giovedì 31 ottobre 2019

LE CRONICHE DI NARNIA


No che non era un bullo bollito che ad agosto s’è giocato il governo dopo il terzo mojito. Il Salvini uscito dalla porta del Papeete sfottutissimo, infatti rientra dalla finestra elettorale in Umbria smargiasso e fortissimo. Tutto previsto e prevedibile, tranne dai geni civili e religiosi delle previsioni delle omelie-strategie e degli sfottò-titoloni. Prime firme come ultimi scemi, ora la situazione è lampante — non meno che laida e imbarazzante. Salvini è di nuovo in sella, facendo un governo col giallo e col rosso si è riusciti miracolosamente a ottenere solo grigio a più non posso, ma in compenso non passa giorno (che infatti non passa…) senza qualche scazzo matto e Matteo (è un accordo sbagliato: non per niente sono io che l’ho voluto e c’ho guadagnato…) persino Renzi sembra sempre più in gioco e in palla. Per Zinga Conte e Giggino — gli alleati in campagna in foto e in fondo più forzati, svogliati, sbadati — una fine leggermente più cruenta e indecorosa di Al Baghdadi. Ma non poteva andare diversamente. Quando inizi dalla fine, è già l’inizio della fine. Voi lettori di Papaluti fra i più accaniti ma stranamente non ancora ricoverati, sapete come la pensiamo qua: Pd e Movimento dovevano parlarsi da mo’, da almeno due anni in qua. Ma un governo — possibilmente non di potere, né col dovere di non poter perderlo… — doveva essere alla fine della strada, non al principio: altrimenti ci si ritrova come adesso: in mezzo a una strada, con molte poltrone ma manco un principio, con troppi capetti e codazzi ma senza idee capo né coda: epperforza che poi sono cazzi. Se scambi la A colla Z, il legittimo potere parlamentare con il consenso popolare, è fatale e fattuale che te la prendi in culo dalla A di Abruzzo alla Z di Umbria. E’ un errore di logica, pure di bassa ortografia, senza scomodare o scazzare l’alta politologia. Come abbiamo scritto noi — e avrebbe prescritto qualunque dottore della muta di elettori da non trattare come parchi o porci buoi — una lista d’obiettivi e non di nomi doveva essere il punto d’ogni possibile partenza, se non proprio d’una passabile alleanza. Parlarsi prima, accordarsi, anziché parlarsi solo adesso e solo per (s)parlarsi addosso. Per mille motivi (non tutti buoni, non tutti cattivi) si è cominciato dalla fine, si è cominciato senza fini e precisi confini, e adesso il punto — anzi i punti, percentuali e di distacco, che sono venti — è questo: avanti così, o si stacca la spina a Conte al più presto o si stacca il biglietto a un Salvini al 50%.

Certo farlo non è come dirlo, e adesso ‘sto governo è fin troppo facile disfarlo sfancularlo e maledirlo. Persino per noi, anti-papisti che pure scriviamo papale papale coi nostri Papaluti, ma che  mica scriviamo tanto per parlare come tanti e cotanti rincoglioniti. Gli sboroni gli sberti e i faciloni del giorno dopo, col senno del poi dopo un sonno più lungo che mai, li lasciamo parlare e russare. Però, siccome non ambiamo a far sì che Salvini fra Palazzo Chigi e Quirinale possa addirittura ambire ad ambare, qualcosa bisogna fare. Possibilmente di costruttivo, di meno facile del notare e del battutare sul fatto che — tanto per dire — anche senza fare la legge il taglio dei parlamentari M5S lo faranno gli elettori quando si andrà a votare; qualcosa che non somigli a una tafazzata sfasciatutto e fascistizza-tutti che magari fra Salvini e Giggini favorisca un ricongiungimento (fin troppo) familiare. Staccare la spina al governo è una spina: che bisogna affrontare, sfruttare, per l’appunto governare: magari tirandone fuori una rosa di roba buona, anche solo decente, che non salva il mondo ma funziona. Dell’Umbria non bisogna minimizzare il risultato — dall’Umbria si può massimizzare qualche risultato. Non bisogna perdere del tutto la ragione né aspettare di perdere tutte le regioni. Ragionare, spaziare, spezzare il cerchio politichese guardando al paese: senza rilanciare o nicchiare e minchionare promettendo l’impossibile, senza rimpicciolire e regionalizzare in modo sciocco paraculo e palese. Poche balle e balletti, c’è in ballo l’Italia tremens. Tutta, quel che ne resta, quella del tutto marcia (su Roma: da Terni via Narni) e quella che (ancora, a destra) non si butta. Come direbbe Lenin: Che Fare? Come risponderebbe a tono Adrianone Pappalardo, Ricominciamo. A girare, a parlare, a fare politica riprendendo a girare ma senza riprendersi in giro. Altrimenti rifinisce che stravincono e straconvincono Capitan Salvini e la sua versione lady-boia chi molla transgender, la camerata con svista Giorgia Meloni.   

Noi non volevamo che l’accordo Pd-5 Stelle fosse fatto così, in un niente: ma adesso non crediamo debba essere disfatto così, come niente. E’ un casino, forse è tardi, il dentifricio non può essere messo nel tubetto — ma st’accordificio che non vale un tubo può essere ancora corretto. Ma devono cambiare prospettive, propositi, aspettative. Ad esempio quella secondo cui basta indurire — le posizioni, l’udito, l’uso di menate da politichese a menadito — per durare. Basta figliare e sfogliare proposte vaghe, magari benintenzionate ma malpensate, improvvisate idiote e utili al paese come il sale o il vagisil sulle piaghe. Levarsi dal capo — anche di governo — che si possa andare avanti tre anni così: che si possa salvare la democrazia a dispetto degli elettori, che ci si possa ergere a difensori della democrazia facendo la figura e/o la parte gli anti-democratici ottusi ed elitari. Scendere dal piedistallo per farsela a piedi — l’unica per uscire (interi, in piedi, persino fieri) dallo stallo. Basta Bostik da mettere sulla poltrona, meglio mettere in cantiere eppoi in carniere qualche cosa che magari da sola non basta, non ti e non ci salva, ma funziona. Tipo mettere da parte volponi e vogliosi papponi che vogliono tirare a campare, ad accampare scuse e a rimpastare maggioranze fantasiose neo-fanfaniane o fantaschifose. Immigrazione, lavoro, sanità pubblica e mentale, giustizia penale e sociale… Darsi un tempo limitato, portare a casa qualche provvedimento progressista e non solo pro-populista con un senso e magari un consenso, darsi uno slancio senza passare dall’ennesimo accordicchio stentato e limato: eppoi però portare il paese al voto. Basta bizze, scazzi mazzi e bische sulla pelle e le palle degl’italiani. Andare alle elezioni, non temerle ma prepararle — andare a cercare i voti non comprati o cammellati, ma preparati. Chiudere coi giochetti, aprire al paese, giocarsela senza paure senza giocare sulla paura le bugie e i dispetti; basta lotte interne senza senso né quartiere: ma lottare con un senso là fuori, nei quartieri abbandonati e salvinizzati dove se non t’ammazza lo stipendio da fame t’accoppa il primo spacciatore. Fare all-in, senza aspettarsi o aspettare che il Merda in oro esca dall’argent de pochette in tasca al Conte di turno, che senza sudare e pur di durare ti attua indifferentemente il programma di Trump di Putin o di Stalin. Darsi una direzione — politica, persino etica — anziché a disperate e disparate direzioni politiche eroicomiche che si danno a un uomo per tutte le stagioni e le più reiette reincarnazioni. Difficile dite? Siete ottimisti: noi diciamo impossibile. Però almeno sensato, come minimo salutare e utile, se non addirittura nobile. E soprattutto: inevitabile. Mettere il paese avanti, prendersi le proprie responsabilità, per poter mettere il paese davanti alle proprie responsabilità. Fare all’Italia una proposta politica chiara, limitata non intellettualmente ma temporalmente, intellettualmente (e non temporaneamente…) onesta: eppoi, se vuole l’Italia si riprenda in carico in carica eppoi in culo la falsa soluzione sovranista. Lavorare perché nell’accordo Pd-5S prevalgano i pregi sui difetti, anziché lavorarsi a vicenda e ai fianchi fra sfregi e dispetti. Riconoscere i propri errori, anziché disconoscere agli avversari i meriti di discorsi politici — sì orrendi, sì da falsari e da cazzari tremendi — ma almeno comprensibili, coerenti, chiari. Meglio provare a vincere eppoi perdere, che nemmeno provarci — provando oltretutto a illudere o illudersi — e comunque perdersi. O in questo modo, oppure avanti tutta e con tutta la saga fotografica da turbe psicopolitopatologiche incurabili e ininculabili tipo Croniche di Narnia. Un fotto-romanzo fantasy, da gente che non c’entra e non centra la realtà, che là fuori tra la gente è peggio di qualunque reality. Ma è con questa che bisogna fare i conti, perché questo è il mestiere della politica — non fare e disfare i Conte pur di dividersi scanni poltrone e strapunti. Insomma. Misurarsi coll’ex bel paese reale — infelice ma contento se in contanti, oramai più brutto che bello — anziché stare lì a misurarsi i sondaggi e l’uccello. Noi la vediamo così — o in questo modo, oppure tanto vale sin da ora prepararsi a vedere Salvini primo ministro che si elegge Savoini Presidente della Repubblica Putinitaliana nella sua nuova sede dell’Hotel Metropole: che dite facciamo che ce la facciamo, o facciamo che ci vediamo lì? In ogni caso, buona notte e buona fortuna.



        

domenica 18 agosto 2019

CAPOCCIA-LINEA


La tragedia d’un paese rabbioso e idrofobico più che arrabbiato, ilatrotragico più che ridicolo, sempre in mano e ai piedi dell’ultimissimo modello di grand’omuncolo. Da Berlusconi a Renzi a Salvini appoggiato dai grillini — senza arrivare e contare il capoccione-stipite Mussolini — la nostra storia è sempre quella: fai merenda con — eppoi mai ammenda per — aver creduto e/o ceduto a chi parla a manovella e al primo che gli dice pirla lo manganella. 
In Italia la donna è mobile è — per la madonna — la crisi è retrattile; da noi — che come animale e pirito-guida c’abbiamo il retto gassoso e il rettile… — non si rispettano le promesse, figuriamoci le premesse elettorali: tutto questo per dire che mentre scriviamo alla fatidica data del 20 agosto manca ancora un pezzo, quindi non di capisce come finirà lo sfiduciamento con incartamento più pazzo. Rimpasto, elezioni, governo per salvare le istituzioni ma più che altro il posto: poco cambia, per le nostre riflessioni: la situazione è talmente buona e profumata che comunque vada, sarà sul cesso. E allora avanti, se non le conclusioni almeno tiriamo l’acqua.

Dal patto di ferro, per il Governo del Tradimento, si è passati a ‘sto piatto di Ferragosto che piange indigesto fra l’anguria lo spaghettino e l’insalata di farro. Anche se c’è gggrossa crisi pure per riuscire a farne una di governo che di recente non ne ha imbroccata mezza, pare che ci siamo. Non si sa quando né come o perché ma si scende, siamo al Capoccia-linea. Salvini stacca la spina, anche se sorprende che a farlo sia proprio uno che deve tutto alla propaganda a tutta e a rutta birra… A parte questa schiumosa perplessità, dal suo punto di vista la mossa calcolata da mesi (ma mascherata da schiumante e improvvisata impetuosità…) ci sta; innanzitutto perché due braccia rubate all’agricoltura come le sue non possono stare lontane dalla campagna — elettorale — eppoi perché finita la luna di fiele avrebbe dovuto misurarsi colla realtà. Meglio far scattare la crisi, mettersi in salvo e stare in guardia, che stare al governo e farsi schiattare da una finanziaria tutta tagli anti-clausole di salvaguardia. 24 miliardi di buoni motivi, per questa scelta che può sembrare ingiustificata o impulsiva giusto a Toninelli, Dimaisti/Dibattisti/Beppigrillisti terminali e simili buoni a nulla fra i più emotivi. Salvini non aveva scelta, l’aria sta già cambiando, arriva il momento che le balle a mille stanno a zero e lui sapendolo aveva già la sciolta: ma meglio fabbricarne di nuove, che governare — però davvero — quando la fifa da fuffa morta è molta. O vai sempre su, o vai giù per sempre. O capitalizzare o capitombolare, col consenso — giustificato o gonfiato, con o senza senso — funziona così. Se vuoi restare in plancia di comando del paese, la pancia del paese deve restare al comando. Parli bene e forte e facile, populista, ma quando inizi a non mantenere per il tuo poppolo sei il primo della lista. Da abbattere, abbandonare, mazzolare: e allora l’unica è scappare, sfasciare, spacciare nuove balle di zecca (rossa…) e ricominciare. Certo, poi bisogna saperlo fare. Tutto è azzeccare il momento, non sbagliare una mossa o una megarissa, tenersi in movimento perché è un attimo che da status di eroe con statua passi a cacca di piccione sul predetto monumento. E l’uomo forte di turno — nonché di panza e di chiacchiera — lo sa.

Come sa che questa estate è la sua, ma senza crisi e voto o governissimo/governicchio da cui avere una rendita di (op)posizione potrebbe essere già la sua ultima estate. Fra ballare e sballare (in) una sola stagione passano tanti piccoli dettagli, che non possono passare inosservati. Si apre una crepa, uno non se ne accorge e da che spaccava è un attimo che crepa. Allora rivediamoli un attimo al Var, ‘sti mesi di fuoco al barcone passati poco al Viminale e parecchio al bar, eppoi andati miseramente e miserabilmente a sbattere e a sbattersi davanti al Tar.

Ogni giorno una sparata, molti sorrisi, qualche cazzata poca sostanza e selfie a tutto spiano — ecco che cosa è stata la stagione più hot e più spot della Panza del Capitano. Rabbia e paura vendute sdraio a sdraio, battutacce di caccia al negro alla zingaraccia e al consenso, a voi l’Italia a Noi del  manuale di selfie-help con cui il ministro dell’Interno In Tour Eterno aiuta il paese a ribollire come un odioso e odiante merdaio… Un beach tour da vucumprà vendi balle ultrà talmente molesto scazzofonico e disperante da far sembrare quasi musica quello di Jovanotti, per dire. Da Salvini tanto fango, fumo e poco arrosto: a parte quello di trippe delle truppe cammellate e cocktail-uncinate che lo acclamano da Milano Marittima a Soverato, da Giugno ad Agosto. Ma non è tutto loro — di Salvini e della sua Bestia acchiappa zeloti e grugniti, belati e bagnanti — quello che luccica. Ci sono stati osanna e ovazioni ma (fra alcoliche invocazioni alla madonna per coprire puttanate della medesima) pure orchiti grattacapetti e colossali pestamenti di merdoni. Mentre giocava a Rambo e a racchettoni, ad esempio, la zecca Carola Rackete odiata e denunciata da Sua Eccedenza in mojiti e rotoloni, nel mondo diventava ‘na specie di eroina da overdose di smascheramento e smerdamento del suo sbarramento sui barconi; oppure — tanto per dire — si scopriva che non le Ong straniere, ma la polizia di stato italiana era il vero taxi del mare: per scarrozzare in moto d’acqua il suo trota d’acqua salata dove gli pare; o ancora: mentre il ministro dell’Interno formato export e scuse ex post via post passava il ridicolo e il Rublicone cercando di far passare per leggende Hotel Metropol(itane) le accuse su Savoini, certi simpatici piccoli boss-scout di mafia passavano per le vie di Vittoria e alla faccia della Sicurezza coi Suv a falciare bambini. Potremmo andare avanti, con questo indietro tutta, ma ci siamo capiti.    

Inezie infamie e minuzie, per carità. Moto d’acqua porta-figlio evidentemente non porta moto di sdegno, e certi colpi giornalistici più o meno a fuoco o a segno non si sono poi rivelati brucianti colpi all’immagine cui pagare pegno. Cose poco commendevoli poco commestibili e poco chiare, ma anche poco care. Che non sono costate nei sondaggi, ché non possono né intaccare né infangare l’eterna effigie del Nostro Nuovo Dux a ore, ma che — almeno da parte sua, tralasciando analisti e anal-editorialisti che badano solo che il loro culo non si faccia la bua — ignorare sarebbe da somari più che da saggi. Un po’ come sentirsi intoccabili, unici, senza precedenti e paragoni. Quand’invece il precedente c’è, col paragone che calza e incalza. Vince le elezioni, perde i governi, rivince le elezioni ritenendo che gl’italiani non ne abbiano mai abbastanza della sua simpatica condotta senza ritegno senza risultati e non senza abiezioni: chi vi ricorda? Estate 2009-Estate 2019, dal Papi al Papeete: il Salvini di ieri si chiama Berlusconi. Colle olgettine e il bunga bunga al posto delle cubiste del sovranismo al cubo al quarto Moscopoli Mule in tanga, ma siamo lì. L’apice del potere, ma con un pedice nella fossa, pronto a cadere nel dimenticacatoio e nella vasta e infetta appendice degli ex del potere. Non appena ti credi al climax, ti gettano via come un Kleenex: ti cancellano dalla faccia di culo della Terra che ti girava intorno come (un) niente, con uno Scottex. Avevi fatto credere tutto a tutti, avevi promesso mari e monti, e ti ritrovi compromesso e rimpiazzato da un Mario Monti.

Il rischio è dietro l’angolo, annidato negli umori del popolo che da dolci ci mettono un attimo a farsi amari, acquattato dietro un colpo di testa-coda dei sondaggi come in uno scazzo d’odio/ex amore improvviso che pare un embolo. Ma il dottor Stranumore Salvini lo sa, che la gente stramba e cambia cavallo e luna facile, che il rischio è calcolato ma concreto: e se volete sapere perché per noi ‘sto rischio è anche qualcosa di più, anzi è proprio assicurato, andatevi a leggere lo scorso Papaluto. In questo non c’interessa ribadire perché Salvini ha già iniziato a finire (magari per lasciare il posto a uno peggiore…) ma dire il perché al momento è molto più fortunato che finito. E cioè contarvi di come per lui non si contino i suoi avversari ex alleati e teorici nemici per cui uno — avendo loro — non ha bisogno di migliori amici. Più furbo e rapace e feroce che capace, ma la concorrenza è svelta e arrapante come una Tartaruga Minchia incapace e in carapace di tutto... E qui i punti di convergenza (per non dire di nuova, anche se non eterna, alleanza…) Silvione-Salvini aumentano. Matteo Silvioni c’ha il culo nel sangue, un congenito lato positivo, in ultima analisi (del sangue) diciamo un gruppo lato B positivo. Non sarà il migliore, né il più preparato, ma ‘sti altri genî lavorano perché lui e i suoi geni sembrino un patrimonio d’interesse nazionale, un capolavoro di genoma da Moma, un matrimonio d’interesse micidiale: il meglio del meglio sputato e sparato.

Tant’è vero che — buffone o bluffone — in questa specie di Strippo Poker da pazzi, è lui che dà le carte e i tarocchi in un paese a pezzi: e magari nella partita si sarà pure già ricreduto pentito e incartato, ma i comportamenti dei suoi peggiori nemici e migliori soci è ‘na specie di regalo di Natale già scartato. Tutti a subire le sue mosse, le sue presunte plaudenti e bisunte masse, le sue paci seguite e precedute dalle risse: la confederazione lavoratori per Matteo è un sindacato che la Cgil in confronto è ‘na bocciofila.  
Prendete (non per il culo, per quanto difficile…) Di Maio ad esempio. Giggino è talmente un nessuno che Conte come (ri)candidato premier oggi sembra addirittura papabile, palpabile, insomma qualcuno. Lui a Salvini gli ha votato tutto, Matteo lo ha svuotato di voti e tutto, sul Tav e non solo gli è passato sopra e in parlamento con un treno: e adesso lo molla lo rosola e lo ammolla a piacere, lo prende e lo lascia di brutto. Poi c’è il paraguru Grillo, che è finalmente tornato a far ridere dicendo che serve subito un governo istituzionale per fermare la barbarie — quella che, fra applausi da bene bravo decreto sicurezza bis, un certo movimento politico-intestinale ha sostenuto per circa un anno in ognuna della sue merdate. E non parliamo delle brillanti strategie degli altri, dei diversamente Salviniani aka Renziani: Matteo S(S) sarà (ed è) pure pericoloso per il paese, ma davvero le istituzioni e l’Italia le vogliamo far salvare a Matteo R colle sue estrazioni del Lotti di piani per il Csm stile Poveri Ma Gelli attuati aumma aumma ma copiati in modo palese?! Siccome il capo del clan dei Rignanesi non ha per niente la coda di paglia e la faccia di merda, con un’excusatio non petita ai giornali da risata saporita ha fatto sapere che no, non c’è nessun filo rosso fra me e le politiche di Salvini — ma solo perché il rosso fa schifo a tutti e due. Invece la porta aperta ai porti chiusi con annessi e connessi di abusi la si deve proprio a lui (Aiutiamoli a casa loro, copyright di Matteo R e assist per Matteo S) e all’ex compare Minnito Mussolini, un altro che oggi è per l’accordo coi 5stelle quando fino a una settimana fa li paragonava ai migranti che in Italia (secondo lui e la sua intelligence sempre sul pezzo e sull’alticcio) erano un pericolo per la democrazia. Per battere Salvini, o per togliergli almeno di mano il boccino della situazione, bisogna essere un pochino meglio, non un pelo meno peggio di lui: più credibili, più coerenti, altrimenti sarà ancora e sempre lui a menare i negri e le danze finché non avremo più i denti e ci pisceremo col pannolone.  

Posto che una crisi ancora non c’è mentre un governo ancora sì, che se e quando ci sarà la palla perfortuna dal pallonaro passerà a Mattarella, la via maestra (né bella e nemmanco bidella…) non può essere un’ammucchiata di poltrone stile Casini&casini che è un incrocio fra Scilipoti e Mastella. Non ci siamo. Anche se secondo i bene informati istruiti e illuminati la soluzione per uscire da questa crisi sarebbe una crasi fra scoppiati grillini scappati renziani e scippati zingarettiani così di sicuro Salvini non va al 40%: perché non appena si arriva alle elezioni va al 50. Un governissimo che fa benissimo, un esecutivo di legislatura o del presidente, il modo migliore perché Salvini resti esecutivo e vincente: e magari possa diventare benissimo presidente. Ma è l’unico modo per fermarlo! Hai voglia a dirlo, conviene ‘na rinfrescata alla memoria e ‘na sveglia prima di sognarsi di farlo. Anche se adesso grillini renziani e dalemiani riesumano e riesultano in coro per le meraviglie del governo Dini, vale la pena ricordare che dopo il tradimento a Prodi (chissà di chi, vero Massimo&Matteo?) ci furono altri 10 anni di Berlusconi. Chissà com’è, arginare o aggirare il voto popolare poi, al voto, non si rivela molto popolare...

No, non è questa la soluzione. E il peggio è che tutte le altre sul tavolo — e sul tragicomico — fanno tutte il gioco e hanno tutte il giogo di Salvini.
Fai un governo che fa tutto quello che non ha voluto e saputo fare lui, e fra due anni Salvini è presidente del consiglio coi conti a posto e dopo una campagna elettorale sul velluto sul benvoluto e in orbace per uscire dall’euro, entrare nel rublo e alla neuro e contro il golpe di Palazzo: una manovra dei poteri forti che nel frattempo magari ha fatto le manovre e le finanziarie lacrime e sangue che lui manco per il cazzo...
Allora scarti il governicchissimo degl’incoerenti e dei perdenti, e vai dritto alle elezioni: e avanti con un’altra campagna di qua tutta grullini contro pidioti, sciatori chimici vs scippatori incalliti, con Salvini che magari di là e da solo fa il pieno di di voti.  
Tertium non datur: a meno che Salvini non faccia dietrofront, Giggino O’ Pollo accetti la poltrona di presidente fantoccio, e il Capitano continui a comandare mentre il suo unico avversario Conte va verso Bruxelles con una piccola deviazione/defenestrazione ovverosia detour… Il che non è da escludere, anche se al momento sarebbe difficile immaginare: se sia più da piangere o da ridere.


Insomma tutto è possibile, tutto è passibile di cambiamenti, tranne che la situazione non resti fluida come la merda: e che, laddove non vinca, che pur fra mille cazzate e casini e contorcimenti Salvini perda. A meno che…
Sin dai tempi di Bersani (che infatti su un possibile accordo/disarmo bilaterale ha detto le parole più lucide e sensate nonché meno da zozzo sensale...) qui al Papaluto siamo per un accordo Pd-M5S. Ma alla luce del sole, non al ribasso; colla vidimazione di un voto popolare, non aumma aumma e in emergenza, fra trombati e traditi che devono fare tutto di nascosto e alla luce di calcoli tristi da Sole 24 ore. Se non proprio statisti, non servono stitici statistici e logodiarroici inciucisti. Fare i conti col paese, magari fare anche qualcosa che serva, non solo i conti alla strapaesana e della serva. Salvini si deve fermare, sì, ma prima ci si deve fermare a pensare. O meglio ancora, a ripensare. Tutti e tutto. Atteggiamenti e schieramenti, opportunismi e isterismi, inopportuni furbismi farisaismi e trasformismi. Non avere paura di andare alle elezioni, non avere il terrore di parlare chiaro — e difficile — ai rispettivi e irrispettosi elettorati. Meglio sollevare il dibattito, alzare il livello e il culo per andare dagli elettori, che alzarsi le mani fra maneschi manichei dei gruppi parlamentari. Insomma, porre le basi per un accordo di governo dopo le elezioni, non sulla testa la pelle e le palle degli elettori. Cercare di parlarsi per avere dei punti di contatto se non proprio di contratto, per cercare dei punti di forza e non solo di contrasto in un’intesa futura, perché parlarsi non vuol dire avere per forza solo (s)punti di sutura…

Insomma. Cercare un accordo su quello che si può fare, non un accordo di potere. Ovvio poi, solo perché lo pensiamo noi, del Papaluto, il progetto è automaticamente utopico, lisergico, irrealizzabile e irrimediabilmente fottuto: da quello che si legge adesso, infatti, il governo giallorosso che darà luce verde-lega a Salvini premier è già apparecchiato. Buon appetito a lui, buona fortuna a voi, buonanotte al secchio e all’Italia che non vuole sentirsi al capolinea né sentirsi la linea di questo o del prossimo capoccia. Che magari riuscirà anche a essere peggio, e più sotto alla grande, di com'è qua sotto in grande:    


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