I tagliagole
non possono e non devono vincere, ma i baciapile non possono e non ci devono
convincere. Gli oscurantisti islamici non si sconfiggono cogli oscurantisti
anti-islamici: agl’integralisti non si risponde coi razzisti, a chi vuole
imporre la legge coranica non si ribatte proponendo la legge marziale. Le nostre
armi non bastano, ma già solo smettere di venderle a chi le usa contro di noi
sarebbe qualcosa. L’ingiustizia per l’Occidente è come la dialettica per
Trockij: possiamo non occuparci di lei, ma poi lei si occupa di noi. Magari un
venerdì sera a teatro o allo stadio, a Parigi come ad Hannover.
E
con questo il Papaluto sui tragici fatti che sapete — e che purtroppo in futuro si sapranno
ancora, ostinandosi a non guardare ai propri torti pur di vedere solo le nostre
ragioni — potrebbe concludersi qui. Ma poi ci toccherebbe beccarci e quindi
incazzarci per: i si Salvini chi può padani, i Rondolini falliti e fetenti
dalemiani, il blob fumettistico di Sob Gasp Gasparri e Gulp, i pitipim e pitipam per il rock del Bataclan
ci vuole un esorcismo alla Pape Satan dei vari Ferrara in versione Alex
Drastico-Padre Amorth-prete di Dirty Dancing. Un’arena di proposte pelose, e
non solo per la barba. Un ring affollato e un ringhio continuo — i nostri
parassiti contro i loro salafiti, i nostri bomber saccenti contro i loro
bombaroli ignoranti. La gara a chi la spara non solo più grossa: ma anche più
infame e più in fretta. Bombardiamo tutti, chiudiamo tutto, Emergency è
un’organizzazione filo-islamista mentre la Deficiency di chi a sangue ancora
caldo twitta sciacallaggio bello fresco è alto pensiero umanista. Un cartone
fin troppo animato da secondi fini e terze o quarte categorie di pensiero
pelosissimo-demagogico. Ovverosia il continuo dibattito politico-culturale fra chi non capisce o per interesse
finge di non capirci un’h24. Beh, allora. Se l’alternativa a tutte le ore e le
Oriane è la televisione urlatoria o un libro della fallacissima Fallaci obbligatoria, noi continuiamo così.
Facciamoci del male, con questo Papaluto, ma facciamoci un po’ di strada in
questo mare di cazzate.
Ipocrisia
e cazzate, a essere precisi. Ipocrisia isteria e cazzate, a essere precisi
nonché ottusi. Ipocrisia prima, isteria dopo, cazzate prima durante e dopo ogni
attacco terroristico. Siamo in guerra! Ci attaccano! Bastardi islamici!
Accorgersene sempre troppo tardi, essere sempre troppo tardi per accorgersene
in tempo. Accorgersi di cosa? Di una serie di cose fondamentali più che
fondamentaliste, quelle che una pessima memoria e una coscienza anche peggio
tende a farci ignorare o dimenticare.
Primo. La
sicurezza è un diritto, la sicurezza sicura
e obbligatoria no: è solo un ridondante dovere della propaganda politica
più fetente e immonda. Proteggere tutto da tutti è impossibile — vero per
quanto orribile. Come ben sanno in Israele e Palestina (uno dei tanti posti del
nostro pianeta e dei tanti costi del nostro benessere di cui ce ne fottiamo: ma
ci arriveremo…), contro chi è disposto a uccidersi pur di ucciderti non c’è
difesa efficace o duratura — prima o poi l’attentatore suicida riesce. Ci sarà sempre un pazzo
che convince un emarginato o un esaltato a farsi saltare per aria: a non
campare fantasie per aria per cercare di campare e basta dobbiamo essere noi.
La pazzia non la puoi prevenire o combattere, l’emarginazione o la disperazione
sì. E qui arriviamo al secondo punto.
Le
organizzazioni terroristiche saranno di pazzi da legare, ma mica di scemi che
non sanno delegare: al momento opportuno, uno al posto loro che si fa saltare
in un posto dei nostri lo trovano. Uno che ci odia, anche e soprattutto perché
in uno di questi nostri posti ci è cresciuto. Magari da povero disperato e
abituato alla violenza nelle periferie, magari da ricco viziato e arrapato
dalla violenza jihadista come alternativa alle sue vuote fighetterie. Parigi è
stata colpita da belgi e parigini, mica da marziani siriani o maghrebini. Non è
un fatto isolato: è un virus, che va isolato. Quello dell’esclusione, del
vuoto, dell’indifferenza che ammala la nostra società: e che poi ferisce a
morte le nostre città. Per una volta però si tratta di colpire l’anello più
forte e non più debole della catena. Se è vero che bisogna fare la guerra,
bisogna farla prima ai pazzi che comandano eppoi ai disperati che eseguono. Togliere
le truppe ai reclutatori d’odio, mettere a stecchetto le trippe di finanziatori
e organizzatori che se la passano liscia come l’olio. Perché spesso sono nostri
affezionati soci, compari, fornitori e compratori.
Ed ecco il
punto tre, che poi è anche il punto tres
douloureux. La necessità della guerra santa è una cazzata: la sacrosanta
necessità è una guerra alla guerra come sistema di sviluppo economico. Eh sì
ragazzi, perché non è che noi e adesso siamo in guerra. Noi siamo in
guerra da sempre e ovunque, in qualche parte del mondo. Per prenderci il
petrolio, per dargli le nostre armi, per predicare la virtù della democrazia
esportata mentre pratichiamo qualche forma di schiavitù legalizzata. Profitto a
ogni costo, specie se altrui; conflitto in ogni posto, trasformando interi
paesi in cessi sanguinosi e bui. Begli affari con penosi affari fantoccio
spacciati per governi, petrolio e gas in cambio di pietre e odio, l’ennesima
scorpacciata a costo dell’ennesima Intifada, tanti soldi restando tanto sordi ai
bambini soldato. Anche e soprattutto questo è l’Occidente, oggi nel mondo. Ma
quale culla: tomba di democrazia, libertà, diritti. Se i primi a svendere i
nostri valori in blocco siamo noi, perché gli altri dovrebbero comprarsi ‘sto
pacco completo? Sin dai tempi dei Bush-Bin Laden nemici-amici, di George e
Osama che si fanno vedere i sorci verdi dopo essere stati soci in verdoni,
mantenere lo stato di guerra oggi è per noi mantenere uno stato di supremazia e
benessere. O abbiamo il coraggio di cambiare sistema con un minimo di
razionalità, o avremo sempre paura di chi ci odia con più di qualche ragione,
in verità: e con seguaci che possono diventare legione, con o senza il pretesto
di Allah.
Ci odiano?
Ma come, ma perché, ma percome? Belle domande, specie se poste da belle e
Belpietre faccine di merda. Il Direttore Odiatorale di Libero la risposta ce
l’ha nel titolo del suo giornaletto porno-soft da odio duro: per la nostra
libertà, ecco perché. Il dramma è che ha ragione, il dramma doppio è che per
quelli del suo coté il concetto è vago e triste come un doppio senso da
cabaret. Per questi Stuart Mill taroccati in Cina, la libertà dev’essere come
la nostalgia per Al Bano e Romina: canaglia. Libertà è fottersene, per loro. E’
sbattersene di tutti appena fuori della mia porta, e magari sparare a tutti
quelli che la superano senza permesso; libertà è non pagare le tasse ma
lamentarsi se la polizia non protegge un
onesto cittadino come me; è campare da ladri alle spalle degli altri
facendola franca, è sparare a un ladro alle spalle pretendendo la medaglia e
l’applauso della plebaglia; libertà è invocare legge e ordine — per gli
altri; libertà è fottersene del mondo, ma frignare quando poi il mondo viene a
fotterti. Insomma, poveri loro e poveri tutti noi, libertà per questi signori è
tutto quello che la libertà non è. Legge del taglione, dell’indifferenza verso
l’universo, del coglione stai zitto se sei povero o diverso. La libertà per cui
gl’integralisti ci odiano è quella che noi stessi stiamo imparando a odiare. La
libertà come partecipazione, ad esempio: proprio come diceva Gaber, e come
dobbiamo ricordarci noi ogni giorno. Libertà è condivisione, curiosità,
interesse per l’altro. Libertà non è solo prendersi quella di chiudere il mondo
fuori colla tv accesa; è accendere l’interesse per il mondo, anche se dal tuo
60 pollici t’infila un indice in un occhio. Guardando anche quello che non ci
piace. Avessimo fatto così, oggi sapremmo o non potremmo ignorare di quanto
sangue ancora fresco gronda il nostro cantuccio bello caldo. Quante vite
innocenti e quante morti sconvolgenti causa il terrorismo nel mondo, trovando
killer e follower per colpa delle ingiustizie e della barbarie che l’Occidente
appoggia o finge di non vedere per calcolo. Un vaso di pandora scoperchiato con
ogni barile di petrolio. Le stesse vite, le stesse morti, la stessa ingiustizia
e la stessa barbarie che stiamo piangendo noi oggi, in fondo; solo inferiori, e
sono inferiori: perché non sono nostre, perché sono lontane, perché in fondo
sono uguali — ma più che altro sono in fondo, e basta. Sei in culo al mondo? E
allora in culo restaci, mondo. L’erba del vicino è sempre più verde, anche
quella del cimitero. Un bar a Beirut, un volo russo sul Sinai, una scuola in
Nigeria — roba lontana, che mica vale un teatro di Parigi o i grattacieli
di New York! E che mo’ davvero una schifezza di bambino africano mangiato dalle
mosche o siriano affogato dagli scafisti, per i suoi genitori è importante
quanto per me il mio Luigi o Hans o Stephane o Peter? Ma che scherziamo?
Eccole,
l’ipocrisia e l’isteria. Reagire da matti a un mondo di pazzi che abbiamo finto
d’ignorare: perché ci fa comodo. Eccolo, il razzismo strisciante. Il complesso
di superiorità ributtante. Pretendere di fare impunemente quello che poi non
vuoi subire. Come ti permetti di farmi la guerra, solo perché te la faccio da
sempre? E se tu me la fai, io dovrò fartela doppia — dando pure
una bella botta al fatturato delle armi, che modestamente io vendo anche a te…
Se proprio devi ammazzarmi, fallo almeno colla mia merce. Affarista fino alla
morte — la tua o la mia, se poi ci si guadagna, chissenefotte.
Ecco, fin
quando l’unica libertà che difendiamo è quella del liberismo cannibale
travestito da carità cristiana in forma di crociata, non abbiamo speranze. A
lottare per un dio guerriero o per il dio denaro non si va in paradiso — solo al cimitero.
La guerra che bisogna fare non la vinci solo colle operazioni di polizia
internazionale — ne serve una di pulizia nazionale, collettiva, mondiale, morale.
Che ridia dignità alle persone, alla vita, alle parole. Bene Libertà
Uguaglianza e Fratellanza cantate dallo stadio in coro, ma questi valori devono
tornare ad essere nel nostro vissuto e nel nostro decoro. Nelle nostre
coscienze, non nei nostri account. Hai voglia che posti, twitti e ritwitti
bandierine e faccine e lacrimucce e candeline — serve una sofferenza vera,
vissuta e non affettata o twittata. Serve quella che ti dà il coraggio di
cambiare le cose. A partire da noi, perché il nemico non è alle porte — è dentro la
porta di casa. E’ fra noi, molto spesso siamo noi. Che, a parte la nostra, non
rispettiamo la vita di nessuno. Che siamo disposti a uccidere qualcuno per
farne lucido da scarpe o da trimestrale di cassa. A dimostrarcelo c’è la vita
di tutti i giorni, che va avanti: e molto spesso a fondo. Quando — dopo tutto
quello che è successo — a un derby Toro-Juve fra pulcini (pulcini, cazzo!) due genitori
vengono pestati da altri genitori al grido di sporca negra torna al tuo paese,
che resta da dire? Simpatici amici dell’Is, se volete distruggere la nostra
civiltà fate presto, che qua non ne resta molta… Nessuno può farti diventare un
mostro, se il mostro non ce l’hai già dentro. Smettiamo di essere quello che
noi stessi dovremmo odiare, torniamo a essere davvero quello per cui tutti i
sanguinari e i fanatici del mondo hanno ragione d’odiarci. Aperti, colti,
laici, tolleranti, gioiosi, liberi e rispettosi della vita umana — di ciascuna
vita umana. Liberi, uguali, fratelli.
Nessuno
potrà imporci di cambiare, ma noi stessi dobbiamo proporci di farlo.
Combattendo la cultura della morte: non lasciando morire la nostra — quella vera,
però. La cultura dell’umanesimo che ci fa fatto grandi, non del liberismo al
100% e del cattolicesimo all’8 per mille che ci ha fatto grandi cinici e
scettici. La cultura della pace, del confronto, della contaminazione anziché
della distruzione. Fermi e forti nel braccio, ma anche nel pensiero. Ma quale
rabbia, quale orgoglio; qui o riscopriamo che pensare e confrontarsi è una
gioia o sarà sempre e solo cordoglio. Lasciamo le nostre radici ai seminatori
d’odio e ai coltivatori d’interessi inconfessati, cogliamo i frutti dei
pensatori più illuminati. Averroè, Voltaire, Kant, Tolstoj, Hikmet, Pamuk:
dalla merda rabbiorgogliosa fiori così non sono mai nati. Pace, umanità,
giustizia morale e materiale — il nostro vero arsenale, quello per vincere la battaglia delle
idee. E senza cui la guerra sul campo non la vinci mai. Ovvio. Al punto che persino
Renzi — per una volta rinunciando a fare il figo facendola facile sulla
guerra — ha ammesso che il terrorismo non lo sconfiggi solo costruendo
biblioteche, ma che anche quello aiuta. E ancor più aiuterebbe non solo
costruirle all’estero: anche non disertarle da noi, o non riempirle solo di
libri dell’amico suo Baricco e simili o peggiori. Perché a forza di andare
appresso al titolo più venduto, quelli più venduti e senza titolo per opporsi o
parlare saranno i nostri presunti intellettuali. Altroché scontro, scontrino di
civiltà…
Insomma,
riscoprirci in gioco a costo di scoprirci un poco. Di mettere sul piatto un po’
delle nostre finte sicurezze, del nostro precario benessere personale pagato
dal malessere mondiale. Cambiare in meglio per non farci cambiare in peggio.
Scelta con qualche rischio, ma sempre meglio del Risiko proposto dagli
strateghi strafatti sempre in onda e in auge. Politicanti, demagoghi, baccanti.
Cantagiro di geopolitici pazzi che disegnano cartine che farebbero meglio a
fumarsi; che fanno libri, voti e figura discettando sempre e tacendo mai.
Quelli che ti riprendono per essere ripresi meglio in camera o sui giornali. I
meglio amici dei meglio fichi della Cia, che adesso l’Is o Isis lo chiamano Daesh. Perché è meno offensivo per i
musulmani, mi raccomando. Ecco, tutto a posto adesso! Mica le bombe o le stragi
o l’indifferenza, il problema lì era il nome. C’è intoppo che il marketing non
possa risolvere?! Con questi abbiamo a che fare. Gente non solo noiosa da
ascoltare: anche untuosa, presuntuosa, pericolosa. Che nasconde la polvere della
propria malafede sotto lo zerbino dei potenti che servono di mestiere. Ecco,
non facciamo come loro. Pensiamo con la nostra testa, visto che rischiamo col
nostro culo. Confrontiamoci colla nostra coscienza sporca e non crediamo agli
slogan da Bar Spot. Perché hai voglia di bombe per non occuparsene: prima o poi
l’ingiustizia si occupa di noi. Perché — anche a cambiargli il nome e i connotati — Daesh non
lava più bianco.
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