
La sapete quella della bandiera a mezz’asta in onore di quello fissato coll’alzabandiera? Sembra una delle sue storielle più trite tristi e zozze, tipo quella delicatissima della mela che però se la giri non sa di mela ma di culo. Triste trita e zozza, ma vera, tipica e topica della nostra Storiella Patria dal 1994 in poi in giù eddai però giù a ridere. Perché come sempre in Italia — e sempre di più nella Sua Italietta pecoreccia pseudogodereccia e a pecorina che scambia il popolare col volgare — la situazione è greve ma non seria. Non ce lo nascondiamo dietro un dito, né dietro al corteo del re del dito medio ai comizi che se n’è andato. Il lutto nazionale indetto per Berlusconi ha indiscutibilmente detto e significato un lutto nazionale per l’Italia che alle sue tragiche barzellette, alle sue comiche promesse e alle sue croniche e mirabarcollanti imprese non ha mai creduto, abboccato o ceduto: quella minoritaria e minorata perché un minimo morigerata che lui — fra una risata delle sue e una retata fra i suoi — ha sempre irriso o blandito, ma mai realmente rispettato o riconosciuto. Una guerra incivile tutta caviale e sciampagna elettorale contro la parte di Paese che gli resiste, che non ci casca né gli casca ai piedi, contro il Paese di parte che per un’altra parte di Paese non dovrebbe e non lo meriterebbe ma che nonostante tutto esiste; la Supposta di Repubblica Impopolare Cinese e Bacchettona che malgrado tutto e tutta la propaganda da spot estremo non ha voluto essere del Banana, della Bandana, Presidenziale e Preferenziale per la Bustarella con Battona e Battutona. Quella che non perdona, che non dimentica, che ha pagato dazio perché non essendo in compravendita né in combutta ha sempre pagato le tasse e quindi non concilia né condona. Neppure in punto di morte, di share, di morto di fama santificato da vivo: da vivo solo per i soldi la fica e lo share. Uno statista che va e ti manda a puttane la casistica, uno per cui in uno Stato sono solo i dindi i dribbling e i dildo a fare statistica, e tutto il resto è econometria stocazzica di misurami questo se vuoi sapere se il mio cazzo di stato è retto barzotto oppure onesto. Ecco un uomo così — che al di là della della fedeltà allo Stato e alle Istituzioni come inutile dilettante e poco dilettevole professione, in realtà e in lealtà ha sempre preferito qualche stato estero per la bassa tassazione e l’alto tasso di prostituzione — ha ricevuto onori riservati solo ai Presidenti del Consiglio diventati poi anche della Repubblica. Per Grazia non ricevuta e Ruby invece e in mutande sì, il Quirinale è uno dei pochi scempi che ci sono stati risparmiati: a differenza degli sciampi a opera anzi operetta di prefiche-sciampiste travestiti da giornalisti mica da ridere e opinionisti mica opportunisti nel piangere che adesso schiumano frignano e fustigano per tutti i supplizi che in vita non Gli sono stati risparmiati; per non parlare degli onori degli elogi e dei privilegi funebri, su cui Meloni e camerati ardenti per colpa della solita sinistra veterostalinista e neoschleinista vuoi non vuoi un po' si sono risparmiati. Chiudere l’Italia con un Lut-down di almeno un mese, intitolargi tutte le piazze e tutte le strade di paese e di città in tutto il Paese, consacrargli tutti i luoghi che per lui erano chiese: con una sua foto in tutti gli stadi, in tutti i caveau blindati e in tutte le case: specie quelle chiuse; radere al suolo il palazzo di Giustizia di Milano, anzi tutte le procure della Repubblica, anzi anzi per giustizia e per procura al governo direttamente ‘sto palazzaccio antiquato della Repubblica; rinnovare, dare aria nuova e il Suo nome al Colosseo e al Canal Grande — rispettivamemente: Nuovo Anfiteatro Silvio e Grande Canale 5 — e col permesso e il lettone di Putin, anche alla Piazza Rossa: del resto chi più dell’amicone autocrate e trafficone Silvio, nella sua villa oligarchica e colla nostra vita democratica ha fatto la roulette e il piazzista alla Russa? Ehhh magari, cazzo… Questo ci sarebbe voluto, sarebbe stato il minimo, e invece in questo Paese mai davvero ex sovietico e post-antifascista — per evitare la furia e l’invidia della Guardia Arcobaleno Transgender Abortista e Affittouterista — si è dovuto fare il minimo... Questa è La Verità, poi ci sarebbe la verità: minuscola, nostra, anche un po' dei fatti anziché dei fatti alla Belpietro di Papibuilding che si anabolizza si agiografizza e si muscola. E sto po' di verità è che per solennità e brevità si sono chiamati funerali di Stato, ma nel popò di caso penoso umano e spinoso per sincerità dovevano chiamarsi di Stato-Mafia, o almeno funerali di uno Stato — civile, di diritto, non prono e pronto al più dritto penale per eccellenza ed emittenza. Ma come sempre da noi, a prescindere da come hai vissuto o da chi hai ammazzato, basta morire potenti per essere eroi: se poi ti sei davvero ammazzato o fatto ammazzare pur di campare non bene non da re ma per il bene da eroe, cazzi tuoi. Non te l’ha chiesto nessuno, e adesso ne rispondi: il buono vero qui è buono davvero solo da morto. Nella nostra storiaccia patria galera questa è la regola, e ‘sta commediaccia all’italianetta funerea prim’ancora che funebre è stata l’accezione putino-vanziniana che la conferma e l’esalta alla regola. Bandiere del Milan e della Nazionale Pregiudicati, nani Meloni e ballerine, Salvini Boldi e Olgettine, Presidenti Mattarella osannati e imbarazzati di fianco a presidenti Orban sciovinisti sovranostracisti e imbarazzanti. Esagerata, immeritata, kitsch al limite involontario dello sketch, oltremodo pomposa per non dire controproducente e oltraggiosa, questa è stata: ma in fondo solo questa poteva essere l’uscita dal mondo, per uno che dalle corna al G7 al gesto dell’ombrello alla Carta del ’48 non ha mai lasciato la scena senza qualche uscita oscena da farci toccare il fondo mentre lui tocca qualche fondoschiena. Vabbè, è andata così, che se n’è andato così, come ha sempre sognato d’andare e restare al potere: col Parlamento chiuso, praticamente sciolto come i cori da stadio e da studio teleinvasivo a lui cantati dedicati e decantati dai meglio ceffi da schiaffi nel funerale-ammucchiata solenne pulito e signorile quanto una Gangster Bang. Tubino nero, fazzoletto bianco, adesso sei all’ultima cena elegante col tuo Bettino, un tombamico vero: a insegnare agli angeli come si donano riciclano e condonano le mazzette All Iberian mentre si rimorchiano le ragazze del Drive In, Pace Pubblicità e Amen. Tanto alla fine e a ben vedere se lo sono dovuti piangere ripiangere e rimpiangere sul (semi)serio solo quelli che gli devono tutto, che gli si sono venduti con profitto, compresi quelli che dopo aver preso a scrocco gli hanno dato addosso: a noi è toccato piangere e piangerci, e visto quello che si prepara toccandoci forse toccherà pure rimpiangerci, la ficata e la preficata lunga tre giorni di lacrimata Maratona Vespo-Mentana-Minchiona dell’amnesia dell’ipocrisia e dell’amnistia per il Santo Subito e Martire Più Che Mai Adesso. Una cosa falsa, pesante, una farsa dipartenza truccata pesante come il suo phard e ogni altra sua cosa — a meno non si tratti del sincero consolidato e vero rapporto con la Nostra, come Cosa. Ma oramai non importa. L’importante è stato un estremo saluto molto signorile, riservato, soprattutto molto riservato a signorine e Signorini. Sempre tutto con un certo stile — quello di marca, che distingue, che marchia perché manca. Per dire. Mercoledì il funerale, giovedì pronti i quattro o quarantaquattro o quattrocenquarantaquattro matrimoni d’amore per i mercimoni d’interesse di potere e d’interessi: da Renzi a Cairo a Tajani, da Arcore al Monza alle Milano 2 3 e 300 succursali della Patonza, dalla figlia Marina alla pseudomoglie Fascina alla figlioccia della lupa Meloni. Il cadavere è ancora caldo, ma è già tutto un correre ad accaparrarsi le polpe più fresche — e in cambio amnistiare per amnistiarsi tutte le colpe, dalle più lievi alle più losche. Pezzi di governo e di maggioranza, pezzi di famiglia di banche e di tivù, io ti posso salvaguardare un pezzo in base al prezzo che mi fai o mi fai salvaguadagnare tu. Uno squallido, sporco, spietato e scontato copione — quello scritto e interpretato da lui, malinterpretato come una favola anziché una favolosa frottola da una parte di noi, cioè l’Italia in Minchiatura ora in ginocchio davanti ai suoi ceri e per trent’anni in estasi sotto al suo cerone. Una storia italiana che adesso comincia a finire: male, anche peggio di quella puttanata di putinata patinata di Una Storia Italiana che Silvione ci mandò pro domo sua ma a domicilio nostro — e spese pure. Un album di Famiglia Corleone che inizia a strapparsi, fra chi ancora si strappa i capelli e chi cerca di strappare ancora applausi poltrone o almeno sgabelli. Tanto per dire e per cominciare a finire, Micciché — l’eroe di Publitalia dall’eccezionale fiuto politico, l’innovatore di Pippitalia che da ministro introdusse da leader e da pusher la coca recapitata al ministero — ha già denunciato che qualcuno di Forza Italia gli ha messo un gps sotto la macchina: Perché col clima che c’è mi aspetto di tutto… E se lo fiuta lui, diciamo che il regolamento dei conti ovvero lo sgretolamento di conti baroni e colonneli nel partito non sarà una cosa cortese, cordiale, all’inglese — più una cosa loro, micidiale e Miccichediale, per l’appunto alla corleonese. Solo che così non va, né ci va di trattarlo a spizzichi e bocconi, perchè anche se adesso è la creme de la cremature del mausoleo nell’urna non elettorale sarebbe lui il primo a rivoltarsi da supino a bocconi. Con cioè contro di me ce l’avete messa tutta da vivo, e adesso non dovreste mettermici tutto solo perché sono morto? No, Silvionem per noi non funziona così, neppure anzi tantomeno con te. La memoria di un uomo non si rispetta omettendo o oltraggiando la memoria, la verità e la storia di un Paese — persino se il Paese è l’Italia. E quindi.
Montanelli cacciato dal suo stesso Giornale, Dell’Utri ed Ezio Greggio, Previti e Maria De Filippi, Craxi Costanzo e Kiss Me Licio Gelli, la loggia P2 e la banda Rete4, il delitto Barbara D’Urso tutti i pomeriggi con Destrezza e l’omicidio Marco Biagi regolamento di conti interno alla sinistra, lo stalliere mafioso Mangano e il cameriere smanioso cleptomane e sniffoso Fede, i bulli le pupe e i pazzi pupazzi Gabibbo Giordano e Sgarbi, l’editto bulgaro da Sofia e la macelleria messicana alla Diaz di Genova, le cazzate dei giornalisti dei suoi stalk-show e tg e le cassate in omaggio dagli stragisti col tritolo le granate e gli Rpg, il milione di posti di lavoro di bocca per fare la corte Prostituzionale al Paese ingenuo illuso e colluso che pensa col cazzo e solo al proprio culo, le leggi ad personam e le greggi di cervelli ad puttanem coi suoi programmi politici e televisivi ad minchiam, la caccia al magistrato non-uomo toga rossa colle calze turchesi e alla gnocca da coricare eppoi candidare fra le mezze calze azzurre, il voto degl’italiani come puttanificio di collocamento, l’utilizzazione finale e seriale delle Noemi e dell’Italia in gran Letizia…
Potremmo continuare, dovremmo spingerci oltre, potremmo e dovremmo dire che è strano per un cancro ammalarsi e morire di leucemia: ma forse sarebbe troppo anche per noi, che dalla terza liceo ci occupiamo di lui che da trent’anni — da bim bum bam al terzo livello della mafia che fa boom nei Palazzi smistando bon bombe nelle piazze — si occupa tutto e di tutto quello di cui non vogliamo e non ci siamo voluti occupare noi. Tipo pensare e pesare tutt’insieme come paese chi siamo o cosa vogliamo, i problemi e le responsabilità che abbiamo, essendo orgoglionamente strapaese cosa sbagliamo e in cosa svogliamo — che palle: meglio sentirsi tutti decerebrati e deresponsabilizzati e perciò stesso deliziati a cazzo dal suo discorsetto pubico sin dal primo, indimenticabile come una data o un’inculata storica, quello che l’Italia è il Paese che Amo. Berlusconi ha enormi e incredibili colpe, di cui tutti noi abbiamo colpe e responsabilità, indivisibili imprescindibili ma a latghi tratti anche indistinguibili da lui. Se per molti anzi troppi Berlusconi è stato ed è ancora tutti noi, è perché troppi non hanno saputo essere poi tanto diversi da lui. Superficiali, egocentrici, superfantozzi che si sentono dei fichi epici — tutti noi ci siamo sentiti come lui, solo meno capaci e rapaci da riuscirci. Quindi no, dirgli che in vita come in morte tutti si attaccano al Cancro del vincitore sarebbe troppo, anche per lui: non troppo per la crudeltà, ché per uno col braccio destro e sinistro coinvolto nella strage di mafia e degl’innocenti non è mai abbastanza, ma per troppa importanza. Un brutto male ha ucciso un male brutto, ma necessario per il Paese: perché Berlusconi alla fine non era la causa bensì il sintomo, di tutti i mali della nostra Malitalia. Come in una fiction di e da denuncia la Serie B. li ha solo resi evidenti, giusti giustificati e più che decenti perché felici vincenti e tvsorridenti, abbrutendo imbruttendo e imputtanendo l’ex Belpaese nel Bel Palese dei Baiocchi: che servono chiaramente per renderci più sani e meno belli, per aprire le porte la bocca e le gambe e chiudere gli occhi. E gli effetti di questo vedo ma tanto non guardo gli sopravvivranno, e non solo in Italia, perché l’Italia ha un cattivo effetto sull’Italia e non solo. Se con Mussolini abbiamo dato il fascismo al mondo, con Berlusconi premier abbiamo dato una pre-view e una premiere del fascio-fashion di Trump e del Trumpismo al Nuovo Mondo; con trent’anni d’anticipo e forse di galera che adesso si rischia ma intanto è ancora lì che raschia il barile, gli abbiamo spoilerato il prototipo del datore di lavoro e di bidone alla procura distrettuale che vuole sottomettere la legge e lo Stato alla legge del mercato, del populismo paranoide più sfrenato, del golpismo incosciente e incorporato in un golfismo da presidente dilettante deviante e scellerato. Dalla Standa finita male, Berlo — come lo chiamano in India — ha stabilito uno standard mondiale. Se ti serve qualcosa — una casa Bianca, una casa editrice, una sentenza, una corte suprema o una suprema corte, un parlamentare d’opposizione per la tua maggioranza — tu lo rubi ovvero te lo compri, e se qualcuno obietta te lo corrompi. Un oligarchico terracqueo e ottimate ottimismo world class, per cui tutto è bene quello che finisce in bene — disponibile, fungibile, acquistabile in quanto nessun bene è davvero pubblico e quindi indisponibile. Ti Lodi Mondadori, eppoi t’imbrodi pure coi tuoi avvocati e giudici-lodatori. Uno spirito prenditoriale che ha infestato la Cosa Pubblica come la Casa Stregata — e per cui non ci sono abbastanza esorcismi o esortazioni a non cedere a baratterie e banditismi, per la gente italica che guarda e televota da casa stregata. Ma in realtà poi solo stronza incanaglita e inveterata, con tutti i vizi e gli ozi della benpensante ma malvivente gente italica bestemmiatrice ma devota, cioè perfettamente Italiota: e la definizione è di un intellettuale di Destra, Prezzolini, che si dichiarerebbe fieramente anti-italiano e anti-intellettuale vista Destra italiana e intellettuale ridotta a Sangiuliani Sanfedisti e Prezzemolini. Perché si è detto sempre che Berlusconi non ha mai fatto niente per la cultura — ma non si è detto mai abbastanza quanto ha fatto per l’ignoranza, per l’incultura, per la subcultura delle sberle degli Sgarbi quotidiani e dell’arroganza. Mani addosso, subumani come cani all’osso dell’apparire, facce da chiappe al vento del potere. Per l’Italia un Papimonio cul-turale unico, anche se non proprio onesto o Unesco. Non per niente il più asciutto, asettico e tremendamente adatto dei saluti glielo ha rivolto Sergio Mattarella: Ha segnato la storia della Repubblica. Stop, trapassa e chiudo. E chi vuole intendere sottintenda: non segnato come Churchill o Adenauer, e come poteva credere solo lui e la vulgata o vulvata al soldo delle sue e dei suoi, ma la Repubblica è segnata da lui come un Parkinson o un Alzheimer, affondata nelle sue feste da vulcani finti e veri gangster dopo essere stata fondata sul lavoro di De Gasperi Pertini Aldo Moro e Berlinguer. Un rumore e un tumore al cervello, un golpe al cuore malato d’uno Stato debole e sbandato e svenduto perché i suoi cittadini vogliono pensare solo in piccolo coll’uccello e sognare in grande al minimo, cioè al massimo fino al Grande Fratello. Farsi vedere, non farsi fregare, appena possibile fregare possibilmente senza farsi vedere. Fottere il fisco, il tuo socio, fottersi l’aumento o l’azienda intera o anche la compagna di banco di tuo figlio che se non ci prova forse è frocio. Quello che prima non potevi dire manco al tuo confessore, con Silvione è stato confessato venduto e vantato al concittadino complice ed elettore! Da Andreotti a Meloni passando per i Craxi amari ma non avari di maxi-tangenti e mega-soddisfazioni, ha convinto gl’italiani a non vergognarsi più dei propri spregi e difetti. Li ha persuasi a vantarsene, a fottere e fottersene, a votarglisi e a votarsene: per partito-azienda preso e creato apposta per la fuck-propaganda. Gonfiare il petto e le tasche, imputtanire le corti e i tribunali per impunire le tresche, imbonire evasione fiscale ed eversione totale sotto format di false promesse tv e vere minacce sempre fresche a chi non ci sta o non ci sta più. Mentire, corrompere, manomettere o direttamente maltogliere. Essere fan — ma simpatico, pop, spinto però pop-porno soft — del fascismo, del fancazzismo autoassolto dal fantuttismo, del fanrazzismo. Sostituzione etnica, morale, etica: la sottoscrizione persino estetica di un’Italia Open a Merdaviglia all’idea di accettare tutto il peggio di sé, il consenso infoiato non a sottoporsi ma proprio a sottomettersi a una plastica fatale alla Santanché. Al posto di quello che sotto la Democrazia Cristiana si poteva pensare o fare ma non si doveva dire, sotto sotto colla nuova Destrocrazia Giorgiana ci va tutto quello che se ti va non solo lo devi dire e fare, ma te lo devono proprio lasciare urlare: paro paro a Massimo Ranieri in Perdere l’Amore o Marco Lollobrigida, il cognato ti vomito quello che mi pare senza manco perdere l’ammirazione dell’elettore. Perché per capire la sorte dell’Italia d’oggi, basta guardare i sondaggi: le prospettive del post-Berlusconi per chi non crede nella grande Leader sono vivide e allegre come un post-mortem su twitter. Non per niente — giusto per capire cosa c’aspetta e molto probabilmente ci spetta — l’Underbulldog Gggiorgia sta scrivendo un altro libro dei morti a quattro tibie con Voldemort Sallusti: che è un po' come se Godzilla si trovasse con Gamera per suonare o dipingere la Primavera, ma siamo sicuri che pieno di versi ispirati da vero Beastseller, essendo i due autori autentici animali della proesia vera... Insomma se non vi è piaciuto il prima e il durante, il dopo B potrebbe essere una poco sorpresa molto perdurante.
Perché il trapassato non è il passato, soprattutto se fra le molte cose che ci ha fottuto Silvione c’è il futuro: ma talmente fottuto Silvionista e imminente che possiamo chiamarlo fottituro. Perché cazzate infinite a parte, a cominciare dalle nostre, una cosa di Silvione e di sicuro va messa fra quelle fatte e finite ad arte. Essere riuscito nel miracolo italiano — molto italiano, come direbbe il suo unico vero e solo erede: Stanis La Rochelle, di Boris — e quindi essenzialmente anti-italiano di lasciare dietro di sé le macerie e davanti le macellerie di una nuova degenerazione politica al passo dell’oca e a cazzo de cane, quasi (molto quasi, quasi per niente) in degrado di farcelo rimpiangere. In vita ha mancato tutte le promesse, tranne le minacce, ma al governo e all’Italia lascia una classe politica di sostegno e di ex giovani promesse che ora sono altrettante minacce che ci manchi a morte. Basta guardarli, anche se dopo un po' basta che proprio non si può vederli. Zombie che si ballano la zumba del potere, tenuti su e assieme collo sputo e lo spunto di sistemarsi a sedere, conti Dragula in dissesto d’agenda e in astinenza da propaganda ma che grazie al cielo e al morto possono inscenare e intortare una navigazione tranquilla da salma piatta. Bleah Runner, una razza di razzisti e replicanti all’ultima polemica, in cui avere l’ultima parola per nascondere la loro politica stomachevole e di ultima. In questo senso — anche se spesso non ne ha ma ne fa sempre parecchio, di senso — è sufficiente ascoltare Meloni, sempre rasserenante intima e riconciliante come un bidet coll’idraulico liquido: Grazie Silvio, i tuoi nemici hanno perso — e infatti hanno vinto gli amici degli amici del Cecato Carminati, del terrorista condannato e neofascista matricolato Ciavardini, del Superdotato di Voce coll’Eredità da Super-Raccomandato Luce Pino Insegno. Come se poi il problema fosse quello che dice, il problema è quello che fa e che Duce — e che una certa Italietta Repubblichina del Banana ladrona e traffichina, la seduce: prepotenti forti coi deboli e deboli forti coi potenti, minchia questa Destra Legge del Taglione e Ordine del Padrone come piace! Prendete l’illuminatissima e illuminantissima serie di riforme con cui sta mettendo mano, cioè manomettendo, il codice penale e la giustizia in generale. Corrotti eccellenti e potenti intoccabili, bavaglio alla stampa e azzeramento delle intercettazioni per rendere le inchieste su malefatte indicibili impossibili e irraccontabili, abuso d’ufficio cancellato d’ufficio e a vantaggio dell’abuso — e più avanti via sempre più avanti, carriere dei magistrati separate ma unite dalla loro sottomissione al potere politico, cioè a ogni capriccio da raccapriccio di ministri potenti e potentati di ministri-parenti. Perché sbattersi a combattere la corruzione, quando è molto più facile combattere quelli che devono battersi contro la corruzione? Tanto, o per giustizia o per impunità, la corruzione sparisce uguale. Una piaga che non fa più una condanna né una piega. Un piano e un pieno di Rinascita Democratica meraviglioso, che come hanno promesso Gggiorgia e quel fissato coll’impunità per tutti e guai ai magistrati cattivi e brutti Tarlo Nordio, dovrà rendere Berlusconi orgoglioso: e il nostro avvenire — ricco di anni poveri ma Gelli — luminoso, più che radioso, proprio Piduoso… Fico no? Prende forma l’Italia del Merito — quello altissimo, purissimo, licissimo di appartenere alla lobby alla falange o alla loggia giusta. Nel frattempo gli sfrattati e gli sfollati per gli affitti o gli affluenti in piena, se vogliono un posto dove sistemarsi devono fare in fretta a farsi dei precedenti per terrorismo e omicidio, a farsi la tessera di Fratelli d’Italia, a farsi almeno un amico neofascista o un costume da gerarca nazista — a quel punto un piatto o un letto in Rai, nel Gran Consiglio Regionale del Fascio e del Lazio, a capo di una commissione di un ospedale o di un ospizio, il Pronto Soccorso Nero di Gggiorgia sicuro glielo trova. Magari con un contornino di sapida battuta e faccia stupida e sbattuta dell’impresentabile quanto imprescindibile Gran Testa di Galeazzo Bignami — quello famoso perché si chiama come il libriccino dei temi: e perché ha pure quello di amare un botto mascherarsi da massacratore di Marzabotto, nel suo librone di cretino con problemi. Il Genio Molto In e Compreso ha appena detto a emiliani e romagnoli Rauss Kaputt e pure Schnell: per le alluvioni manco una lira, non ci si può fidare, e così imparate a votare Schlein! Simpaticissimo, intelligentissimo, istituzionalissimo. Ma del resto il livello — in questa maggioranza da osteria che rosica e magna — è questo: basso di rango ma altissimo di fango, altroché lì in Romagna! Nel frattempo e nel Paese si attacca la solfa del governo pragmatico quanto idealista per non dire platonico tanto è ideale, ma vigliacca se si attacca un chiodo o un solo problema reale; infatti e in effetti, se qualcuno da qualche parte nel Paese passa qualche cazzo, per il governo ci si può benissimo attaccare. Del Pnrr non si sa nulla, dell’avanti piano piano quasi fermo e dei ritardi anche meno, dei piani forti di propaganda a codazzo che suonano l’antifona delle riforme a razzo e delle polemiche a razza e a cazzo s’è capito pure troppo. Il Presidenzialismo alla Sovranista, l’Autonomia Leghista, il Revanfascismo da dicastero dell’Egemonia Inculturale Melonista. Tutta roba che a loro fa gola, che la gente forse si beve ma con cui alla fine mica ci mangia. Quando arriva la bolletta a fine mese o il mese manco finisce ed è già in bolletta, l’elettorato ti presenta il conto: di provvedimenti che provvedono sempre e comunque all’acquisto di potere della maggioranza Meloni, mai davvero al potere d’acquisto della maggioranza degli elettori minchioni. La luna di miele cogl’italiani, cogl’italiani che non sono diventati tutti Mussomeloniani o populisti ma sono sempre e da sempre solo molto volubili e portafoglisti, ci mette un attimo a diventare di fiele: delle nozze di sangue, cogli ex fichi di turno e di governo fatti secchi. Del resto ‘sto subesecutivo para e subnormale non può andare avanti così, come un sottogoverno Meloni sempre sotto botta della droga del potere dei sottopanza e dei posti a sedere, ché lo strapotere dello strapuntino da Destra a mancia è un sistema di sgoverno non si può più reggere né reggersi né vedere; non si può andare lontano col sistema dell’a Noi i buoni posti e a voi i buoni pasto: per metterci una pezza che non sia al culo inizia a farsi già tardi, e per un Draghi bravo bis terno ed eterno mai troppo presto. Hai voglia di patriottismo pezzente, che rattoppa tutto attaccando a tutti la pezza su un’idea di Nazione antiquata paracula e perdente: Giorgetti e Giorgetta litigano sul Mes, e dopo manco un anno già si rinviano i consigli dei ministri perché Meloni e Salvini giocano a se mi vai di veto allora andiamo al voto. Tutti i nodi, tutti i modi sguaiati e truffaldini per nascondere di essere inguaiati, stanno già venendo al pettine che quasi vengono alle mani. Ma del resto. A un certo punto finisce il collante e l’accollante dei posti per i sottopanza, esattamente come alla gente finisce la paga e la pazienza: e pazienza se poi questo si paga perché al prossimo giro elettorale scaricano i fascisti su Marte Nettuno e Ostia mandano su i Nazisti dell’Illinois o i Satanorenzisti di Cosenza…
Anche qui però. Se per anni gl’italiani prima votano democraticamente un governo eppoi sempre più demagogicamente si votano a vittime che si rivoltano a un carnefice, è anche per i danni di un’opposizione che non può fare la vittima perché — quando ha fatto, e di solito subito disfatto il governo — del giuoco di potere berlusconiano è stata complice. Per incapacità, pressappochismo, presunzione e/o peggio affarismo: in una bruta e brutta parola, per dalemismo. Bruta e brutta, ma perfetta nel significare e sintetizzare il lungo insignificare di anni e anni fatti di una sola stagione — quella delle riforme in fretta, in collaborazione ma più che altro in coartazione e in combutta, di un via da dare a tutti i costi: compreso dare via tutta la torta in forse cambio di una fetta. Una parola che significa una stagione ma più di una persona, cioè due, D’Alema che vuole farsi — in tutti i sensi, e senza riuscirci in nessuno — Berlusconi: ed è per questo che lasciamo al dalemismo in persona, l’ultima e pessima parola plurale sull’Ei Fu Dalemoni, una serie passata per tutte le piattaforme di tutti i governi per tutte le stagioni. Berlusconi sui giudici aveva delle ragioni, ammette il Bicamerale Ardente e Massimo, in perfetta linea e in perfetto stile da neoinquisito sulle armi alla Colombia assieme a Profumo, Malizia d’Intesa con lui e colla conta corrente bancaria Pd sin dai tempi di Unicredit Mps e Leonardo. L’ex Migliore autoproclamato e autoaffondato, che oggi è un affarista affaccendato ma più che altro poco cauto e molto affannato, modestamente ha fatto una congiura contro Prodi per fare il presidente del Consiglio senza mai fare nulla per il conflitto d’interesse — perché non aveva alcun interesse al conflitto, se non con quel flaccido imbroglione (cit.) di Prodi, dato che con Berlusconi a partire e a patire dalla giustizia stava allestendo la Bicamera di Commercio delle vacche delle mezze tacche e delle bozze Boato, quelle che vent’anni prima di Nordio già volevano fare i bozzi al magistrato. Non a tutti, però: la carriera separata e stroncata e il culo come un paiolo, sì, ma solo a quello che sul maxi-inciucio tu dai una cosa a me io do la cosa pubblica a te faceva troppo il pignolo. La Costituzione ce la riscriviamo noi, Mediaset un patrimonio dell’Italia ma soprattutto di Forza Italia che rimane sempre ai tuoi, Tim la Rai qualche qualche affare di banca sparso sporco e scarso agli amici-lobbisti miei. Istituzioni, televisioni, assicurazioni e rassicurazioni, camere telecamere e telecomunicazioni — il governo D’Alema, un simpaticissimo dicastero per gli affari istituzionali e costituzionali scambiati cogli affaroni economici e come fossero solo affarucci e affaracci personali. Qui comincia la sventura di Capitani Coraggiosi e Capitali Micragnosi e di ventura, cioè della sinistra che prende Palazzo Chigi come fosse il Palazzo d’Inverno ma si fa prendere dal potere per trasformarlo in quello che Guido Rossi ha chiamato la prima Merchant Bank dove non si parlava una parola d’inglese — tanto per capirsi ne bastava mezza in soldoni e in berlusdalemiano. Affarismi, tatticismi, tafazzismi e trasformismi. Berlinguer morto e seppellito due volte da chi ci è cresciuto ma non lo ha seguito — e a cui è seguito il peggio che lo ha perduto, rovinato, da cui è nato il Renzi che lo ha sostituito in peggio e rottamato. D’Alema come danno ed emblema del potere per il potere, del potere politico e democratico che degenera in potere economicentrico: il potere che non vuole e non può cambiare le cose, ma quel genere e generone di potere che se tu cambi idea in cambio lui ti cambia la casa la macchina e tante altre cose con altre più belle e costose. Nasce tutto da questo modo di fare affari e disfare politica, e non certo dalla stupida polemica sul risotto il vigneto e la barca, la tragedia della cripto-cleptosinistra che è sparita e si è rubata l’anima coi Fassino e i Consorte e abbiamo una banca — Bello, è nata la sinistra partita comunista è arrivata partita Iva e arrivista, peccato che adesso e da allora è solo il credito in voti anziché in euri che manca. Perché l’identità è un attimo a vendersela, ma poi è impossibile ricomprarsela — la carta d’identità non è la carta di credito, che bastano i soldi per rifarsela. E infatti il Pd sono anni che cerca di rifarsi e di rifarsi daccapo, riuscendo solo a rifarsi il trucco vecchio come il cucco del cominciare e finire dal capo. Cambiare solo in alto per non cambiare nel profondo, dal basso, dentro le criticità anziché solo in superficie e in superficialità. Il risultato è il non-Partito Democratico di oggi. Troppo fumo, troppo fiamma o troppo poco a fuoco, sempre pochissimo arrosto a punto e apposto: su qualunque cosa, la mattina medi e cerchi l’accordo ma il pomeriggio gridi all’arresto. A Schlein sul coma-cosa fare col del Pd ancora da fare parlano tutti, e sparlano e sparano anche di più. Noi del Papaluto non è che manchiamo in questo coro a cappella e più spesso a cappellate a iosa, ma ci sentiremmo di mancare a noi stessi come rompi-coro e coglioni se non dicessimo almeno una cosa: che questo ennesimo progetto-stralcio o straccio della sinistra quando può deve scendere in piazza, sia pure scostante lacerata e scrostata, e quando occorre deve saper scendere a patti: ma non a patti della Crostata. Mai, per qualunque ragione — politica, ancor peggio affaristica e sociale. Basta entrare in tutti i governi, anche sbagliatissimi, colla scusa che il Paese non esce dalla secche delle vacche magre senza governissimi. Si governa per fare qualcosa, non si fa qualunque cosa pur di governare; in certi casi e persino casini meglio andare al voto, che andare avanti al buio e col vuoto di scambio. Poi si può vincere, si può e riesce meglio perdere, l’importante è non perdere la faccia o la memoria anche quando si vince. Dall’articolo 18 alla Resistenza, basta schierarsi con chi conosce e riconosce solo la resistenza al fisco all’articolo 41 bis e al reddito di cittadinanza… Stare dalla parte degli ultimi, di chi paga le tasse, non stare al gioco e al clima per cui i primi nell’alto dei redditi saranno sempre più gli ultimi a pagare le tasse. Non utilizzare o strumentalizzare la questione morale come questione minore, retorica, ondivaga e umorale: i freschissimi quanto marcissimi casi Santanché e Minenna dicono che destrocentrista magari no, ma per la sinistra e non dev’essere una questione sempre centrale. La strategia, in qualche parola anziché in qualche gabola da Leopolda o in qualche parabola da fumisteria? Per rifarsi la sinistra deve farsi anche furba anziché fare la furba fino a farsi fessa da sola, a farsi centro credendo di fare centro ma finendo per fare un centrodestra solo meno tagliatasse affondabarconi e tagliagola. Fare un governo come fare opposizione deve significare qualcosa, e qualcosa di diverso dall’urlare allo scandalo o ciurlare nel manico a seconda del ruolo: soprattutto non avere l’opportunismo e l’opulento affarismo come unica bussola e posizione. Perché se oggi come nel ‘94 abbiamo il peggiore dei governi, è anche e soprattutto perché abbiamo avuto opposizioni che hanno portato poi a governi teoricamente all’opposto: ma in certe cose uguali e persino peggiori di questo. Se l’Italia di oggi è in gran parte ancora l’Italia che piange Berlusconi, anche nell’altra parte mica piccola per l’Italia davvero oggi non ride né può ridere nessuno. A diverso titolo morale o bancario, ma siamo tutti colpevoli — in parole, opere, elezioni e omissioni; in governi, Grandi Opere, pessime maggioranze e peggiori opposizioni. E’ colpa nostra — o di chi abbiamo eletto per noi — che pur di farci comprare e capire al voto ci siamo svenduti al volo, che pur di venderci ci siamo svenati: noi, che per interposta personalità politica troppo tremante davanti alle scelte o troppo tramamente dietro le quinte ci siamo abbattuti all’asta e abbassati d’asticella. In quest’epoca fare schifo e vincere è vincere facile, però fare solo gli schifati e la morale a perdere è troppo semplice. Tocca agire, fare scelte difficili quando è tempo anziché solo reagire fuori misura e tempo, agevolare idee azioni e soluzioni anche impopolari: e che non siano solo chiacchiere da bar sport del repulisti, molto in almeno quanto inutilmente popolari fra i populisti. Onestà, intransigenza senza ingenuità e neppure ipocrisia, umiltà: per ascoltare eppoi agire, senza la chiusa condiscendenza la scoperta accondiscendenza e complicità o l’aperta insofferenza del grande centro ztl nei confronti della periferia. Avere il coraggio d’essere diversi anche se non a tutti i costi, di non essere come tutti gli altri oltretutto pagando all’omologazione prezzi ben più alti con quasi zero guadagni a ogni elezione, di tornare nelle strade più difficili senza prendere scorciatoie che poi sono pastoie mai eppoi mai più facili. Perché se Berlusconi c’è stato, è perché è mancato qualcos’altro, o perché è andata anche peggio quando al suo posto c’abbiamo mandato qualcun altro; alla sua camarilla familista si è risposto in (falsa) alternativa o col movimentismo organizzato e casinista, oppure col camaleontismo clientelista che scarta gli onesti e scala e s’incarta il partito come una caramella Deluchista. Il voto da chiunque per un partito Qualunque, un pacchetto di tessere e di posti oggi come un pacchetto di pasta ieri, il sistema che accontenta tutti e mette a malpartito chiunque. E infatti oggi — anti o pro, berlusconisti militanti o No Silvio irriducibili ovvero indifferenti livello pro — siamo tutti sulla stessa barca, anzi tutti sulla stessa Lamborghini che trancia una smart: tutti a bordo della cazzo d’Italia come Stato dell’Arte d’Ammazzare e d’Ammazzarsi, che Andy Warhol e i Quentin&Gianpi Tarantini girando colla D’Addario al porto di mare di troie e di Trani definirebbero Pulp Art. Perché se oggi i The Borderline per pochi spicci e molti like come dei veri serial clicker mettono sotto un bambino di 5 anni, è anche perché noi volenti nolenti o sonnolenti ci siamo messi sotto a a un Borderline che ai tempi e ai suoi venditori tutti gasati e invasati spiegava come bisognasse parlarci — come a un bambino manco tanto sveglio di 7, anni. I giovani infanticidi di oggi vengono anche dal vecchio infantilizzatore da preda. Alla maturità si danno un’aria e dei temi sulla nazione, ma il tema è l’esame d’immaturità sempre brillantemente passato dalla medesima: l’Italia è ancora è sempre una Guardaland, una paesone di teleguardoni ego e segomani, solo che prima ci specchiavamo nella tivù e adesso ci spacchiamo di youtube. Nel trentennio tregendario di Silvio non è cambiato molto, se non in peggio. Mani Pulite è passata, ed è rimasta in piedi e in peggio l’Italia della coscienza sporca ma colle mani pulite la domenica insieme alla macchina veloce, linda, pinta pirla e feroce. Da Antonio a Mattia Di Pietro, è cambiato solo il nome, lasciando intatta e impunita l’ignominia, il cognome, la cognominia di non fermarsi mai allo stop alle regole e a guardarsi indietro. Il Paese è sempre figlia di papi e di papà che l’importante è sfrecciare colla Ferrari pure e spernacchiare la decenza l’onestà l’umanità e ferrivecchi vari. Siamo diventati questo, ci siamo sprofondati e persino peggiorati piuttosto, perché non abbiamo saputo o abbiamo solo saputo dire che bisognava essere altro da questo luccicante buio pesto. In questi anni vani e vanesi vincere le elezioni non ha significato perdere l’anima né prendersi tutta la ragione, esattamente come non vincerle non ha mai significato prendere tutti i torti per perdere tutte le ragioni. È stato scritto che noi di cenciosinistra in questi trent’anni abbiamo perso, vero, ma dov’è scritto che abbiamo perso trent’anni? Alla fine non lo vogliamo cantare, ma persino noi lo possiamo dire: meno male che Silvio c’è stato, perché senza il Papi di questa Patria oggi non avremmo così chiaro e forte il sogno di un’altra Patria, e il bisogno ancora più alto di un vero Stato. A cui nonostante tutto continuiamo a credere, per cui nonostante tutto il niente di nuovo né di buono attorno non vogliamo cedere. Buonanotte della Repubblica, che deve passare, e buonafortuna con questi che è proprio la Repubblica antifascista democratica e parlamentare, un guaio brutto e buio che per loro deve passare.
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Berlustanis in una drammatizzazione di scena
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