Com’era quella? Ah sì il silenzio
è d’oro: ma colla crisi di liquidità e da omertà che c’è, figurarsi se possiamo
permetterci di regalarvi ancora il nostro silenzio d’oro Zittino. Si
ricomincia, si Papaluteggia di nuovo, non si coglioneggia né coll’anno né col
danno nuovo. E quindi, dov’eravamo rimasti (di merda)? Certo, al Governo del
Popolo, ai gialloverdi vendicatori occhio per occhio del popolo stanco del
vecchio… Come no!
Dal ponte di Genova caduto in
testa alla gente a quello di Ferragosto saltato a Casalino urlante come se il
ponte gli fosse cascato dal dente, Noi Parolai Papaluti — più costipati che
composti, più sudati che rapiti — come in un attacco di mal di suspanza che fino
all’ultimo non sai se è una scorreggia pesante o una sgommamutanda leggera, da
prima della primavera e della prima vera estate da ecstasy del SalviMaio fino
ad ora che è Natale siamo rimasti muti. In attesa, con un’aria curiosa seppure
già viziatella e bella tesa; cogli occhi spalancati — e i naticoni sigillati —
abbiamo aspettato impazienti eppoi imbarazzati (in tutti i sensi…) e impotenti,
senza pregiudizi e senza viagra: ma in questi mesi dell’a(n)no di governo non
si è combinato cambiato o quagliato niente, e la dolce vita promessa è rimasta
agra. In compenso — nel nuovo gabinetto del Nuovo, come da procedura (Ideal)
Standard messa a punto dai precedenti inesecutivi, niente Flat Tax o No Tav ma
molto Splat Tazza — sì è cacato moltissimo. Quasi tutto il cacabile, per
l’esattezza o l’esilarante tristezza, facendo capire che questo è davvero il
governo del Cambiamento — d’idea, di numeretti da sragionieri Fantozzi, di
promesse da martellarci i tg e le palle tipo Tafazzi, della carte Scottex in
tavola cambiate a seconda dei bisogni, d’ideuzze e promessone rimandate o
rimangiate con numeri da circo Togni(nelli). Acrobazie senza rete, peripezie
con troppe sparate e troppa Rete, reddito di coglionanza per tutti e con tutti
in pensione fra arrampicate sugli specchi fino a quota 100 o 1000 buone per chi
scende dalla montagna del sapone — venghino siori venghino, che qui c’è uno
spettacolo talmente grande che servono tre piste: di coca, per reggerlo. Fortuna
che per svagarsi e sviarci ogni tanto il Capitano del Popolino sale su una
ruspa, colla camicia nera sotto la felpa verde e sopra la panza alla zuava
scende (se possibile) ancora di livello, si posta mentre si mangia un Ringo con
dentro il bimbo negro dello spot (i famosi Orango
Boys), da Ministro della Malavita fa il forte coi deboli tipo Mimmo Lucano
ma per il suo elettorato ‘ndranghetista forte da piombo di Riace c’ha il
debole: lo copre, lo coccola, lo ignora o lo sottovaluta: tratta il crimine più
infiltrato e incancrenito a livello nazionale e locale (vero, Calabrisello
Nostro Oliverio?) come se si fosse intasato il lavello. Non ne capisce un
tubo, ma al videogioco della
telepolitica a tutto gas lo stesso ci pensa Super Matteo Bros viva Putin e
abbasso Soros. Si fa subito, si fa presto a dire, basta fare presto a dichiarare
anziché risolvere e chiarire. Un problemino d’idraulica, di retorica, che cos’è
‘st’ossessione per la Mafia che non siano i nigeriani negroni o quegli zingari
di merda dei Casamonica?! Il Ministro sa, il Vicepremier dice, il Capitano uno
e trino poi ci posta uno slogan o un filmatino che la folla folle di folliwers benedice. Tu sì che risolvi
cazzo, c’avessimo ancora un pantano da bonificare sembreresti il format
putiniano del Duce.
Eppure questo, per quanto male,
non è il peggio. Il Signorino tutto CasaPound&Chiosa, la pasta d’uomo e di
Capitano che è ovunque per dichiarare/discettare/dispensare sovrana saggezza
sovranista sopra ogni cosa, il pezzo di Capitone cornutone che sguiscia sulle
corna in bella vista e gli va liscia pure sulla cornucopia in nero di soldi
nostri alla Lega che beato chi l’ha vista — almeno — è una cosa seria, che ogni
giorno si aggrava; ma Giggino ‘A Macchietta? La grande tradizione Italo-Flaiana
di roba grave ma non seria uno così, tutto incravattato e serio che non capisce
d’essere ridicolo grave, non lo meritava. Mister Muscolo e Maiuscolo, ll nostro
eroe, la nostra eroina, la ciambella col buco nel braccio senza cui non
sappiamo stare è Lui(gi). L’uno e bino e birichino vicepremier e ministro del
Lavoro — a una piazzata, a una trovata, a una tragicommedia di cazzata sempre
nuove — che ha abolito la grammatica anziché la povertà, che vuole distruggere
l’abusivismo (pure del padre…) a botta di condoni, che spunta le liste Fatto-Fatto
più di uno a San Patrignano e preciso a Berlusconi, che si affaccia dal balcone
come un Peron mentre l’alleato Matteo se lo beve come una Peroni e lo affonda
come fosse un barcone. Nel suo mare di supercazzole, nel suo stesso brodo di Giggiole, di cambi d’idea e di linea su
cose e persone. Dalla Manina che gli trucca i dossier da portare in procura a
Mattarella che si deve impeacchare e non impicciare, che dal Quirinale prima
bisognava spostarlo in tribunale ma adesso invece per l’Italia è una sinecura;
dal balletto sulle cifre e sulla tessera del reddito di cittadinanza al tip-Tap
sulle opere pubbliche, ci fosse una cosa che una che resta salda uguale e
sicura. Un uomo un perché mai, un kamasutra di posizioni e riproposizioni
politiche, un karaoke di parole vuote o scritte sbagliate, ‘na riga e ‘na
cravatta anziché un caschetto ‘nu jeans e ‘na maglietta per riassumere il
ritornello del Nino D’Angelo della politica: l’ex stagista diventato stragista
di ex voto o promesse solenni e mancate, di contraddizioni a non finire poi
finite sempre in solenni e insolenti minchiate. Signori, ecco a voi il segretario
di maggioranza relativa — e d’intelligenza pure, ma di DiMaioranza assoluta:
con impreparazione faccia tosta e impertinenza che nel deserto del curriculum
da Reuccio Sola spledono come gemme pure. Per lui troppe sarebbero le domande,
ma Lui(gi) è di per sé una risposta: a quelli che credono che la politica non
sia un mestiere, che sia per tutti quelli che vogliono farla, che
improvvisazione batte preparazione e che alle brutte basta buttarla in vacca e
in videochat, in urla e/o in burla. Risultato? La Lega parecchio avanti nella
cannibalizzazione, inevitabile come l’andare avanti ma in fumo nell’alleanza di
governo (buono come la lenza per chi abbocca…) tipo la cannabis colla relativa
legalizzazione. Il partito più vecchio e zozzo — ma pure più professionale —
che si mangia il più nuovo presuntuoso e rozzo, che voleva aprire la scatoletta
di tonno del parlamento e finisce portato a scuola — pappato vivo e parificato
a crudo — come una macchietta da perculamento a tutto tonto. Tutte le cose
buone non le fa manco la Lega, le fa proprio Salvini: le cose buone a parole ma
a nulla nei fatti o di fatto, manco a dirlo Di Maio o uno dei suoi sparlanti
grillini. Un film che non può, ma fino ad ora è così che è andato avanti. Forse
arriverà la resa dei conti, il rendersi conto che così è un’incondizionata
(p)resa per il culo, ma intanto. Il tempo passa, e il secondo di ‘sto
Cinepaccone di Natale alla Borghi e De Sica che non fa manco più ridere, sembra
non arrivi mai. I Soliti Idioti, scemeggiatura da Checco Zelota e Coglione, da
copione scontato — sì — ma a prezzo pieno per i soliti coglionati. Caro e
amaro, col bilancio che si fa sempre più avaro. Promesse grosse e premesse
false, finanziarie sudamericane, cifre sballate e ballanti in tutti i merengue
e le salse: una (il)logica propagandistica che dalla piazza anti-palazzo al
piazzismo da strapazzo li portava a dire dell’Europa e della matematica non ce
ne frega un cacchio: e che invece alla fine ci ha portato a benedire l’Europa
che ci ha concesso l’aritmetica certezza di metterci in ginocchio sui ceci, suo
nostri errori per cecità, e colla testa nel cappio. ‘Na roba da si Salvini chi
può, che sembrava ‘n’incubo da notte di mezza estate e mezza ecstasy già a
maggio, che si capiva che poteva andare solo Di Maio in peggio. Come in effetti;
ma ce li ricordiamo i Fonzie e gli
Stronzie e le facce da cool di prima? — ci siamo detti — allora bocca del culo mio taci e aspettiamo
ancora, e se non interdetti dal giudizio ci siamo stati zitti perché
affrettarlo e affettarlo è un brutto vizio. La politica è questione di
efficacia, non di originalità, e l’argomento Allora Quelli di Prima — allora,
almeno — per quanto ripetuto aveva ancora una sua efficacia e veridicità.
Poi però è cambiato il clima, da
Genova in poi l’abuso di (all’incirca…) buone intenzioni e pessime attuazioni
ha toccato il climax, ma soprattutto è uscito il solito libro fotocopia di
Bruno Vespa feat. Xerox, che quest’anno però si chiama Rivoluzione. Eddai allora. Il colmo dei colmi, il colpo che proprio
non si può restare calmi, davanti a una scoperta e a ‘sta sorta di provocazione. Muti? Ma qua bisogna essere
Sordi: Marpione m’hai provocato, e io te
disturbo (sì, no, parafrasi di sicurezza: ché il Brunosauro non lo
distrugge manco ‘na banda rumena di meteoriti…)! Spiegare cosa si cambia, cosa no, come e cosa non si cambia per
non morire. Se del tema può scrivere la Fiorella Mannoia del Biancofiore
simbolo d’Andreottiano Amore (e adesso cerimoniere e anfitrione del nuovo
potere gialloverde che sulle nivee poltrone ci fa notte e tana, buona notte e
buona tana eleggendovi le proprie dimore…), il vincitore a vita per la vita e
ad honorem del Telegattopardo — un po’ come se a parlare dei pericoli del lardo
fossimo chiamati noi, il Consorzio di Colonnata e il New Bisteccone Galeazzi
Pierluigi Pardo — ci siamo detti che possiamo cominciare a riscrivere pure noi.
E a rileggere i saggi, a ripescare i fatti e a rifare i detti e gli spot, a
rimandare a leggere e/o a cacare quelli che campano di detti e fanno i saggi e
i romanzetti per sport. Provare per credere all’incapacità? Toccare il fondo e
la piaga per recedere dall’incredulità? Noi non siamo San Tommaso — siamo atei
devoti e apoti di San Tomasi di Lampedusa: anche senza toccare il costato
(meglio una costata, e da bere un rosso anziché balle a più non posso…) sappiamo
benissimo che perché non cambi niente bisogna promettere che tutto cambia,
magari in un mese in una legge e in un niente: anche se ancora non sappiamo
alla fine quanto ci sarà costato. Ma, tantino per cominciare, qualche
miliardata di spread per la manfrina della Legge di Bilancio che vien di notte
— della Vigilia e della Repubblica — colle tasche tutte rotte e le tresche
quasi tutte scoperte scorrette sospette e/o corrotte; senza coperture né
decenza, colla coperta e la memoria corta ma colla longa manus aperta e
scoperta delle varie lobby che dovevano sloggiare (ahahah!) sempre in forma e
in pasta emmai troppo in ombra: insomma con molto in comune colle precedenti
legislature in quanto a furbizia e arroganza. Tutto come prima, però destinato
a peggiorare quanto prima. Perché uno come L’Avvocato del Popolo, l’Avventato
del Pallottoliere, l’Avventurato dell’Obolo elemosinato all’Europa — insomma —
uno come Giuseppe Conte non si è mai visto, neppure nelle peggiori esperienze
balnear-bananiere. Nella Confierezza Stampa
di fine d’anno e inizio danno, è stato uno spettacolo (pietoso, struggente,
schifaviglioso) sentirlo parlare — e orgogliosamente — di come tutte le
promesse siano state rispettate, di come tutte le promesse promosse in
televendita siano state mantenute, di come Bruxelles e l’Italia tutta felice e
contenta (isole comprese, tutte sorrisi e paradisi che manco le Seychelles)
abbiano approvato e/o applaudito tutte le loro mosse. Principe del Foro magari
no, ma re per una notte della ragione e del cabaret sicuro. E non parliamo del
resto, del contesto, dello straparlare Quotidiano che pare il Resto del
Grillino; del Triare a campare, delle botte da Orban del caro fasciamico
svasticato che col cazzo che ci fa sforare o sfornare scuse da accampare, dei
puntini messi sullo zero virgola quattro per fare credere che non si è voluto
cedere né ci si è fatti fregare. Che dire? Niente di nuovo, sotto il Sola.
Renzista a 80 euro, sovranista a 24 carati, grillista a 5 stelle, la
commediaccia dell’arte d’arrangiarsi non morirà mai, vivacchierà per sempre:
d’espedienti, di cotillon e promesse ai creduli ai disagiati e più coglion, di
pezze a colore e al culo con dolore. Nostro, che ce ne accorgiamo (o vogliamo
accorgercene…) sempre tardi. Che amiamo farci infilzare e infinocchiare dal
nuovo mood anti banche Soros e Moodys come tordi. Prima c’erano i buonisti
finti-buoni e fighetti — che schifo, abbasso, tutti giù per il buco di bilancio
e del cesso — e adesso ci siamo noi: i buoni-buoni, pure in Economia e del
Tesoro, anche se buzzurri rozzi e brutti. Sarà, a noi sembra che non ci sia
niente (di nuovo, di buono, che non faccia pensare a scimmioni mica
intelligenti come i Bonobo) sotto quelle felpe e quei post, quei blog-borigmi e quei rutti. Un
cambiamento peggio che inutile, impossibile: dove neanche cambiare solo canale
è utile, dato che 24/7 ci trovi qualche emulo o e-somaro del governo del
cambiamento possibile: sì, ma solo a chiacchiere crossmediali e integrali 24x4
dalla Rai a la Sette. E — diversamente dal sistema di governo — bisogna
riconoscere che funziona, ‘sto sistema di tele e tweetcomunicazione: paga dividendi
e ripaga gl’incazzati cronici pro-Di Maio e di brutto come i reazionari in toto
e i nostalgici di tutto, a cominciare dalle (ri)vincite del Totocalcio col
sistemone che ti pagava un po’ di dindi. Semplice ma efficace, solido perché poggiato
su lunghe colonne di X: che solo per i detrattori sono incognite, ma per i
deliziati elettori sono simbolo d’impareggiabile pareggio di bilancio fra
quanto promesso e quanto poi promosso con app e apposite tweetelevendite. Abbiamo
fatto, facciamo e faremo delle cose: dateci tempo; abbiamo tempo, tranquilli
che facciamo e faremo delle cose. Tautologia in grisaglia, dal Pueblo Unido y Encazado per nulla avvertita
come canaglia — al punto che si ciuccia in letizia Al Bano in summit Nostalgia
con Salvini al ministero della Fede come l’ottava meraviglia. Evvabbé. Butta
così, e cerchiamo di non buttarci di sotto mentre ci buttiamo legittimamente e
legislativamente giù. Il governo che abbiamo — anche scelto, come italiani e
come coglioni incazzati — è questo. False soluzioni a problemi veri, alte promesse
e bassi compromessi per ritocchi tarocchi giocando di virgole e zeri, e con
questi chiari di l’una tantum, tanti
auguri: di Buone Feste e Felice Capodanno, che nella sagra e nel sabba dei
politicanti poli-litiganti si ritrova un premier che al massimo può fare il
Giuseppe Capo-danno.
E ok, e va bene, anzi male, anzi
proprio ko. Sul governo abbiamo una posizione, ma lo vogliamo dire a che a ‘sto
governo non abbiamo un’opposizione? Benissimo, tutti d’accordo sul malissimo e
sul fatto che da sta parte più che uno schieramento c’è uno schienamento, ma da
qui ripartiamo con cosa e chi? Il Macron bastione e carota dell’Antipopulismo
che prima s’indigna eppoi s’inchina alla piazza, l’Insultatore Closeau che
contro i gilet gialli — colla sua grisaglia grigia ma pezzata a colore — fa
ridere come la Pantera Rosa, quello fermo e tosto coeme un budino che prima ci
va in puzza eppoi li segue a ruota?! Oppure fare un brindisi e un referendum,
un prosit e un preferendum per
l’etilista evasore Juncker che ama il whisky almeno quanto i soldi loschi contro
il sovranista eversore Salvini che gradisce di più l’amaro (contro) Lucano da
sfollare coi suoi negri in bei treni piombati tedeschi!? Se è questo o fra
questi che bisogna scegliere, la scelta migliore è chiudere sbaraccare e
sciogliere. Tanto per quello che è rimasto in questa terra di nessuno, in cui
il primo terra-terra si sente Qualcuno, uno scienziato titolato a intestarsi e
intestardirsi colla sua correntina percentuale e personale dello 0,1… A furia
di coltivare l’orticello clientelare affarista e personalista, l’intero campo
d’Agramante progressista è fertile e arrapante come una vecchia bagascia o una
visita dal dentista. Perché questo governo ha tante colpe, molti demeriti,
tanta troppa impreparazione premiata dall’indignazione — ma c’ha il culo di non
avere alternative, controparti credibili o creative, solo un contropartito di
ricreative e divertenti facce di culo da facce ride come opinabilissima “opposizione”.
Molto fra virgolette, molto spesso fra dispute appese a puntini trattini e
virgole che sembrano solo bluff bari e coglionette, fra personalismi e magheggi
da fare sembra Goldrake e Mazinga dalla A alla Z pure i personaggi di Goldoni
nelle Baruffe Chiozzotte. Un deserto dei Tartari e dei Neuroni, un non-luogo
dove i luoghi comuni sulla superiorità morale e culturale della sinistra sono ancora usati creduti e
abusati, dove tanto per capirci tutti sanno chi è Goldrake ma nessuno legge più
Buzzati o chi era Goldoni. ‘Na specie di giardinetti del manicomio, un parco a
tema Ospedale dei Pazzi che si fanno a Pezzi, terra di sepoltura della speranza
d’un nosocomiale Narcisisticomio in un cui ancora attecchisce, alligna e
intigna la convinzione che la Sovranistica e Maledetta primavera sia solo una
fase passeggera. Ma dove vogliono andare, l’Italia e gl’italiani, senza di noi!
Posizioni e presunzioni nuove tanto per cambiare, utili e accattivanti quanto
le zanzare. Scambiano una fase e una sconfitta storiche per una cosa
transitoria, da affrontare con qualche frase frusta e frustrante pure per la
più spompa sfigata e sfessata delle propagande politiche nella storia. Quando
si dice credere obbedire e combattere: credere all’irrealtà delle proprie
fantasie, obbedire alle proprie manie di grandezza, combattere e fare a pugni
colla realtà in scioltezza e stoltezza. Più che automatico, predicare e
pronosticare un dietrofront di tanti elettori dal Fronte Nazional-Sovranista
sembra fantomatico, fantapolitico, fanaticamente anacronistico e fottutamente
lisergico allucinante e autolesionistico. Roba dsa LS(P)D… Va bene che il
governo più che governare al massimo sembra galleggi, va bene che non sono il
Vangelo anche se li si citano in coro tipo Và Pensiero, ma cazzo diamo
un’occhiata ai sondaggi: Pd da prefisso telefonico, M5S in stallo/calo cronico,
alla faccetta nera di tutto e tutti Salvini dal 30 in su: un numero percentuale
da telefonata urgente per Palazzo Chigi dal Quirinale. Hai voglia di sperare,
di confidare nelle beghe di coalizione e farcisi su un po’ di seghe a pranzo
cena e colazione, è chiaro che la luna di fiele del popolo italiano col
populismo italiota — con gli chi dà qualcuno e qualcosa da odiare in cambio
della propria paura che paga vota e vale come cambiale — prosegue. Salvini
primo partito significa che se cade questo governo la gente dopo non è che non
crede a niente, crede a tutto: e alle prossime elezioni arrivano in parlamento
pure i Nazisti dell’Illinois, altroché sperare nei Macrominchion in differita
col ritorno in proprio e ancora con qualche ritorno politico dei Renzi boys!
Ma andiamo avanti così. Avvelenamento
dei pozzi, avvicendamento di pazzi, autoaffondamento d’un canchero di barca
senza timone e tutta timore e/o tumore che tutti (i peggiori) vogliono guidare
a costo di farla a pezzi. Squagliatosi il boss della banda della Maiala non s’è
squagliato nulla di buono, ma non s’è sciolto un nodo che uno: s’è solo
coagulato un fondo colloso e speculativo d’imprenditori falliti intellettuali
fallati e inciucisti incalliti che — in ragione del loro libello d’assegni
pesanti o libretto da rassegne politiculturali onnipresenti e onnipressanti — credono
di poter comandare la banda della Maglia di lana a collo alto da pensatore fra
le macerie e le macellerie come alla Magliana dopo la morte del Libano. Troppe
serie, poche letture e su cose troppo poco serie. Ammainato il Bargiglio
Magico, il primo (mica) fesso si crede di poter essere ammirato come il nuovo
Galli Della Loggia (P3, P4, chiedete a Verdini…) nel pollaio. Pensatore di
riferimento, tessitore e ispiratore di livello, finanziatore e influencer
nonché king&think maker acuto da
ferimento. Possibilmente da coltellata al compagno di banco ma dell’opposta
schiera, prima che lo scompagno di scompiglio tipo Banco ti turbi il sonno o ti
bruci sul tempo e ti buchi a sua volta la schiena. Non bastasse ‘st’atmosfera
da Shakespeare in Love Boat e in sedicesimo, alla Via Croceris con Colonna Sonora e Infame di Little Tony e Big Renzy
aggiungeteci pure le meglio teste di rapa d’un Riformismo che architetta
almanacca e arrapa come la poligamia nel catechismo. Se partiti e istituzioni
servono come il giornale di ieri, figurarsi il giornale di domani che di ieri
non ha conservato il prestigio, ma solo il vezzo il vestigio e il vizio di
forma dementis di dettare la linea a partiti elettori e istituzioni. Senza fare
nomi, ma solo cognomi di cotanti nomi, noi compriamo Repubblica da vent’anni
con convinzione e senza condizionamenti: ma avanti così ci toccherà mettere il
condizionale o la condizionale per scontare i prossimi venti. Distillatori di
pensiero che hai voglia di feste e d’idee, alla fine gli ex maghi del
giornalismo sono solo dei domandatori-porgitori di microfono microcefalo, dei
Babbani Natale che regalano idee che basta il pensiero. Un clima, un’area
condizionata, un’aria caudataria incondizionata che s’interroga tipo Indovina Quidditch: una visione mondo e
una previsione del meteorismo che inizia dai Grandi Leader passa per Floris e
finisce a Harry Potter. La religione della televisione, del pop più corrivo,
delle app del miliardario più simpatico e sportivo come hip-hoppio di ‘sto
popolino anti-populisti che nel frattempo si fanno (mussoliniana) legione: e che
così — attaccati da ‘sta marmellata informe sulla Nutella di Salvini a
colazione mentre muoiono bambini inermi — restano al governo ‘na cinquantina
d’anni almeno, se siamo onesti. Gli dei accecano chi vogliono perdere,
figurarsi questi accecati da sé che si sentono déi o dei padreterni anche se
continuano a perdere — lettori, elettori, elite e masse che oramai li ritengono
un’elitaria massa di peracottari: poco (gli) importa, l’importante è dare la
colpa al vuoto democratico se il voto (al Partito) democratico è per la
maggioranza degl’italiani ‘na prospettiva storico-politica sporca e storta se
non morta. Se il popolo non capisce, non recepisce, ingrato e ignorante non
gradisce — beh — cambiamo il popolo. Il momento è questo, con questi signori
che prendono tutto sul serio e sul serioso: pure Brecht; che sono talmente
avanti e Democratici da essere disposti a essere un tantino antidemocratici,
pur di far prendere al volere popolare (e populista) un piccolo break. Se pure
le teste si accodano a tutto il resto, siamo apposto.
Chiaro e cupissimo che sulla
(ri)costruzione di un’alternativa alla cosa giallo-verde, in questi termini malati
e terminalissimi la cosa si fa grigio-nera tanto si complica: soprattutto se
dove prima c’era un’area culturale e politica incasinata e conflittuale ma
almeno ancora viva e critica — al netto del lordo e indecoroso finto fugone di
Renzi il figone rimasto però a tirare i fili come un Don Rincogliovito Corleone
— adesso c’è il ciarpame da ciapanò ciacolante e cigolante di Stampubblica: che
ancora attacca lo spiegone ma soprattutto l’asino-(e)lettore dove vuole il
Padrone. I due giornali che assieme non ne fanno più uno, gli organi
pensieriferi degli Agnelli Santi e De Benedetti subito che c’hanno come comune
idolo e manutengolo Calabresi (roba da class action istantanea dal Pollino allo
Stretto dei calabresi in minuscolo, ma mai quanto il povero Mariotto…) che non
ne prendono una e non ne azzeccano mezza. La martellante e martirizzante
campagna su Tria Eroe del Rigore, schiena dritta che tiene la linea, e che
invece poi si rivela uno che si tiene il posto e si allinea; e a propostio di
posto: posto che non è una gara ma una tara, come si fa — con una campagna
ideologica che puzza più di una biologica — a paragonare un cantiere in nero
dei Di Maio colla banca in rosso dei Boschi che per Etruria facevano incontrare
bersaglieri del governo e faccendieri i più loschi? Con tanti riti democratici
magari triti ma che vanno rispettati, con tanti diritti individuali (solo per
oggi solo di immigrati) conculcati, davvero la riscossa dell’opposizione deve
partire dalla marcia Sì Tav di quache migliaio di persone mosse a compassione
delle damine i cui maritoni — se zompa tutto e perdono il treno — chissà per
quanti miliardoni restano fregati?! La verità? Dove prima c’erano Bolzoni e
D’Avanzo e Scalfari non ancora pontefice, ora abbiamo i De Feo-Bonini a nulla col
Fondatore in para religiosa che spara doviziosa intervista-bufala al papa di
cui lui stesso è artefice: roba che in confronto sembrano un giornale che
insegue la verità pure il Giornale Libero o la Verità… Brutta fine, cattivi
mezzi, pessimi fini. Gente che si sente depositaria del Partito d’Azione, che
però ha creduto nel Partito della Nazione con Silvione in quanto — in realtà e
slealtà — ha agito da partito dell’azionista con relativi depositi in cogente valuta
bancaria. Altroché patrimonio d’idee, lasciti spirituali, qua parliamo di
patrimoni che lasciano e devono lascisre il segno più, altroché restare tal
quali. Il giovane vecchio Renzi, e il vecchio potere sempre nuovo che utilizza
giornalisti compiacenti deprimenti e/o incompetenti come lenzi. Tutta una
storia che s’intreccia, che inciucia, che s’incasina ma si dipana: anche se c’è
chi vorrebbe non lasciasse traccia. L’ex leader che spiffera a De Benedetti che
spiffera al broker quei bei giochetti: 600.000 euro più interessi netti, e
un’inchiesta ancora aperta ammesso che ci sia ancora chi si interessi ai
trucchi e alle cricche di disonesti e inetti. Mica pochi, De Benedetti con Jaki
e subito, ecco i sol(i)di principi del giornalismo fu-progressista, dei padri
della sinistra che siede e presiede alla destra moderata in costruzione presso
i figli di chi ha costruito le sue fortune sulle sfortune dell’automobilista.
Il disastro, l’incuacchio, l’inguaiante
e sguaiato papocchio è tutto un problema di credibilità, di moralità
professionale e politica, di credibilità intellettuale e morale prim’ancora che
politica. Tu che protesti alla grande, che ti protesti grande e maturo
abbastanza per attaccare duro, non dovresti avere pretesti a cui
poterti/doverti attaccare per fare quello bello buono e puro a oltranza. A
questi che in fondo (a destra o a destraccia, magari) attuano il loro programma
cosa vuoi e come puoi gridare il e al peggio, quando dal Renzerendum in poi —
con pazzie tipo l’articolo 18 da comma 22 — col governicchio da un golpetto al
cerchio e uno alla botte ti sei accucciato e hai accompagnato tutto
l’imprevisto e l’imprevedibile e l’impresentabile in qualunque programma
(financo il Grande Fratello Vip) che neppure una versione Permaflex del paggio?!
Chiedere scusa, non cercare scuse, ripartire da persone meno confuse e idee
meno colluse. Dicono che a Marzo ci sarà un congresso — forse senza idoli né
piccoli Cesari né Idi — coi suoi bravi candidati, coi suoi bei contenuti, tutti
vaghi e tutti uguali e tutti vuoti peggio dei lidi a Marzo. Non saranno le
ennesime Liti di Marzo con morti di sonno e feriti a monte del discorso politico generale, a fare la differenza. Non è
da oggi, che per questa sinistra non c’è un domani. Sembra ieri, ma dall’ultimo
treno passato — in vano, e passatoci addosso — sono passati 16 anni. Nanni
Moretti (come tutti noi presi in Girotondo dal partito, messo male: da sembrare
il Babbo Natale della Bistefani, indistribuito inascoltato e incalcolato colle
sue rughe e il suo film sul golpe di Santiago del Cile di cui oramai poco si sa
e ancor meno ne cale…) gridava con questi
dirigenti non vinceremo mai. E che ne dovevamo sapere, che invece avremmo
vinto ma sarebbe stato come (e forse peggio di) perdere? E che il Giovin
Rottamattore fanfarone e fanfaniano che sarebbe venuto dopo di loro, a momenti
c’avrebbe fatto sembrare l’era dei Vecchi RottaMaturi come l’età avanzata
dell’oro? La frattura e la iattura — forse — sono partite da lì. Col Ceto Medio Riflessivo (che cazzo di
nome, anche noi…) che coi vari Pancho Pardi domandava di nuovo sinistra
giustizia e libertà, e gli avariati GauchePardi a rispondere nuovo centro
e governabilità.
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