martedì 1 gennaio 2019

FELICE CAPODANNO O GIUSEPPE CAPO-DANNO?

Com’era quella? Ah sì il silenzio è d’oro: ma colla crisi di liquidità e da omertà che c’è, figurarsi se possiamo permetterci di regalarvi ancora il nostro silenzio d’oro Zittino. Si ricomincia, si Papaluteggia di nuovo, non si coglioneggia né coll’anno né col danno nuovo. E quindi, dov’eravamo rimasti (di merda)? Certo, al Governo del Popolo, ai gialloverdi vendicatori occhio per occhio del popolo stanco del vecchio… Come no!

Dal ponte di Genova caduto in testa alla gente a quello di Ferragosto saltato a Casalino urlante come se il ponte gli fosse cascato dal dente, Noi Parolai Papaluti — più costipati che composti, più sudati che rapiti — come in un attacco di mal di suspanza che fino all’ultimo non sai se è una scorreggia pesante o una sgommamutanda leggera, da prima della primavera e della prima vera estate da ecstasy del SalviMaio fino ad ora che è Natale siamo rimasti muti. In attesa, con un’aria curiosa seppure già viziatella e bella tesa; cogli occhi spalancati — e i naticoni sigillati — abbiamo aspettato impazienti eppoi imbarazzati (in tutti i sensi…) e impotenti, senza pregiudizi e senza viagra: ma in questi mesi dell’a(n)no di governo non si è combinato cambiato o quagliato niente, e la dolce vita promessa è rimasta agra. In compenso — nel nuovo gabinetto del Nuovo, come da procedura (Ideal) Standard messa a punto dai precedenti inesecutivi, niente Flat Tax o No Tav ma molto Splat Tazza — sì è cacato moltissimo. Quasi tutto il cacabile, per l’esattezza o l’esilarante tristezza, facendo capire che questo è davvero il governo del Cambiamento — d’idea, di numeretti da sragionieri Fantozzi, di promesse da martellarci i tg e le palle tipo Tafazzi, della carte Scottex in tavola cambiate a seconda dei bisogni, d’ideuzze e promessone rimandate o rimangiate con numeri da circo Togni(nelli). Acrobazie senza rete, peripezie con troppe sparate e troppa Rete, reddito di coglionanza per tutti e con tutti in pensione fra arrampicate sugli specchi fino a quota 100 o 1000 buone per chi scende dalla montagna del sapone — venghino siori venghino, che qui c’è uno spettacolo talmente grande che servono tre piste: di coca, per reggerlo. Fortuna che per svagarsi e sviarci ogni tanto il Capitano del Popolino sale su una ruspa, colla camicia nera sotto la felpa verde e sopra la panza alla zuava scende (se possibile) ancora di livello, si posta mentre si mangia un Ringo con dentro il bimbo negro dello spot (i famosi Orango Boys), da Ministro della Malavita fa il forte coi deboli tipo Mimmo Lucano ma per il suo elettorato ‘ndranghetista forte da piombo di Riace c’ha il debole: lo copre, lo coccola, lo ignora o lo sottovaluta: tratta il crimine più infiltrato e incancrenito a livello nazionale e locale (vero, Calabrisello Nostro Oliverio?) come se si fosse intasato il lavello. Non ne capisce un tubo,  ma al videogioco della telepolitica a tutto gas lo stesso ci pensa Super Matteo Bros viva Putin e abbasso Soros. Si fa subito, si fa presto a dire, basta fare presto a dichiarare anziché risolvere e chiarire. Un problemino d’idraulica, di retorica, che cos’è ‘st’ossessione per la Mafia che non siano i nigeriani negroni o quegli zingari di merda dei Casamonica?! Il Ministro sa, il Vicepremier dice, il Capitano uno e trino poi ci posta uno slogan o un filmatino che la folla folle di folliwers benedice. Tu sì che risolvi cazzo, c’avessimo ancora un pantano da bonificare sembreresti il format putiniano del Duce.

Eppure questo, per quanto male, non è il peggio. Il Signorino tutto CasaPound&Chiosa, la pasta d’uomo e di Capitano che è ovunque per dichiarare/discettare/dispensare sovrana saggezza sovranista sopra ogni cosa, il pezzo di Capitone cornutone che sguiscia sulle corna in bella vista e gli va liscia pure sulla cornucopia in nero di soldi nostri alla Lega che beato chi l’ha vista — almeno — è una cosa seria, che ogni giorno si aggrava; ma Giggino ‘A Macchietta? La grande tradizione Italo-Flaiana di roba grave ma non seria uno così, tutto incravattato e serio che non capisce d’essere ridicolo grave, non lo meritava. Mister Muscolo e Maiuscolo, ll nostro eroe, la nostra eroina, la ciambella col buco nel braccio senza cui non sappiamo stare è Lui(gi). L’uno e bino e birichino vicepremier e ministro del Lavoro — a una piazzata, a una trovata, a una tragicommedia di cazzata sempre nuove — che ha abolito la grammatica anziché la povertà, che vuole distruggere l’abusivismo (pure del padre…) a botta di condoni, che spunta le liste Fatto-Fatto più di uno a San Patrignano e preciso a Berlusconi, che si affaccia dal balcone come un Peron mentre l’alleato Matteo se lo beve come una Peroni e lo affonda come fosse un barcone. Nel suo mare di supercazzole, nel suo stesso brodo di Giggiole, di cambi d’idea e di linea su cose e persone. Dalla Manina che gli trucca i dossier da portare in procura a Mattarella che si deve impeacchare e non impicciare, che dal Quirinale prima bisognava spostarlo in tribunale ma adesso invece per l’Italia è una sinecura; dal balletto sulle cifre e sulla tessera del reddito di cittadinanza al tip-Tap sulle opere pubbliche, ci fosse una cosa che una che resta salda uguale e sicura. Un uomo un perché mai, un kamasutra di posizioni e riproposizioni politiche, un karaoke di parole vuote o scritte sbagliate, ‘na riga e ‘na cravatta anziché un caschetto ‘nu jeans e ‘na maglietta per riassumere il ritornello del Nino D’Angelo della politica: l’ex stagista diventato stragista di ex voto o promesse solenni e mancate, di contraddizioni a non finire poi finite sempre in solenni e insolenti minchiate. Signori, ecco a voi il segretario di maggioranza relativa — e d’intelligenza pure, ma di DiMaioranza assoluta: con impreparazione faccia tosta e impertinenza che nel deserto del curriculum da Reuccio Sola spledono come gemme pure. Per lui troppe sarebbero le domande, ma Lui(gi) è di per sé una risposta: a quelli che credono che la politica non sia un mestiere, che sia per tutti quelli che vogliono farla, che improvvisazione batte preparazione e che alle brutte basta buttarla in vacca e in videochat, in urla e/o in burla. Risultato? La Lega parecchio avanti nella cannibalizzazione, inevitabile come l’andare avanti ma in fumo nell’alleanza di governo (buono come la lenza per chi abbocca…) tipo la cannabis colla relativa legalizzazione. Il partito più vecchio e zozzo — ma pure più professionale — che si mangia il più nuovo presuntuoso e rozzo, che voleva aprire la scatoletta di tonno del parlamento e finisce portato a scuola — pappato vivo e parificato a crudo — come una macchietta da perculamento a tutto tonto. Tutte le cose buone non le fa manco la Lega, le fa proprio Salvini: le cose buone a parole ma a nulla nei fatti o di fatto, manco a dirlo Di Maio o uno dei suoi sparlanti grillini. Un film che non può, ma fino ad ora è così che è andato avanti. Forse arriverà la resa dei conti, il rendersi conto che così è un’incondizionata (p)resa per il culo, ma intanto. Il tempo passa, e il secondo di ‘sto Cinepaccone di Natale alla Borghi e De Sica che non fa manco più ridere, sembra non arrivi mai. I Soliti Idioti, scemeggiatura da Checco Zelota e Coglione, da copione scontato — sì — ma a prezzo pieno per i soliti coglionati. Caro e amaro, col bilancio che si fa sempre più avaro. Promesse grosse e premesse false, finanziarie sudamericane, cifre sballate e ballanti in tutti i merengue e le salse: una (il)logica propagandistica che dalla piazza anti-palazzo al piazzismo da strapazzo li portava a dire dell’Europa e della matematica non ce ne frega un cacchio: e che invece alla fine ci ha portato a benedire l’Europa che ci ha concesso l’aritmetica certezza di metterci in ginocchio sui ceci, suo nostri errori per cecità, e colla testa nel cappio. ‘Na roba da si Salvini chi può, che sembrava ‘n’incubo da notte di mezza estate e mezza ecstasy già a maggio, che si capiva che poteva andare solo Di Maio in peggio. Come in effetti; ma ce li ricordiamo i Fonzie e gli Stronzie e le facce da cool di prima? — ci siamo detti — allora bocca del culo mio taci e aspettiamo ancora, e se non interdetti dal giudizio ci siamo stati zitti perché affrettarlo e affettarlo è un brutto vizio. La politica è questione di efficacia, non di originalità, e l’argomento Allora Quelli di Prima — allora, almeno — per quanto ripetuto aveva ancora una sua efficacia e veridicità.

Poi però è cambiato il clima, da Genova in poi l’abuso di (all’incirca…) buone intenzioni e pessime attuazioni ha toccato il climax, ma soprattutto è uscito il solito libro fotocopia di Bruno Vespa feat. Xerox, che quest’anno però si chiama Rivoluzione. Eddai allora. Il colmo dei colmi, il colpo che proprio non si può restare calmi, davanti a una scoperta e a ‘sta sorta di  provocazione. Muti? Ma qua bisogna essere Sordi: Marpione m’hai provocato, e io te disturbo (sì, no, parafrasi di sicurezza: ché il Brunosauro non lo distrugge manco ‘na banda rumena di meteoriti…)! Spiegare cosa si cambia, cosa no, come e cosa non si cambia per non morire. Se del tema può scrivere la Fiorella Mannoia del Biancofiore simbolo d’Andreottiano Amore (e adesso cerimoniere e anfitrione del nuovo potere gialloverde che sulle nivee poltrone ci fa notte e tana, buona notte e buona tana eleggendovi le proprie dimore…), il vincitore a vita per la vita e ad honorem del Telegattopardo — un po’ come se a parlare dei pericoli del lardo fossimo chiamati noi, il Consorzio di Colonnata e il New Bisteccone Galeazzi Pierluigi Pardo — ci siamo detti che possiamo cominciare a riscrivere pure noi. E a rileggere i saggi, a ripescare i fatti e a rifare i detti e gli spot, a rimandare a leggere e/o a cacare quelli che campano di detti e fanno i saggi e i romanzetti per sport. Provare per credere all’incapacità? Toccare il fondo e la piaga per recedere dall’incredulità? Noi non siamo San Tommaso — siamo atei devoti e apoti di San Tomasi di Lampedusa: anche senza toccare il costato (meglio una costata, e da bere un rosso anziché balle a più non posso…) sappiamo benissimo che perché non cambi niente bisogna promettere che tutto cambia, magari in un mese in una legge e in un niente: anche se ancora non sappiamo alla fine quanto ci sarà costato. Ma, tantino per cominciare, qualche miliardata di spread per la manfrina della Legge di Bilancio che vien di notte — della Vigilia e della Repubblica — colle tasche tutte rotte e le tresche quasi tutte scoperte scorrette sospette e/o corrotte; senza coperture né decenza, colla coperta e la memoria corta ma colla longa manus aperta e scoperta delle varie lobby che dovevano sloggiare (ahahah!) sempre in forma e in pasta emmai troppo in ombra: insomma con molto in comune colle precedenti legislature in quanto a furbizia e arroganza. Tutto come prima, però destinato a peggiorare quanto prima. Perché uno come L’Avvocato del Popolo, l’Avventato del Pallottoliere, l’Avventurato dell’Obolo elemosinato all’Europa — insomma — uno come Giuseppe Conte non si è mai visto, neppure nelle peggiori esperienze balnear-bananiere. Nella Confierezza Stampa di fine d’anno e inizio danno, è stato uno spettacolo (pietoso, struggente, schifaviglioso) sentirlo parlare — e orgogliosamente — di come tutte le promesse siano state rispettate, di come tutte le promesse promosse in televendita siano state mantenute, di come Bruxelles e l’Italia tutta felice e contenta (isole comprese, tutte sorrisi e paradisi che manco le Seychelles) abbiano approvato e/o applaudito tutte le loro mosse. Principe del Foro magari no, ma re per una notte della ragione e del cabaret sicuro. E non parliamo del resto, del contesto, dello straparlare Quotidiano che pare il Resto del Grillino; del Triare a campare, delle botte da Orban del caro fasciamico svasticato che col cazzo che ci fa sforare o sfornare scuse da accampare, dei puntini messi sullo zero virgola quattro per fare credere che non si è voluto cedere né ci si è fatti fregare. Che dire? Niente di nuovo, sotto il Sola. Renzista a 80 euro, sovranista a 24 carati, grillista a 5 stelle, la commediaccia dell’arte d’arrangiarsi non morirà mai, vivacchierà per sempre: d’espedienti, di cotillon e promesse ai creduli ai disagiati e più coglion, di pezze a colore e al culo con dolore. Nostro, che ce ne accorgiamo (o vogliamo accorgercene…) sempre tardi. Che amiamo farci infilzare e infinocchiare dal nuovo mood anti banche Soros e Moodys come tordi. Prima c’erano i buonisti finti-buoni e fighetti — che schifo, abbasso, tutti giù per il buco di bilancio e del cesso — e adesso ci siamo noi: i buoni-buoni, pure in Economia e del Tesoro, anche se buzzurri rozzi e brutti. Sarà, a noi sembra che non ci sia niente (di nuovo, di buono, che non faccia pensare a scimmioni mica intelligenti come i Bonobo) sotto quelle felpe e quei post, quei blog-borigmi e quei rutti. Un cambiamento peggio che inutile, impossibile: dove neanche cambiare solo canale è utile, dato che 24/7 ci trovi qualche emulo o e-somaro del governo del cambiamento possibile: sì, ma solo a chiacchiere crossmediali e integrali 24x4 dalla Rai a la Sette. E — diversamente dal sistema di governo — bisogna riconoscere che funziona, ‘sto sistema di tele e tweetcomunicazione: paga dividendi e ripaga gl’incazzati cronici pro-Di Maio e di brutto come i reazionari in toto e i nostalgici di tutto, a cominciare dalle (ri)vincite del Totocalcio col sistemone che ti pagava un po’ di dindi. Semplice ma efficace, solido perché poggiato su lunghe colonne di X: che solo per i detrattori sono incognite, ma per i deliziati elettori sono simbolo d’impareggiabile pareggio di bilancio fra quanto promesso e quanto poi promosso con app e apposite tweetelevendite. Abbiamo fatto, facciamo e faremo delle cose: dateci tempo; abbiamo tempo, tranquilli che facciamo e faremo delle cose. Tautologia in grisaglia, dal Pueblo Unido y Encazado per nulla avvertita come canaglia — al punto che si ciuccia in letizia Al Bano in summit Nostalgia con Salvini al ministero della Fede come l’ottava meraviglia. Evvabbé. Butta così, e cerchiamo di non buttarci di sotto mentre ci buttiamo legittimamente e legislativamente giù. Il governo che abbiamo — anche scelto, come italiani e come coglioni incazzati — è questo. False soluzioni a problemi veri, alte promesse e bassi compromessi per ritocchi tarocchi giocando di virgole e zeri, e con questi chiari di l’una tantum, tanti auguri: di Buone Feste e Felice Capodanno, che nella sagra e nel sabba dei politicanti poli-litiganti si ritrova un premier che al massimo può fare il Giuseppe Capo-danno.  

E ok, e va bene, anzi male, anzi proprio ko. Sul governo abbiamo una posizione, ma lo vogliamo dire a che a ‘sto governo non abbiamo un’opposizione? Benissimo, tutti d’accordo sul malissimo e sul fatto che da sta parte più che uno schieramento c’è uno schienamento, ma da qui ripartiamo con cosa e chi? Il Macron bastione e carota dell’Antipopulismo che prima s’indigna eppoi s’inchina alla piazza, l’Insultatore Closeau che contro i gilet gialli — colla sua grisaglia grigia ma pezzata a colore — fa ridere come la Pantera Rosa, quello fermo e tosto coeme un budino che prima ci va in puzza eppoi li segue a ruota?! Oppure fare un brindisi e un referendum, un prosit e un preferendum per l’etilista evasore Juncker che ama il whisky almeno quanto i soldi loschi contro il sovranista eversore Salvini che gradisce di più l’amaro (contro) Lucano da sfollare coi suoi negri in bei treni piombati tedeschi!? Se è questo o fra questi che bisogna scegliere, la scelta migliore è chiudere sbaraccare e sciogliere. Tanto per quello che è rimasto in questa terra di nessuno, in cui il primo terra-terra si sente Qualcuno, uno scienziato titolato a intestarsi e intestardirsi colla sua correntina percentuale e personale dello 0,1… A furia di coltivare l’orticello clientelare affarista e personalista, l’intero campo d’Agramante progressista è fertile e arrapante come una vecchia bagascia o una visita dal dentista. Perché questo governo ha tante colpe, molti demeriti, tanta troppa impreparazione premiata dall’indignazione — ma c’ha il culo di non avere alternative, controparti credibili o creative, solo un contropartito di ricreative e divertenti facce di culo da facce ride come opinabilissima “opposizione”. Molto fra virgolette, molto spesso fra dispute appese a puntini trattini e virgole che sembrano solo bluff bari e coglionette, fra personalismi e magheggi da fare sembra Goldrake e Mazinga dalla A alla Z pure i personaggi di Goldoni nelle Baruffe Chiozzotte. Un deserto dei Tartari e dei Neuroni, un non-luogo dove i luoghi comuni sulla superiorità morale e culturale della sinistra sono ancora usati creduti e abusati, dove tanto per capirci tutti sanno chi è Goldrake ma nessuno legge più Buzzati o chi era Goldoni. ‘Na specie di giardinetti del manicomio, un parco a tema Ospedale dei Pazzi che si fanno a Pezzi, terra di sepoltura della speranza d’un nosocomiale Narcisisticomio in un cui ancora attecchisce, alligna e intigna la convinzione che la Sovranistica e Maledetta primavera sia solo una fase passeggera. Ma dove vogliono andare, l’Italia e gl’italiani, senza di noi! Posizioni e presunzioni nuove tanto per cambiare, utili e accattivanti quanto le zanzare. Scambiano una fase e una sconfitta storiche per una cosa transitoria, da affrontare con qualche frase frusta e frustrante pure per la più spompa sfigata e sfessata delle propagande politiche nella storia. Quando si dice credere obbedire e combattere: credere all’irrealtà delle proprie fantasie, obbedire alle proprie manie di grandezza, combattere e fare a pugni colla realtà in scioltezza e stoltezza. Più che automatico, predicare e pronosticare un dietrofront di tanti elettori dal Fronte Nazional-Sovranista sembra fantomatico, fantapolitico, fanaticamente anacronistico e fottutamente lisergico allucinante e autolesionistico. Roba dsa LS(P)D… Va bene che il governo più che governare al massimo sembra galleggi, va bene che non sono il Vangelo anche se li si citano in coro tipo Và Pensiero, ma cazzo diamo un’occhiata ai sondaggi: Pd da prefisso telefonico, M5S in stallo/calo cronico, alla faccetta nera di tutto e tutti Salvini dal 30 in su: un numero percentuale da telefonata urgente per Palazzo Chigi dal Quirinale. Hai voglia di sperare, di confidare nelle beghe di coalizione e farcisi su un po’ di seghe a pranzo cena e colazione, è chiaro che la luna di fiele del popolo italiano col populismo italiota — con gli chi dà qualcuno e qualcosa da odiare in cambio della propria paura che paga vota e vale come cambiale — prosegue. Salvini primo partito significa che se cade questo governo la gente dopo non è che non crede a niente, crede a tutto: e alle prossime elezioni arrivano in parlamento pure i Nazisti dell’Illinois, altroché sperare nei Macrominchion in differita col ritorno in proprio e ancora con qualche ritorno politico dei Renzi boys!

Ma andiamo avanti così. Avvelenamento dei pozzi, avvicendamento di pazzi, autoaffondamento d’un canchero di barca senza timone e tutta timore e/o tumore che tutti (i peggiori) vogliono guidare a costo di farla a pezzi. Squagliatosi il boss della banda della Maiala non s’è squagliato nulla di buono, ma non s’è sciolto un nodo che uno: s’è solo coagulato un fondo colloso e speculativo d’imprenditori falliti intellettuali fallati e inciucisti incalliti che — in ragione del loro libello d’assegni pesanti o libretto da rassegne politiculturali onnipresenti e onnipressanti — credono di poter comandare la banda della Maglia di lana a collo alto da pensatore fra le macerie e le macellerie come alla Magliana dopo la morte del Libano. Troppe serie, poche letture e su cose troppo poco serie. Ammainato il Bargiglio Magico, il primo (mica) fesso si crede di poter essere ammirato come il nuovo Galli Della Loggia (P3, P4, chiedete a Verdini…) nel pollaio. Pensatore di riferimento, tessitore e ispiratore di livello, finanziatore e influencer nonché king&think maker acuto da ferimento. Possibilmente da coltellata al compagno di banco ma dell’opposta schiera, prima che lo scompagno di scompiglio tipo Banco ti turbi il sonno o ti bruci sul tempo e ti buchi a sua volta la schiena. Non bastasse ‘st’atmosfera da Shakespeare in Love Boat e in sedicesimo, alla Via Croceris con Colonna Sonora e Infame di Little Tony e Big Renzy aggiungeteci pure le meglio teste di rapa d’un Riformismo che architetta almanacca e arrapa come la poligamia nel catechismo. Se partiti e istituzioni servono come il giornale di ieri, figurarsi il giornale di domani che di ieri non ha conservato il prestigio, ma solo il vezzo il vestigio e il vizio di forma dementis di dettare la linea a partiti elettori e istituzioni. Senza fare nomi, ma solo cognomi di cotanti nomi, noi compriamo Repubblica da vent’anni con convinzione e senza condizionamenti: ma avanti così ci toccherà mettere il condizionale o la condizionale per scontare i prossimi venti. Distillatori di pensiero che hai voglia di feste e d’idee, alla fine gli ex maghi del giornalismo sono solo dei domandatori-porgitori di microfono microcefalo, dei Babbani Natale che regalano idee che basta il pensiero. Un clima, un’area condizionata, un’aria caudataria incondizionata che s’interroga tipo Indovina Quidditch: una visione mondo e una previsione del meteorismo che inizia dai Grandi Leader passa per Floris e finisce a Harry Potter. La religione della televisione, del pop più corrivo, delle app del miliardario più simpatico e sportivo come hip-hoppio di ‘sto popolino anti-populisti che nel frattempo si fanno (mussoliniana) legione: e che così — attaccati da ‘sta marmellata informe sulla Nutella di Salvini a colazione mentre muoiono bambini inermi — restano al governo ‘na cinquantina d’anni almeno, se siamo onesti. Gli dei accecano chi vogliono perdere, figurarsi questi accecati da sé che si sentono déi o dei padreterni anche se continuano a perdere — lettori, elettori, elite e masse che oramai li ritengono un’elitaria massa di peracottari: poco (gli) importa, l’importante è dare la colpa al vuoto democratico se il voto (al Partito) democratico è per la maggioranza degl’italiani ‘na prospettiva storico-politica sporca e storta se non morta. Se il popolo non capisce, non recepisce, ingrato e ignorante non gradisce — beh — cambiamo il popolo. Il momento è questo, con questi signori che prendono tutto sul serio e sul serioso: pure Brecht; che sono talmente avanti e Democratici da essere disposti a essere un tantino antidemocratici, pur di far prendere al volere popolare (e populista) un piccolo break. Se pure le teste si accodano a tutto il resto, siamo apposto.

Chiaro e cupissimo che sulla (ri)costruzione di un’alternativa alla cosa giallo-verde, in questi termini malati e terminalissimi la cosa si fa grigio-nera tanto si complica: soprattutto se dove prima c’era un’area culturale e politica incasinata e conflittuale ma almeno ancora viva e critica — al netto del lordo e indecoroso finto fugone di Renzi il figone rimasto però a tirare i fili come un Don Rincogliovito Corleone — adesso c’è il ciarpame da ciapanò ciacolante e cigolante di Stampubblica: che ancora attacca lo spiegone ma soprattutto l’asino-(e)lettore dove vuole il Padrone. I due giornali che assieme non ne fanno più uno, gli organi pensieriferi degli Agnelli Santi e De Benedetti subito che c’hanno come comune idolo e manutengolo Calabresi (roba da class action istantanea dal Pollino allo Stretto dei calabresi in minuscolo, ma mai quanto il povero Mariotto…) che non ne prendono una e non ne azzeccano mezza. La martellante e martirizzante campagna su Tria Eroe del Rigore, schiena dritta che tiene la linea, e che invece poi si rivela uno che si tiene il posto e si allinea; e a propostio di posto: posto che non è una gara ma una tara, come si fa — con una campagna ideologica che puzza più di una biologica — a paragonare un cantiere in nero dei Di Maio colla banca in rosso dei Boschi che per Etruria facevano incontrare bersaglieri del governo e faccendieri i più loschi? Con tanti riti democratici magari triti ma che vanno rispettati, con tanti diritti individuali (solo per oggi solo di immigrati) conculcati, davvero la riscossa dell’opposizione deve partire dalla marcia Sì Tav di quache migliaio di persone mosse a compassione delle damine i cui maritoni — se zompa tutto e perdono il treno — chissà per quanti miliardoni restano fregati?! La verità? Dove prima c’erano Bolzoni e D’Avanzo e Scalfari non ancora pontefice, ora abbiamo i De Feo-Bonini a nulla col Fondatore in para religiosa che spara doviziosa intervista-bufala al papa di cui lui stesso è artefice: roba che in confronto sembrano un giornale che insegue la verità pure il Giornale Libero o la Verità… Brutta fine, cattivi mezzi, pessimi fini. Gente che si sente depositaria del Partito d’Azione, che però ha creduto nel Partito della Nazione con Silvione in quanto — in realtà e slealtà — ha agito da partito dell’azionista con relativi depositi in cogente valuta bancaria. Altroché patrimonio d’idee, lasciti spirituali, qua parliamo di patrimoni che lasciano e devono lascisre il segno più, altroché restare tal quali. Il giovane vecchio Renzi, e il vecchio potere sempre nuovo che utilizza giornalisti compiacenti deprimenti e/o incompetenti come lenzi. Tutta una storia che s’intreccia, che inciucia, che s’incasina ma si dipana: anche se c’è chi vorrebbe non lasciasse traccia. L’ex leader che spiffera a De Benedetti che spiffera al broker quei bei giochetti: 600.000 euro più interessi netti, e un’inchiesta ancora aperta ammesso che ci sia ancora chi si interessi ai trucchi e alle cricche di disonesti e inetti. Mica pochi, De Benedetti con Jaki e subito, ecco i sol(i)di principi del giornalismo fu-progressista, dei padri della sinistra che siede e presiede alla destra moderata in costruzione presso i figli di chi ha costruito le sue fortune sulle sfortune dell’automobilista.

Il disastro, l’incuacchio, l’inguaiante e sguaiato papocchio è tutto un problema di credibilità, di moralità professionale e politica, di credibilità intellettuale e morale prim’ancora che politica. Tu che protesti alla grande, che ti protesti grande e maturo abbastanza per attaccare duro, non dovresti avere pretesti a cui poterti/doverti attaccare per fare quello bello buono e puro a oltranza. A questi che in fondo (a destra o a destraccia, magari) attuano il loro programma cosa vuoi e come puoi gridare il e al peggio, quando dal Renzerendum in poi — con pazzie tipo l’articolo 18 da comma 22 — col governicchio da un golpetto al cerchio e uno alla botte ti sei accucciato e hai accompagnato tutto l’imprevisto e l’imprevedibile e l’impresentabile in qualunque programma (financo il Grande Fratello Vip) che neppure una versione Permaflex del paggio?! Chiedere scusa, non cercare scuse, ripartire da persone meno confuse e idee meno colluse. Dicono che a Marzo ci sarà un congresso — forse senza idoli né piccoli Cesari né Idi — coi suoi bravi candidati, coi suoi bei contenuti, tutti vaghi e tutti uguali e tutti vuoti peggio dei lidi a Marzo. Non saranno le ennesime Liti di Marzo con morti di sonno e feriti a monte del discorso politico generale, a fare la differenza. Non è da oggi, che per questa sinistra non c’è un domani. Sembra ieri, ma dall’ultimo treno passato — in vano, e passatoci addosso — sono passati 16 anni. Nanni Moretti (come tutti noi presi in Girotondo dal partito, messo male: da sembrare il Babbo Natale della Bistefani, indistribuito inascoltato e incalcolato colle sue rughe e il suo film sul golpe di Santiago del Cile di cui oramai poco si sa e ancor meno ne cale…) gridava con questi dirigenti non vinceremo mai. E che ne dovevamo sapere, che invece avremmo vinto ma sarebbe stato come (e forse peggio di) perdere? E che il Giovin Rottamattore fanfarone e fanfaniano che sarebbe venuto dopo di loro, a momenti c’avrebbe fatto sembrare l’era dei Vecchi RottaMaturi come l’età avanzata dell’oro? La frattura e la iattura — forse — sono partite da lì. Col Ceto Medio Riflessivo (che cazzo di nome, anche noi…) che coi vari Pancho Pardi domandava di nuovo sinistra giustizia e libertà, e gli avariati GauchePardi a rispondere nuovo centro e   governabilità.

La verità è che noi Papaluti convinti orgoglioni e scontenti abbiamo votato Liberi e Uguali — e lo sapete — ma quelli di sinistra che per vedere mandati a casa questi che sono il peggio sono andati e si sono Associati alla Casaleggio, noi li capiamo. Non li giustifichiamo, ma in nome delle istanze di Giustizia e Libertà sempre sperate e sempre più disperate, noi li capiamo. Il problema adesso non è andare o tornare a casa, ma andare su una strada che riporti a Causa. Alle ragioni della sinistra, che non stanno al centro né tantomeno al centro storico o commerciale: stanno in periferia, e stanno con quelli che hanno tutti i torti. E che attorno a loro vedono passare la vita senza manco veder passare un autobus: solo uno della CasaleggioPound che gli porta su la spesa della nonna o gli posta su un commento razzista-rabbista-antirenzista da dirgli bene bravo bis per la madonna!!! Va bene farsi ascoltare e dire telegiornalmente che quello del governo è un libro dei sogni, ma poi tocca ascoltare e appuntarsi su un libretto le paure, le esigenze, i bisogni. Bisogni che vanno capiti e non manganellati, esigenze e paure che vanno placate e non placate come ha fatto Sua Saccenza Minniti. Umiltà, capacità d’ascolto, ma anche doti strategiche e lucidità. L’importante non è essere di sinistra, ma farla; non è tenersi il marchio ma lasciare il segno: è mantenersi in contatto con chi si sente di sinistra, ma vota chi propone cose che la sinistra non fa (più). Non si dice allearsi o allinearsi coi Cinque Stelle, ma almeno allenarsi a parlare con li ha scelti. Non fare come i renziani ancora attivi — almeno quelli non trombati inquisiti o ricercati per zero in condotta ma cento contratti-mancia in Condotte — per cui tutti gli elettori di Di Maio e Salvini sono tutti brutti sporchi e cattivi. La linea Firenze-Rifredi non passa, non deve passare, semmai deve passare la mozione di ritorno a Scola e Manfredi. Voler capire, rimboccarsi le maniche e le politiche, non voler scappare arraffati quei quattro voti per le politiche. Davanti al furor di popolo, guai ad andare in puzza, a sentire sempre e solo puzzo e afror di popolaccio. Ascoltare, consumare scarpe anziché pastasciutte e scarpette, senza agitarsi capire gli ex elettori Piddì oggi Pd-Mai-Più per poi agire. Da partito partire da cose concrete, e subito, non sparati e sparuti dalle solite sparate. Strappare i 5stelle a Salvini e alle solite balle, mettendoci coraggio e contenuti e tirando fuori sia le proposte che le palle. Ad esempio. In Bona o Malafede che sia, la legge anti-corruzione del ministro di Giustizia una sinistra Giustizia e Libertà è Legalità non può averla in antipatia. La corruzione in Italia costa circa 250 miliardi all’anno, punire la tangente e recuperare il contante sarebbe un’autentica svolta. Certo, con un provvedimento organico e mirato, anziché sgangherato e sbandierato. Ma sarebbe un primo passo. Con quei soldi hai voglia di reddito di cittadinanza: avrebbero cittadinanza finanza e resa le migliori proposte di spesa. E’ cosi che un vero partito progressista e riformatore — non pseudo-socialista ma progressivamente conservatore — fa strada, non facendo scudo agli scudi da laute strade crollanti ad Autostrade. Forti coi forti, più forti ancora nell’aiuto ai più deboli. Ecco quel che bisogna fare a prescindere dal candidato, senza poter prescindere dall’immediato — adesso, subito, domani mattina, che domani sia Zingaretti o Martina. O il Pd e quel che ne resta capisce che così ci sono da recuperare terreno ed elettori — ed elettori proprio su questo terreno — oppure come partito resterà sempre il parente d’un cadavere, e potrà farci le indagini ma non i miracoli anche il fratello di Montalbano. A Natale passato, in attesa di una buona epifania ci auguriamo una happyfania che sia quella buona per la sinistra: colla speranza per tutti noi di un Felice Capodanno, o almeno di un Giuseppe Capo-danno come problema passabile e momentaneo anziché guaio passato e irrimediabile. Buona notte dopo San Silvestro, e buona fortuna.  

      

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