lunedì 5 dicembre 2016

E' STATO BULLO, FINCHE' E' DURATO...

La Costituzione per l’Italia non si tocca, Renzi per la sua carriera può toccarsi. E forse s’è già toccato troppo, assieme a tutti quelli che si facevano seghe e gli portavano sfighe sul prossimo successone. E che sono rimasti ciechi, e adesso a Renzi arriva sì il prossimo: ma successore. Forse un suo clone, forse un suo paggio, forse Giggino dei Grillini, forse un Salvini: forse addirittura peggio. #Ciaone Matteo, è stato bullo finché è durato… Già stanotte a un certo punto aveva meno amici di un pedofilo cannibale su Facebook. Amiconi e giornaloni l’hanno scaricato subito, e con lui sono rimaste solo le Milfone del Corriere, per cui è sempre il tempo delle Meli. Lacrimucce, commozione, amore finito. Madre Teresa, coraggio. E lui che le sussurra: Non credevo mi odiassero così tanto e che fai Matté, ti sottovaluti proprio all’ultimo?! Ha fallito. Hanno fallito sia il regalo che il ricatto, con relativa crisi di governo e di rigetto. E adesso siamo in una situazione senza né capo né coda, ma sempre meglio che col capetto e relativi servi-clientes in coda. Le questioni più gravi restano tutte, tranne una cosina trascurabile, proprio robetta: la Costituzione e la democrazia l’hanno sfangata, non le ha infangate nessuno per fare cassetta. Basta piccoli Schifani fiorentini, avvocatesse e massoni aretini, pitreisti del partito della Nazione bianchi rossi e Verdini. Bene, anzi benissimo. E adesso avanti, anche se sembra d’andare sempre più indietro, che vada malissimo. Mattarella avrà da lavorare, si dovrà svegliare, forse dovrà addirittura parlare? E pazienza. Era già scritto, lo abbiamo già scritto: sarà difficile, ma non importa. La malapolitica bulletta, autoritaria, fottipiangente Lacrime Napolitane non è riuscita a dare la colpa alla Costituzione antifascista per i propri fallimenti antistorici, anti-decenza, anti-logica di un governo che sia anche solo lontanamente progressista. Giustizia e Libertà, e scusate e se è poco. La Costituzione è salva, e noi siamo più leggeri, più contenti, più liberi anche di sbagliare, di fare cacare più di prima. Mettere mano alla Carta in questo modo manomettendola era mettere mano alla carta scottex senza manco scalfire, ha voglia Scalfari a dire, il merdone. E infatti i problemi sono ancora tutti lì, dove sarebbero rimasti anche colla vittoria del sì. Punto e a capo, col vantaggio d’aver messo a punto un infallibile trattamento anti-capetto. Almeno per adesso, l’Uomo Sola al comando non tira più né pacchi né alle urne.

E adesso? Adesso c’è, c’era già, ci sarà da capire, teorizzare, strologare. Elezioni subito, legge elettorale e di bilancio prima, qualche questione concreta, prima o poi… Ognuno dirà la sua, cercando ovviamente di tirarla dalla propria. Politica politicante, quella che piace e fa campare giornalisti, parlamentari, giornalisti parlamentari. Per il disagio, le disparità vere brucianti e urgenti c’è sempre tempo, no? Beh, come l’Italia ha scritto circa 19 milioni di volte sulla scheda… NO!
Un suggerimento abbastanza chiaro, una rabbia forte, ma il nostro ceto politico, il nostro ceppo di muffe burocratico-lobbistico? E’ chiaro: è tardo forte. Oltra a questo scazzo d’orgoglio occorreranno altri segnali, forse, ma non di fumo. Quello ce lo mettono loro. Probabilmente a certa gente abbiamo fatto #Ciaone, basta con gentaglia tipo i Rondolino e i Carbone, i gerarchi renziani che sono guappi di cartone, quelli che spariscono dopo lo scoppolone. Ma a certe questioni diciamo solo arrivederci: al prossimo appuntamento elettorale, al primo peggioramento vario ed eventuale. La corruzione galoppante, il paese stagnante, il malaffare inchiappettante; la meglio gioventù migrante, la sicurezza, la paura che cresce sempre di più per la disperazione immigrante. Quante belle cose, tutte nostre, e quante belle collaborazioni colle floride e fetide Cose Nostre. La scelta è vasta, la gamma nefasta, e non crediate che con questo  voto o altro cento sia scomparsa la Casta. La disoccupazione, la giustizia sociale, il degrado culturale e umano quasi più grave di quello urbano. Problemi gravi, da cui non si esce con un Vaffa o con un Dibba o con un capo colle palle se ne esce colla testa, sulle spalle. Con persone responsabili, coerenti e conseguenti nei comportamenti. In pratica, se ne esce come noi del Papaluto potremmo uscire con Kate Upton: colla speranza, colla fantasia, sperando in una botta di culo di carestia o di miracolosa arrapanza…

E visto che siamo in tema di fantasie impossibili, noi ci lanciamo. Raccontando  secondo noi, che in testa c’abbiamo i problemi quali sono i problemi in testa all’agenda di un ideale e provvidenziale governo. Semplice: non far più succedere cose come quelle che andiamo a raccontare qui sotto, da questo pezzo d’Italia che va sempre più sotto.
Con una premessa, che vale come una promessa. La Liberazione ha avuto come coronamento la Costituzione, ma questa Costituzione non rappresenta la liberazione da quello che siamo. Con tutti i nostri pregi e i nostri sfregi, i nostri difetti e il nostro essergli indifferenti, ritenendoci indistruttibili se non perfetti. Invece la colpa non è solo e sempre del governo disgraziato non foss’altro perché i digraziati che hanno scelto quel governo, questi governi, spesso siamo noi. Che non vogliano sapere, non vogliamo ascoltare, non vogliamo proprio sentire storie come questa.
Perché cosa rimane, dopo tutte queste belle storie sul referendum? La solita storia brutta, il Paese s’incazza e s’inganna ad libitum. La brutta scoria dal solito mucchio di macerie civili, congerie concettuali, macellerie istituzionali. Dopo domenica si torna al solito Paese che molti raccontano come se fosse sempre domenica; che si vorrebbe normale quindi normato e che chissà come i soliti mignotti manco tanto ignoti cercano di rendere normalizzato. Anche se già adesso è bello anormale, ipernormato, anestetizzato. Troppe leggi ignorate, troppi maneggi e troppe magate. Assente, rassegnato, indifferente. Sordomuto eppure petulante, logorroico, origliante; cieco e sordo, almeno quanto occhiuto, pettegolo, tutto social e in fregola. Sempre per cazzate, ché nelle cose serie il Paese Reale non ci s’impegola. E allora tocca a noi, che scriviamo e viviamo qui a Poipolo, il paese dell’Irreale. E allora, noi del Papaluto che cazzo vogliamo? Il solito, grazie. Con tanto pepe e poco ghiaccio nelle vene, dirvi l’ennesima cosa (Nostra) che ci fa incazzare e come viene, viene…

Vincenzo Agostino (nella foto: dei due anziani, lui è quello senza scorta ma non senza dignità..) non taglia la barba da 27 anni, da quando il 5 agosto 1989 a Carini suo figlio Nino con la moglie incinta di 5 mesi furono trucidati sulla porta di casa. Nino era un poliziotto, e ai suoi funerali c’erano anche Falcone e Borsellino: altri due illustri trucidati nella Hall of Shame delle vergogne d’Italia. Un paese che santifica eppoi dimentica, che vergogna non ne ha, e ancor meno bisogno o amor di verità. Ammazzato così, come un cane. Senza pietà e senza ragione. Ma che è successo a Nino? Pista passionale, vecchio, e vedi di fartela bastare, di fartela passare. Ma Vincenzo Agostino ha detto no, ha smesso di tagliare la barba e ha cominciato a fare domande. Iniziando da una: perché Falcone ai funerali di Nino ha detto A quel ragazzo devo la vita? E perché poi senza, Nino Agostino, Falcone e Borsellino quella vita l’hanno persa? E perché sui tre luoghi dei tre delitti Carini, Capaci e via D’Amelio c’era sempre un uomo, tale signor Carlo o Faccia di Mostro? Uno dei servizi segreti italiani, ma anche dei mafiosi: dei servizi mica tanto segreti ai mafiosi. Uno che ha saputo sparare e tacere, forse torturare, che ha fatto sparire l’agenda rossa di Borsellino e visto sciogliere nell’acido Santino Di Matteo. Uno che sa tanto, che non dice niente, che vive tranquillo e neppure latitante. Uno insomma che lavorava per i mandanti e gli esplodenti delle stragi del ’92. Uno contro cui lavorava Nino Agostino, che però (anche se il padre non lo sapeva) lavorava sempre per i servizi segreti e per lo Stato. Ma quello buono, non quello da niente di buono, quello dei Faccia di Mostro buoni a premere il grilletto, a sciogliere nell’acido un bimbetto, a organizzare e godersi la bomba che esplode in Via D’Amelio o sotto un viadotto. Nino indagava, non indugiava, chiedeva e rompeva sul primo attentato a Falcone. Quello fallito, quello che si disse di era fatto da solo, che come si dissero i mafiosi andando a vuoto fece perdere solo un sacco di tempo. Quattro anni persi, ma Nino Agostino li ha pagati cogl’interessi. Quattro, cinque, sei colpi. I bossoli a terra, i boss e i loro complici al settimo cielo. E il padre mai a rassegnarsi, disposto a tutto pur di trovare qualcuno che s’interessi. Attilio Bolzoni di Repubblica, prima; la Procura della Repubblica di Palermo, poi. Che individuano sullo Jonio catanzarese un rifiuto tossico che levati, altroché fusti radioattivi delle Iene. Un bel fusto di fatti misteriosi, tossici, sanguinosi. Giovanni Aiello è Faccia di Mostro? Vincenzo Agostino lo riconosce subito nel confronto all’americana c’è il filmato, lo fa e si sente male, e se guardandolo non vi commuove vuol dire che avete visto troppa televisione Defilippiana…
Succedeva nel febbraio scorso. Un testimone oculare riconosce l’autore di un delitto. Di molti, delitti. Un pezzo di storia e di merda che va a posto. Anche fosse uno scippatore di cioccolatini anziché un comparuccio d’assassini e uno squagliatore di bambini, la prassi sarebbe fare il processo. Metterlo alla sbarra, togliere ogni dubbio. Colpevole o innocente. E invece del processo di prassi, rifanno il processo di Kafka. Lasciamo stare, lasciamo cadere le accuse, marcire la speranza. Perché forse Giovanni Aiello non è Faccia di Mostro, peccato che la procura chieda: non si faccia il processo, non è compito nostro. Capito? Chiedere il non luogo a procedere, e tutto perché l’Italia è un luogo in cui certe cose non devono procedere. E ben altre, devono precedere la Giustizia, la Libertà, la Verità. Ci sono gli equilibri, le leggi di bilancio prima di quelle dei tribunali, la governabilità… Accertamento della verità? Stuzzicamento dell’omertà, delle vergogne, delle complicità? Per carità! Nessuno tocchi Caino, e va bene; ma nessuno chieda neppure a Giovanni Aiello, di discolparsi dall’accusa d’essere Faccia di Mostro o Caino. Superiori interessi complessivi d’indagine. Questo hanno spiegato non spiegando gl’inquirenti; linguaggio fumoso, buono come il latinorum che fotteva gl’ignoranti. Che forse salca delinquenti. E che significa, poi? E che significa, per noi?
Che queste cose succedono perché i magistrati dell’inchiesta sono renziani? Ovviamente no. Ma magari perché sono cittadini italiani, come tutti noi non sono eroi ma sono umani. Risentono del clima, sentono e risentono i suggerimenti. Ma chi cazzo te la fa fare. Il filone è su un binario morto pure tu vuoi farti trovare vicino a qualche binario, morto?! Ma davvero per Nino Agostino vuoi fare la fine di Santino Di Matteo sciolto nell’acido  o di Nino Di Matteo, il pm della Trattativa Stato Mafia, cane sciolto e squagliato nell’indifferenza? Naturale, comprensibile, persino giusto, lasciare nelle segrete stanze le pretese di giustizia. Solo che Nino Di Matteo innaturalmente, incomprensibilmente,  ha avuto il coraggio di non lasciar cadere le pubbliche istanze di giustizia. Di chiedere ragione persino a Lacrime Napolitano in carica, della carica esplosiva piazzata sotto le fondamente della Repubblica. Di Nicola Mancino, di Loris D’Ambrosio: morti veri o carcasse politiche che portano nella tomba i segreti su certi morti, su certi atti, su certe anime morte. Giorgione da Borbone, bonta e maestà sua, ha risposto non ricordo: eppoi ha detto questa non me la scordo. Sentendosi oltraggiato, ha chiesto al Csm che il responsabile fosse se non pestato almeno un appestato. E infatti. La mafia vuole ucciderlo, lo Stato non vuole proteggerlo: vuole trasferirlo, lo vuole tutelato. O forse solo isolato. Storia già sentita, di solito prima di sentire un boato… Nessuno vuol sapere più niente di Nino Di Matteo, come di Nino Agostino: almeno fin quando qualcuno a volto coperto o sfigurato non gli fa il funerale di Stato-Mafia, e noi ci facciamo il piantino. Non c’entra niente, col Referendum, eppure c’entra tutto. E’ con uomini così, che l’Italia che non cambia mai può cambiare per sempre: partendo dalle idee, dagli esempi, più che dagli ominicchi che per calcolo politico spaccano un paese già a pezzi su un No o su un Sì. Tanto per concludere, tanto per cominciare a cambiare: Nino Di Matteo al referendum ha votato No. E noi all’Italia che dopo il voto vuol votare le spalle anche alla verità, diciamo ancora e sempre no.



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