clientelismi che s’impennano, i cantieri che non chiudono ma in compenso chiudono in galera i responsabili dei cantieri. Abbiamo trasmesso le Giunte Crocetta, con tanto di riassunto delle porcate precedenti. Peggiori di quelle dei Cuffaro e dei Lombardo. Perché un mafioso vero è meglio di un antimafioso finto; perché uno alimenta la delinquenza ma l’altro soffoca la speranza. A vederlo mentre cerca attenuanti nel nulla e poteri forti tramanti nel buio, la Sicilia non è che non creda più in Crocetta: a torto o a ragione, non crede più a se stessa.

Tragicommedia nella tragicommedia, la gestione della vicenda da parte di chi appoggia in Regione il Rosario più comico di Fiorello. Il Pd, ovverosia un partito perso dietro alle cazzate: per partito preso. Che non nomina mai la legalità, che nomina solo inquisiti, che cambia le leggi pur di poterlo fare (l’ultima è alla Cassa Depositi e Prestiti: pur di piazzare come Amministratore Delegato Fabio Gallia, il più indicato in quanto indagato per la truffa dei derivati Bnl, il governo ha preventivamente cambiato lo Statuto. Fatta la legge trovato l’inganno? Bei tempi, oggi si disfa la legge pur di trovare l’ingannatore…). Un partito peggio che allo sbando: quasi al bando fra chi ha ancora determinati valori non bancari. Il presunto partito della sinistra moderna che schifa quella antica, il partito che è stato di Pio La Torre (a proposito, ha parenti interessati a bei posti terrazzatissimi e liberi subito in giunta regionale?) ed oggi è modernamente diventato dei Pijo tutto, come dimo ne la Capitale che alla mafia siciliana mo’ je fa li bozzi, co’ Buzzi! Brutta storia, pessimo romanzo popolare. Da Orgoglio e Pregiudizio all’orgoglio per il pregiudicato. Il partito di Berlinguer della questione morale adesso è questo di Renzi, che coll’immorale questione delle promesse e delle mance elettorali governa, riforma, deforma il Paese senza mai essere stato eletto o scelto da da nessuno. Se non da Giorgio Napolitano, il suo mandante a volto scoperto. Che ha piazzato lui al governo e Lo Voi alla procura di Palermo, prima di lasciare. Che ha lasciato un cumulo di macerie e un mucchietto di cenere dove prima c’era l’inchiesta sulla trattativa Stato-Mafia e le intercettazioni fra Mancino e Quirinale. Che ha lasciato un deserto sulla lotta alla criminalità e lo ha chiamato pacificazione fra politica e magistratura. Il tutto fra misteri, accuse, veleni, mestatori politici e pestatori mediatici. Roba che, se questa è la pace, che cazzo aspettiamo a rifare subito una guerra?! Nella Palermo revival manca giusto una bomba che lisci di poco il procuratore Di Matteo e qualcuno che dica come per Falcone all’Addaura che la bomba se l’è messa da solo. Tutto uguale, come una volta, ma un po’ peggio. Tutto uguale, come una volta, ma una differenza c’è. Fosse ancora vivo, Falcone se la metterebbe da solo, la bomba. E, pur di non vedere lo Statomafia che fa vita sociale o la Mafiastato in piena vitalità societaria, l’autoattentato non lo fallirebbe. Per non sbagliarsi, non sbaglierebbe. Si suiciderebbe lui, per non vedere l’Italia che si suicida.

La Grecia in bancarotta da anni è la Grecia corrotta da decenni. La Germania spocchiosa e danarosa è la Germania virtuosa. La Germania non avrà molti amici, la Grecia fin troppi amici degli amici. Mafie, mafiette, pastette, pandette a favore di ammanicati e assatanati di denaro pubblico. E così non vai avanti, anche se la tua Storia inizia prima e meglio di Cristo… Hai voglia di Partenone, se poi c’hai il Pappone come monumento e memento nazionale. La civiltà passa dalla legalità, le civiltà senza legalità passano come piscio sul cemento. L’Italia non sarà mai la Germania di domani: non sia mai essere come la Grecia di oggi. Ma, con questi chiari di luna, se non saremo mai l’una potremmo ben presto essere l’altra. Cambiare, cambiare in fretta: o iniziare a farla nel vaso o imparare a farla all’ombra, ché con questo caldo il piscio sul cemento non dura niente.  


         

  

lunedì 15 giugno 2015

STOPSTATION




E insomma, per tirarsi su Renzi quanto prima dovrà fare come in Liguria: per una bella Elezione come si deve, trovarsi un Viagla di cinesi cammellati alle primarie… Per il suo P(2)d le cose si fanno agre, in effetti. Le mance elettorali scarseggiano, le mele marce abbondano, le marce di quelli coi maroni pieni da scambiare per gufi che godono come ricci minacciano la serenità del nostro iPremier quasi più della possibile smarronata dell’iWatch sul mercato. Situazione spinosa, per Renzi, che hai voglia di spin doctor bravo o della mutua. Altroché partita a Playstation mentre aspetta i risultati: una battuta d’arresto alla StopStation dopo che sono arrivati. Fortuna che fra una retata e una cazzata, della tranvata del Partito della Nazione che a momenti non tira manco in Regione Toscana non si parla più. Addirittura Matteo il Buono (a che?) all’indomani del successone ha preso tweet e burattini social ed è partito: in mimetica e in Medioriente, per distinguersi dai coglioni che a Roma sparano precentuali fittizie o tangentizie. Come partito prendiamo piede, andiamo bene, ci prendiamo un avvocato, andiamo ancora a piede libero…  Il Pd contuso e felice canta vittoria, ma soprattutto canta Salvatore (Buzzi) e loro tremano. La verità è che dell’ex Piccì aspirante Diccì giusto quella è rimasta l’aspirazione. Tutte le arie che si dà, in cambio delle mazzette che si prende. Perché voti quelli pochini. E solo in cambio d’indagati e quattrini. O accetta i De Luca e i Buzzi o a ‘sto mitico Partito Nuovo e Vincente je fanno li bozzi, come dicono a Roma. Ma eseguono meglio in Veneto. Un esempio su tutti, anzi sotto.

Il Veneto. La Russia di ogni segretario della sinistra sin dagli anni Novanta, ecco cos’è stata questa terra in cui La Russa è un pericoloso attivista progressista. Gente per cui uno come Flavio Tosi (condannato per istigazione all’odio razziale) fuori dall’asse Verde-Nero Salvini-CasaPound-Nazisti dell’Illinois e dell’Illy de Trieste, diventa un sospetto Khmer Rosso senza manco più un voto. Gente arcigna e furba, che non si lascia derubare da nessuno: tranne da tutti quelli col Leon che Magna el Teron e Gabba el Polenton come bandiera. Evasori fiscali ed etilisti finanziari cronici, fan di Del Debbio e del Valdobbiadene, che amano il grappino e il pogromino fatti come una volta: democristiani convertiti tutti al demagogismo evangelico, una distesa di terra dalla scelte secche e prosecche, un Texas con meno radicali ma più radicchio. Solo che nel Texas i democratici americani se lo sognano non di vincere, anche solo di provarci. Tempo, soldi e terra persa. I democratici italiani invece no, quelli Renziani peggio. Sognano incubi per gli avversari, incubano inculate per i loro candidati. Anni e anni a mandare avanti Berluschini e Berluscloni, senza capire che fra l’originale e la copia quelli giustamente prendono l’originale. E, della copia, quella più conforme: possibilmente colla felpa come uniforme e la ruspa come uniformatrice sociale. Il Verdone militare Matteo Salvini anziché il Matteo amicone di Verdini, per capirci. Ovvio per molti, ma non per tutti: non per il Prosecco Carpené Disinvolti, il Rottamattore che vuole imparare le bollicine del Business Friendly ai bottai e ai bottatori di negri che su quello nascono già imparati. Lui è moderno, fico, attuale, anticonfindustriale, amico degl’imprenditori e bastonatore dei contestatori e allora vedete come voteranno la mia candidata, signorimiei… Eccome no! S’è visto. Un bellissimo funerale, anche se le urne erano tutte di Zaia. Alla prescelta Moretti giusto un Nanni Moretti di commento: con questi candidati e dirigenti non vinceremo mai. Lady Dislike ferma al palo e scioccata come fosse la serranda dell’estetista chiusa, il Pd di Mr Tweet Tweet Urrà inchiodato alle percentuali degli ultimi 20 anni. Sempre quelle, solo aggravate dal fatto che ai ragazzi in verde sono state fatte vergognose concessioni formali, se non sostanziali. Difficile leccargli il culo, a questi, mentre ti bastonano. Molto cerone per nulla, comunque. Nel partito dalle mani lunghe non solo la destra non sa cosa fa la sinistra, ma la finta sinistra non sa vincere nemmeno quando fa la destra meglio dell’originale...

E quando vince, allora? Quando i candidati non sono Renziani. Felici e vincenti, purché Matteo-Repellenti. O sei Renziano o sei governatore, diciamo. O sei la trombata Paita che riesce a far vincere Toti alias il Gabibbo Bianco, o sei l’eletto Rossi che non convince tanti astenuti ma almeno vince con ideali degni del nome, del colore, del cognome. Essere Rossi non basta, in tutti i sensi. Chiaro però che essere un amministratore con un passato alle spalle anziché un’assessora con solo una faccia da culo davanti e un marito in mezzo ai magheggi del Porto di Genova, aiuta. Appendice e appendicite del Burlandismo impalmata dal Renzismo, la signora Appalta ha prima ignorato la sinistra eppoi l’ha accusata d’averla fatta perdere: questi fantasmi… E a proposito di Eduardo, poi ci sono le storie di fantasmi meridionali che non fanno ridere. Al Sud il Pd perde anche quando vince. Qui il problema non sono gl’impresentabili: sono gl’imprescindibili, a tutti i livelli.

Fra De Luca ed Emiliano, fra Puglia e Campania non corre solo la Basilicata: anche una navata di differenze di condotta politica, di trascorsi pubblici e privati, di comportamenti personali. A Salerno la questione non è fra De Luca e la legge Severino: è proprio De Luca che si crede un principe Sanseverino al di sopra di ogni legge, sospetto, parlamento eletto. Lui c’ha voti, voi non siete un cazzo. Anche Emiliano c’ha voti, ma non c’è un cazzo: a parte le cozze pelose come un paio di consiglieri nelle liste collegate, l’approccio è un altro. Ma l’accrocco resta. Il ducetto, dove lo metto? Buono o cattivo, l’Imprescindibile lo è innanzitutto come nodo di questo partito incravattato e leggero. Basta una corrente di tessere, e se lo porta via. O se lo portano via, magari in mancette o in manette. Modello di partito che accetta volentieri di perdere ogni identità, pur di vincere ogni indennità e ogni appalto. Da Rotary a Grattary Club, con sempre più astenuti (anche in Emilia) e sempre più trattenuti (specialmente in Procura). ‘Sto partito liquido in realtà è un partito sciolto come neve pippata dalle Sóle romane che lo comandano a bacchetta. Anzi, a stecca.

La meraviglia in tutto ciò è che Renzi ha un antidoto sensazionale a se stesso: cioè l’anti-antimateria oscura dell’opposizione. E per farvi capire com’è la situazione, quest’è l’immagine più semplice che c’è venuta… Renzi dev’essere il governo, perché gli altri non possono essere un’opposizione così. Così divisa, incazzosa e fumosa, poco pratica e troppo teorica. Parliamo di opposizione democratica e progressista, mica demagogica e ruspista. Quindi dal quadro leviamo Salvini, che col suo vecchio puparo diventato pupazzo Maroni gioca a togliere i fondi ai comuni che ospitano profughi sul territorio della Lombardia tanto prendere fondi per fondelli, distrarre milioni mentre distraggono i coglioni colle loro trovate è una qualifica professionale, per i ragazzi della scuola parificata Belsito. Occupiamoci dei vari Occupy, Civati, Sel, Cinque Stelle di Grillo(?) e Quattro Gatti (?) di Landini. L’Anti-antimateria oscura del Renzismo: troppo oscura come logica politica, troppo chiara come vocazione autolesionista. Prendete la Liguria, che tutti questi qui di fatto non hanno voluto prendersi. Quando con una semplice, ovvia, banale alleanza… Mai, pazzi, anatema! E siamo al tema, oltreché all’anatema. Se il Vincere pur di perdere l’anima di Renzi è un dramma, il perdere pur di non darla vinta a chi dice basta piccoli calcoli e grandi divisioni sul nulla è proprio all’anima de li mortacci di tutti questi. Intendiamoci, confrontiamoci, non confondiamoci. Non è coi mischioni e i paroloni che si risolve qualcosa. Bisogna distinguere. A noi quella di don Milani sulle mani pulite che non servono a niente in tasca, ha sempre convinto fino a un certo punto: perché sporcarsele è un conto, macchiarsele è un altro. Ma qui l’impressione è che davvero ciascuno le tenga in tasca perché tirarle fuori è un pigliarsela in saccoccia. Troooppo scomodo. Dalla Liguria in avanti, vincere senza governare sembra il massimo del culo. E del paraculo, anche.

Dal reddito di cittadinanza alle mille battaglie sui diritti civili dove anche l’Irlanda dei referendum e la Spagna dell’Inquisizione hanno superato la Repubblica Vaticaliana, ci sarebbe spazio per battaglie non facili, ma di semplice comprensione. Di democrazia, non di demagogia. La possibilità di capirsi su temi fondamentali, per costruire accordi politici con cui forse un Paese no ma iniziare a governare diversamente una Regione sì. Ed ecco che scatta l’anti-antimateria grigia ma più scema della materia oscura Renzi. Che dice una cosa brutta votatemi perché altrimenti chi ma più brutt’ancora perché vera.  Almeno fino a quando chi ha i voti (Movimento 5 Stelle) li terrà in frigo pur di non perderne qualcuno per strada o per una buona causa, ma impopolare; e finché chi i voti non ce li ha ma avrebbe qualche ragione (Landini e simili) si difende dai mascalzoni di governo coi i vari Scalzone, Piperno e Negri: la cui sola presenza ai convegni porta voti ai Negri da bruciare di Salvini e CasaPound. Chi ha il pane non i denti o idee, chi avrebbe qualche idea spezza il pane col caviale radical chic e scaduto da mo’ degli ex di Godere Operaio…

In tutto questo poi c’è Civati. Il SuperPippo che, per far sapere d’averne fatto parte, ha lasciato il Pd. Meglio tardi che mai, meglio ex della Ditta che giocare a Combatti il Dittatore per finta tipo Bersani, Cuperlo, D’Alema, compagnucci cantanti e tristezza crescente. Fatto sta che adesso Civati è libero, fuori, in esplorazione. Abili mosse di marketing politico in corso per lui, mondo difficile ma vita intensa e callidità a momenti. Furbissimo, dopo aver visto che effetto faceva andare in giro facendosi chiamare Tzivatis per un pò, ha cambiato idea e dieta all’indomani del Feta Default di Syriza. Basta yogurt, il ragazzo non è più un Neo-feta della politica. Altra linea calorica, altra alimentazione di sogni. Nel suo personale Mediterraneo va di nuovo in onda la Spagna. Guerrilla Tortilla, per lui, un soffritto d’Obama all’amatriciana: ma ripassato alla castigliana, prima. Insomma, nel forno del 21 giugno presenterà una cosa che si fa chiamare E’ Possibile. Del resto, è estate: la stagione degli amori culinari, per questa sinistra coi culi in terra per la depressione. Perché lavorare, quando poi sognare? Partiamo e viaggiamo, come nello spot del cornetto cuore di canna del gas sponsorizzato Cremonini: quello dell’hamburger con cui far viaggiare il colesterolo dell’illusione, ma anche della Vespa che scorreggia come il cervello truccato di ‘sti qua. Oh sì, Yes We Can che Podemos cambiare alimentazione ai nostri sogni eolici pieni d’arie: E’ Possibile. Anzi forse pure giusto. Che sia necessario o minimamente utile, invece…

I problemi del lavoro si risolvono così, nella sinistra d’Italia: con un lavoretto estero sulle cover. Che sì e no orecchiamo, figurarsi capirle. Noio volevam savuar l’indiriss della sinistra moderna  Latinamerica, un classico del tempo di crisi. Iglesias, classico bis. Ma Iglesias di Podemos o di Bailamos? C’è tempo. Per fare, per capire, per scegliere, per tutto: tranne che per governare con qualche criterio diverso dalle lotte di potere, o dagl’impotenti in lotta. Nel frattempo, in Spagna Pueden de Verdad. Nel mentre, in Spagna i grilli non parlanti ma facenti accordi col Psoe (dopo averlo ferocemente attaccato in campagna elettorale) vanno al governo di grossi centri e cambiano davvero le politiche reali. A Barcellona come a Madrid si fanno nuove giunte, nuovi piani di governo con nuove persone. Si fanno cose, non cover o comizi.


Da noi, invece, indietro così. Praticità zero, prolissità mille. Orizzonti di Boria il solito film, diciamo. Neocentrismo di qua, veterodivisionismo di là. O alla Renzi si schifa ogni possibilità di accordo colla sinistra: anche quando i risultati, come nel caso dell’elezione di Mattarella, sono oro rispetto all’incenso di regimetto e all’incetta di disastri lievitati col pane degli Angelini Alfano. Oppure alla anti-Renzi si schifa ogni possibilità di accordo serio a sinistra: anche quando, dalle Regioni al Parlamento, con un minimo di coordinamento politico e psicomotorio si potrebbero dare due salutari calci nel culo al governo. Invece, niente. Invece, nessuno. Nessuno che serva a niente. Un governo inutile che serve soltanto a logiche indecifrabili o disprezzabili; un’opposizione che non serve manco quelle, manco a se stessa. Che non corregge il governo, che non incoraggia il Paese. Quello che sta alla fine resta preso in mezzo, con una rabbia e un’astensionismo che crescono. Dalle stelle viste colla botta delle Regionali allo stallo del dopo tranvata, l’allisciatina di pelo elettorale potrebbe non far perdere il vizio a Matteo. Anzi, fino a quando Loro sono peggio di me tiene, tocca tenerci lui al comando e al joystick. Di modo e d’immondo tale che, ripreso dallo scoppolone a StopStation, Renzi possa salvare e riprendere colla partita a RePlayStation fino al 2018 e oltre… Altroché Game Over: Gain Over The Top, per lui. E per lo Stop ripassare al prossimo giro elettorale. Con questi esponenti della sinistra autolesionista, l’autostoppista Renzi uno che se lo carica fino in centro lo troverà sempre. E un posto dove infilare il pollicione alzato, pure. Con quanta strada ancora c’è da fare amerai il finale ma solo se sei il Ducetto Algida.