E niente, visti i tempi di magra e di Maga, ora non ci resta che attendere serenamente che dal Conclave esca sovranamente il nuovo papa-re Donaldo Elone X. Il tocco giusto e il giusto tocco di testa per completare il quadro, riempire le caselle, svuotare manicomi e celle. Il compimento d’un piano, d’un destino, d’un fato poco turchino ma parecchio turpe e porcino. Un disegno mica intelligente della diavolina sprovvidenza, che s’è venduta pure la matita a chi non credendo a Darwin ma solo ai din din è rimasto una scimmia involuta del tipo solo la borsa è la vita. Poi per carità — e nel caso di specie, anche carità cristiana — sicuramente è una coincidenza. Ma l’ultimo incontro internazionale — sotto forma di sottospecie d’inutile quasi-scontro intenzionale — è stato con Vance, di passaggio a Roma per controllare se Meloni ricordava la comanda presa da Trump a Wahington. Un cesso a pedali di vicebuzzurro a strisce e stelle che incontra come un’ingiuria il papa a rotelle, il classico cow-boia chi non la molla che non capisce un cazzo ma ti spiega tutto perché c’ha le risposte i reel e le rivoltelle: con un buzzurretta planetaria così, sai le crisate a crepapelle? E infatti… La crisi c’è stata, la crepa pure, la pella ce l’ha lasciata — classico caso di ponteficina ad Americano-armata. A dispetto delle autopsie e dei baciapile, per noi Bergoglio è morto di quel bacio della morte della ragione con annesso attacco di bile…
Fatto sta. Francesco non c’è più, ma il suo papato — specie nella Groenlandia del Vaticano, cioè noi, la provinciona culturale e coloniale dello staterello d’animo nero e confessionale — resta e lascia dietro di sé una scia di prefiche, inumazioni ipocrite e agiografie postume. Dovrebbe essere una questione di politica estera, a carattere internazionale, ma in Italietta diventa subito di politicanza strapaesana cultuale e interna — sopratutto alla logica lacrimogena e campagnola del funerale. Se chi muore non è mai un cattivo cristiano, figuriamoci se muore chi per professione e confessione non può essere un cristiano cattivo… Un eroe rivoluzionario, un santo della gente, un mito ambulante nonché un mite gigante. Questo, a tenerci pure bassi e stretti, è lo sperticamento a giorno da fulgor mortis a cui tutti si sentono chiamati o costretti. Finanche Trump, per dire, che in tv gli ha dedicato uno svelto e simpatico riposa in pace con accanto un coniglio: del tipo riposa, ché in pace ci sta e ci vuole stare chi come te è un papa e ciuccia coglione e Berconiglio. Insomma, un bellissimo lavoro di squadraccia: Vance lo ammazza, e il capo di Vance e di cazzo lo seppellisce trattenendo a stento una risata e una parolaccia. Ovviamente lo sprezzo di uno come Trump o lo sfregio dell’assenza ai suoi funerali di un criminale comune e di guerra come Netanyahu è una medaglia, ma sull’operato e sull’omesso da requiem di Francesco non bisogna appuntarsi al petto o alla lettera tutto quello che adesso diluvierà universale come doredulcorata merdaglia. Ammesso che importi e interessi a qualcuno — forse manco a noi — il giudizio sul regno e le rogne del gesuita che fatto papa si è fatto francescano è (con l’accento): Bergoglio, è Pregiudizio. Nel bene e nel male, in un senso alterato o nell’altro, comunque impositivo sia in positivo che in negativo: tanto più ecumenico e generale, quanto più ‘sto pregiudizio è condiviso controverso e divisivo. Una papato che come e più di altri non suscita mezze misure — solo meste sepolture, miste a rozze e postume imposture. Da una parte c’erano e ci sono ancora anche se nascosti a lutto quelli che povera Chiesa in mano a chi vuole la Chiesa povera; dall’altra quelli che un papa venuto dalla fine del mondo per stare cogli ultimi, dev’essere per forza la fine del mondo in cui gli ultimi non saranno mai i primi; in mezzo, la solita pletora di strumentalizzatori, strumentatori di stupidari, orchestrattori di papismi pelosi e pacifismi penosi. Insomma sarà che veniva praticamente da quello Sud, ma Francesco ha portato subito polarizzazione — quasi più che popolarizzazione — alla Chiesa. Trascinando persino post-mortem dibattimenti di processi precotti e preconcetti fino e anche oltre il terzo grado di pregiudizio. Per alcuni il nuovo papauperista è stato fin da subito pericoloso, perché mollando il mocassino Prada avrebbe perso la Chiesa e smarrito la strada; uno che — copyright Giorgia M. — voleva trasformare la Santa Sede in una comune hyppy di preti trans che si sposano, prete frocie che celebrano e spassano, di canne di pakistano anziché d’organo che suonano e risuonano per un Pope Marley rastafariano custode della Gangia Fede. Di contro per altri è diventato immediamente un Obama (in) bianco, uno a cui spalancare le braccia e aprire un credito illimitato: l’uomo della divina e laica Provvidenza, a cui dare già il Nobel per la Pace e Bene che ancora manco si era insediato. Nessuna delle due, ovviamente. Bergoglio è stato un papa partito forte, che poi ha — ed è stato — rallentato avendo comunque patito fortissimo. Di colpe e mancanze sue, come di chi dentro e fuori il Vaticano ha visto come un golpe sia i suoi meriti che le sue mancanze. Un pontefice un po' vittima e un po' carnefice che — constatato che il papa conta sempre meno in una Chiesa che conta solo i soldi e nel mondo quasi niente — ha provato a fare i fatti, ma poi provato e ostacolato si è limitato (per modo di dire, visto il multi-mutismo selettivo vigente ubiquo e vincente…) a parlare di e contro il fare affari coi misfatti. Un uomo del suo tempo, un re senza corona né poteri troppo ampi, ché in silenzio ma in continuazione una Curia omertopatica gli ha minimizzato modi moti e tempi. Un pontificato d’emergenza per uscire dalla Natzingeriana arroganza con annessa fuga per oscurantista inconsistenza: figlio di un’elezione di autosalvataggio che ha avuto limiti e ritrattazioni in sé, ma molte limitazioni da chi più che al reale cambiamento puntava al cardinale autosalvamento per sé. Perché qualcosa dopo il papato nano e interrotto di Benedetto in sedicesimo bisognava fare, sì, soprattutto non esagerare. Da qui un pontificato rivoluzionatore perfettamente non riuscito, ma un intervento diversivo e di facciata — e alla faccia abbrutita da una corruzione affarista e sfacciata — imperfettamente non fallito. Far credere di voler cambiare tutto, ma poi continuare a far credere chi vuole e riesce senza davvero cambiarsi in niente. La Chiesa è ancora e sempre più sarà un’incredibile incristianizzabile e non più inaffondabile AntiCristitanic di simoniaci criptosodomiti e cleptosessuomaniaci incalliti e incanagliti, su cui Dante oggi girerebbe per Netflix uno spin off dei suoi gironi più incazzati incancreniti e infarciti di qualche Novus Ac Nefandus Pontifex — ma intanto in questi anni ha messo lì Francesco a fare il frontman e l’uomo immagine, mentre i Becciu Boys col resto del gruppo fanno fronte del porco mentre si fanno gli affari loro e d’oro assieme a qualche ragazzo immagine. Prendere tempo fingendo di perdere qualche vizio. Per la Sposa Cadavere di Cristo — scampata al crollo di tutti gl’imperi, ma non al tracollo da trionfo di quello di Denari — l’idea era questa. Poco commendevole e alla luce dei fattacci non particolarmente praticabile, ma almeno un’idea c’è e c’era: a differenza di quanto succede qui, fuori dalla grazia di dio e delle sue mura.
Dove fra dazi, mazzi, stragi strazi e straneonazi ci prepariamo a uscire dalla crisi della democrazia liberale entrando in crisi economica eppoi in guerra commerciale — ma solo come gustoso preludio post-Bergoglio al rigoglio della Caponecrazie mafionazionaliste, che ci porterà alla tanto attesa Parte Terza della guerra mondiale. Però non corriamo e non precorriamo troppo, godiamoci il presente che ogni giorno ci regala un più nuovo e merdaviglioso presente. Netanyahu che bombarda gli ospedali, un qualche ministro della pubblica distruzione di Trump che deporta e ingabbia i migranti come maiali, l’Europa tutta mai insieme appassionatamente su questioni fondamentali anche davanti a minacce letali, la Cina — la Cina! — che mentre si prepara a invadere Taiwan si candida a vittima degli Usa e a paladina del diritto commerciale (nonché) internazionale. Come se ci fosse ancora la forza del diritto, anziché solo il diritto alla forza: esercitato ed esercitizzato da chi si sente il più diritto per truppe e trippe, per forze e per forza. Tipo Putin che fa finta di fare la pace con Zelensky, mentre con Trump farà una pace per disfare l’Ucraina. Della più recente civiltà occidentale, ammesso che sia mai davvero esisista, resta oggi un’inciviltà non occasionale: anzi parecchio recidiva e insistita. Questo in tutto il (fu?) patto Atlantico, ma un po' di più dove Giorgia coi suoi Sfracelli d’Italia Schettina la nostra Sconcordia in tempesta e in Transatlantico. La vittoria sarà pure schiava di Roma, ma specie sotto il partito meloniano superpatito mameliano la Roma dei Fratelli d’Italia pare parecchio schiava della vittoria trumpiana. Cornuti e daziati, da migliori amici alleati e amichevolmene inculati siamo andati con Giorgia a chiedere lo sconticino: per tornacene a casa con garanzie di vertici e stop a scontri barbarici di cui non conviene conservare lo scontrino. Dopo essersi fatta baciare in testa da Biden, Meloni è andata a baciare il culo a Trump. Una cosa obbligata e tristissima, oppure comicissima, specie per la pischella del fronte daa ggioventù che l’Amerika imperialista la scriveva solo col kappa — emmò all’Ammerica Trumpimperiale e Muskilista gli manda solo baci pollici e occhei, sinnò quelli la mannano per stracci e kappaò… Ma non c’illudiamo, anzi ricordiamo e interludiamo. Da Andreotti a D’Alema, da Berlusconi a Prodi e Veltroni — cambiano i nomi, i generi e gli stili, non le più o meno affabili e affidabili genuflessioni. Quindi ll netto di qualche parola più acconcia e qualche posa forse meno sconcia, i rapporti sarebbero quelli anche ci fosse stato qualcun altro al posto della Giorgia Ducia dei Fratelli: tipo l’amica-leader alla mano, ma soprattutto la mica leader del Pd alla frutta che tutti chiamano Elly. Perché la storia c’insegna che la storia nostra è sempre quella. Su tutto siamo e siamo stati divisi, tranne su come siamo cogli Stati Uniti. Col cappello e la chitarra in mano, da vero italiano; noi che partiamo dicendo ti tenere la linea di suonargli Hold The Line dei Toto sul grugno, ma arrivati là ci consoliamo della messa a pecora con una foto e una cantata a Little Italian di Toto Cutugno; noi che a Washington corriamo e zitti, mentre a Bruxelles andiamo: ma piano, senza averne uno, con un troppo pieno di parole e zero fatti. Europeisti a chiacchiere, filo-Americani a Roma o Amerikanisti a prescindere — dalle intenzioni, dal volere, dai partiti di turno al potere. Una cosa curiosa, strana, stramba ma mica misteriosa. Ché non cade dal cielo, anche se negli anni ci è caduto sopra uno zuccheromertoso silenzio a velo. Quello che adesso un documentario prova a sollevare, unendo i punti oscuri coi depistaggi più chiari, con nuove testimonianze e prove d’inventario che avrebbero dovuto sollevare un polverone — e che invece non alzano neppure un grammo d’attenzione, abituati a sollevarci l’umore col solito Vespa-io. Si chiama Magma, è su Netflix, e per una volta usatelo per capire la storia italiana anziché di quali cazzo di storie si fanno quelli che scrivono per la tv coreana. Secondo il documentario — tanto per cambiare — per capire e tanto dobbiamo fare due trapassi indietro. Tornare agli anni Settanta e Ottanta, alle morti di Moro e Piersanti Mattarella, alla strage neofascista della stazione di Bologna che ancora oggi secondo la nostra premier e i suoi camerati ha una matrice non chiara e una verità oltraggiante e finta. Raccontarvelo tutto sarebbe lungo da spiegare, mentre vederlo è proprio un’occasione da non sprecare. Riassumiamo. Ora sul rosso ora sul nero, colla fattiva e preziosa collaborazione di qualche falso amico modello grand croupier ma amico degli amici vero, l’Italia in quegli anni essendo il gran casino del mondo ha subito un golpe a puntate e pistolettate. Il piano era Solo e sempre impedire il Compromesso Storico, innescare la Strategia della tensione, implementare la presa degli Stati Uniti e del blocco occidentale: colla scusa del blocco sovietico, e a costo di bloccare il naturale corso democratico ed elettorale. Meglio un governo incapace e corrotto ma amico, che un governo amico ma capace di tutto: ad esempio non essere servo-shock e suddito scecco. Una massima che vale oggi come allora, elaborata e attuata da quell’altro meritatissimo Nobel per la pace di Kissinger, basata sulla frase pronunciata circa il dittatore Noriega e che da allora nesusno rinnega: è un figlio di puttana, ma è il mio figlio di puttana. Qualcosa che non vale o non è valso solo in Italia, ma anche altrove, solo che in Italia molto più che altrove. Insomma, malcostume mezzo Gladio. Anche se oggi in Europa non si può più mettere una bella bomba, non si può imporre una comoda dittatura, ma puoi sempre dire chi per te in politica è una bomba mentre fai interdire e hackerare chi per te è una iattura. Come Giorgia, la duce di cocca Trumpiana: che, con grande gioia da Nixon e Bannon a Nordio e Durigon, unisce la solida tradizione piduista e neofascista colla oggi trendyssima eversione anti-magistratura berlusconiana. E che tristezza, questo 25 Aprile 25, dover sentire che la Liberazione va festeggiata sobriamente: magari ospitando come primo leader mondiale a Palazzo Chigi Orban, un presidente di democrazia fieramente illiberale che l’Oppressione la sa festeggiare sovranisticamente. Che mestizia questa Italia Fratella dove vieni identificato se ti dichiari antifascista come la Costituzione, e idolatrato se sei arcifascista di famiglia e costituzione. Una meraviglia, a cui dall’altra parte risponde tacendo o straparlando un mero e calimero parapiglia. Calenda che preferisce parlare con Meloni anziché cogli ex grillini; gli ex grillini ora contiani ma sempre più paciputinisti che di rimando non ne vogliono sapere di Calenda; la Schlein, che più che cogli alleati ha solo incontri coll’armocromopsicanalista in calendario e in agenda…
Insomma, omissione compiuta. Al mondo e all’Italia oggi manca quello che Aldo Moro, Piersanti Mattarella e Olof Palme sognavano — una socialdemocrazia (magari cattolica, ma non italocristiana…) europea. E non si sa quale delle due parole starebbe più sul razzo ieri a Kissinger via Kiss Me Licio Gelli, oggi a Trump aspirante Kaiser dei miei gioielli. E infatti. Non per caso gli europei che da ottant’anni accettano di essere asserviti e riveriti, oggi dagli Usa si sentono dire che sono serviti ma da oggi sono parassiti tirchi e rincoglioniti: e si ritrovano senza un’unità di intenti o almeno un’identità per rintuzzare gli attacchi che arrivano e arriveranno da Trump Putin e il resto della Autocrati Riuniti. L’Europa divisa, serva, per forza brutta e inutile in un mondo in cui tutto quello che non è forza bruta a cosa vuoi che serva. Un pensiero duro, un ideale tosto, un piano oscuro — magari intermittente, magari non perpetrato in maniera costante e permanente, ma oggi pressoché completo e riuscito. A cui manca giusto un papa che — anziché a Lampedusa dai migranti — il primo viaggio pastorale lo faccia in Usa a una fabbrica Tesla di morto-siluranti. E anche se il Conclave parrebbe a maggioranza bergogliana, la storia è per sua natura una salita in bici alla bersagliera, un’inculata bara e puttana. Non per niente a sentire l’intervista data da Müller — l’OberKardinal di scuola SS e Natzingeriana secondo cui l’Azienda nel nome di Cristo non è una cosa da poveri né la Chiesa arcobaleno che piace ai ricchioni e ai ricchi — pare che Bergoglio non sia ancora freddo, ma loro c’hanno il nuovo Pietro in caldo e il Dom Perignon in ghiaccio. E che gli dobbiamo dire al papa nuovo arrivato, noi del Papaluto? Non resta che attaccarsi alla speranza, anziché a quel cosetto sotto la panza… E quindi un po' sperando e un po' disperando senza buttarla in vacca, oltre a buonanotte e buona fortuna non ci resta che dire: o la Vaticano, o la spacca.
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