Per
capire ancora meglio — per patire ancora peggio — un paese a cui ne mancano parecchi, bisogna andare indietro di
qualche venerdì. Prima serata, ultima frontiera. E non ci riferiamo a quella di
adesso, con un toscano che su Rai 1 continua a dire che sono i Migliori Anni anche se non è presidente
del Consiglio. E si vede: perché Conti colle sue cazzate nostalgiche continua a
sbancare gli ascolti, mentre Renzi colle sue stronzate lisergiche i conti li
continua a sballare…
No.
Il pazzo venerdì sera che diciamo noi è successo — e ha successo — da un po’.
Facciamo un passo o un pazzo indietro, che rispetto all’Italia sono sempre due
avanti e molti di troppo... Su Rai1 c’è Fazio con Rischiatutto, cioè lui che
rischia niente; su Canale5 Bonolis, cioè il Raschiatutto il barile di Ciao
Darwin: doppi sensi, triple tette, froci contro mignotte, cornuti contro
impotenti, negri contro naziskin. Di qua una televisione da dinosauri appena
appena ripittata stile Fabietto, di là un vero dinosauro molesta-femmina nella
solita trasmissione impunita alla Paolino. Prendi 2 vedi 1: ‘na botta di culo,
di vita, di audience. Tutto un programma, anche se in realtà sono due.
Faziolis, Bonolazio. Che già loro , da soli ma messi assieme, potrebbero essere
una puntata di Ciao Darwin Rischianiente:
una sfida molto trash, e molto cash. Fabio Facezio con e contro Paolo Burinis.
In pratica, il massimo. Degli ascolti, quindi degli emolumenti. Che successo,
‘sti gran figli d’introito per la Rete Unica e lo Sponsorame Plurimo. Un
evento, un portento, un portato del nostro evo al fallimento. Perché i boss
delle torte di share da dividersi quasi mai s’incontrano: ma neppure mai si
scontrano; insieme fanno il picco, ma soprattutto fanno una Cupola, un tetto
sfondato d’ascolti. Mammasantissima, che share! Oltre il 60%, e tutto
tinteggiando a colori una cosa di cinquant’anni fa: o palpeggiando coi calori
quella cosa che pure fra cinquanta secoli piacerà. La nostalgia e la grettofilia,
la gnocca della nipote cogli gnocchi di zia, i culi e i paraculismo, le ricette
della nonna e le attricette da caserma. Due facce da natica della stessa
medaglia al disvalore, in pratica. Perché gira e rigira canale, i due boss
spacciano la stessa roba. Ovverosia Il vecchio smaltato di nuovo, l’ennesimo
avanzo d’avanspettacolo raccontato di nuovo: ma che sa di vecchio. E per questo
piace e ci piace, ci rassicura e gli assicura — fior d’ingaggi. Mica per niente
il Superggiovane Direttore GeneRenziale della Rai Campo Dall’Orto ha appena
detto che lui — Bonolis — lo riprenderebbe subito. Alla faccia della
rifondazione-rottamazione. Ma in fondo un Bonolis che porta verdoni è sempre
meglio di un Denis Verdini che porta pregiudicati e casini. Eppoi non è manco
indagato...
Oggi
ci è presa in questa maniera, indistinti e poco egregi Papalutisti. Con ‘sto
discorso tipo Rocco Siffredi: lungo, risaputo, che fa sballonzolare due palle
così. Sappiamo le conseguenze, e anche le reazioni. ‘Inchia, ancora il pippone Baudo sulla televisione?!
Quando
attacchi in questo modo, poi inevitabilmente finisce che t’attacchi — al tram,
alle solite considerazioni da autobus, a un tram chiamato desiderio di
considerazioni a cazzo. E mica vuoi
attaccare/discutere/snobbare la cultura di massa, no?! No. Non siamo così scemi.
Alla gente devi dare quello che la gente
vuole! Ecco, ma neppure così coglioni da non sapere
che oramai la gente vuole quello che la gente di televisione vuole dargli. E la
gente di televisione vuole solo un certo tipo di gente, davanti alla
televisione. Un progetto anche abbastanza chiaro, anzi, in chiaro: nel senso
che — tranne qualche eccezione — oramai se vuoi
qualcosa di decente o c’hai Sky (o Netflix, o voglia di smazzarti download…) o
scampo non ne hai. Da tempo la televisione generalista e conformista ha escluso
pubblico in quantità, espellendo dall’audience il pubblico di qualità. Un
pubblico che magari cerca Guzzanti in Rai e non lo trova più, ma che in
compenso si ritrova un servizio pubblico di cui non ne può più. Che — non volendo un Virus che ne diffonde scagliando il Professor
Red Ronnie contro l’immunologia mondiale — si vaccina contro un’immunodeficienza che nemmeno l’Aids facendo
l’abbonamento a Sky. Quello che hanno tutti i dirigenti Mediaset e Rai, lasciando
la sbobba che producono a voi. Per questi la televisione è davvero come la
cacca: si fa, mica si guarda.
Quindi,
quel poco di non merda venduta carissima, in Italia la dobbiamo anche a
Murdoch. Cioè, a uno dei massimi produttori di merda nel mondo. Ma pure dei
Simpson. Quello dei tabloidacci che non sono certo vangelo, ma pure del Wall
Street Journal che per certi è ancora una Bibbia. E qui siamo al punto. Alla
media, dei media: alla merdizzazione media e di massa, dei mass-media. In tutto
il mondo. Ma, se tutto il mondo è paese, non tutto il mondo è il Belpaese.
Italia, land of quattro: in pagella, per libertà e qualità di tv e stampa. E
siamo arrivati. Perché — perse le speranze nel servizio pubblico o nel servizietto privato
delle tv commerciali non pay, che se sei normale non puoi: vedere… — il problema
è che da noi anche quando paghi caro, la paghi carissima. La solita vecchia
storia degli editori puri — non di cuore, ma di core business — che da noi non ci sono. Ma un
conto è essere spurio o anche impuro, un altro è essere un editore zozzone,
infettato, incistato da mille interessi tranne quello per il lettore
teoricamente da informare — trattato, quando va bene, come elettore da infinocchiare: da
infornare in cambio della sfornata di favori e contributi caldi caldi di Doppio
Forno Andreottiano sempre aperto. Schierarsi è una cosa, non schifarsi di
niente è un’altra.
Non
siamo certo così provinciali da dire che all’estero sono tutte rose e fiori. Ma
da certa merda — di Murdoch e simili, o anche della Bbc che non è più nemmeno
simile alla spocchiosa/meravigliosa Bbc di una volta — nascono i
fiori: all’occhiello. Colle schifezze, altrove si finanziano bellezze,
eccellenze, prodezze d’intelligenza e bravura. Che rendono, oltretutto. Sherlock è della Bbc ed è — oltreché una figata assoluta — un successo mondiale che in Cina
hanno visto quasi un miliardo di persone. Al cinema, perché non volevano
aspettare il passaggio in tv. Ecco, la Cina a don Matteo e Gabriel Garko — con tutto
l’Onore e il Rispetto — manco s’avvicina. Altroché cinema o televisione: manco in fotografia,
vogliono vederla la merda che a noi ci delizia. Né il solito Montalbano — colle sue
spanzate di pesce, le bellissime inquadrature, le sceneggiature stentate pure
per lo spettatore più baccalà — può reggere il
paragone o la solita foglia di fico.
Ma
l’abbiamo detto: il problema non è la massa, ovunque si fa cassetta per poter
fare qualità. Differenziandole, però. Il problema è che da noi si fa un solo
cassonetto — con dentro la defunta, presunta e indifferenziata qualità. Specie
per i giornali. Che nel resto del mondo civile sono più letti, forse perché
sono più leggibili. E di sicuro perché sono più onesti. Fatti e opinioni
separate: dalle tettone sparate. Mercato profilato diversamente, ecco. Sai cosa
compri. Su uno trovi un documentato editoriale, e su un altro il filmatino
porno soft amatoriale. Qui il commento politico affidabile, là l’erotico
incommentabile. In Italia no: non ci sono più grandi giornali, solo giornali
grandi. Pagine e pagine messe lì, ammucchiate; paginate come ammucchiate. Ogni
grosso giornale, una gang bang colossale. Tutto di tutti, tutto con dentro di
tutto, tutti dentro tutti… Ogni
pezzo, un pettegolezzo; ogni paginata, una paraculata; ogni attacco o
etichetta, una marchetta coll’etichetta attaccata. Poi c’è anche del bello e
del buono, annidato là in mezzo; ma annegato in un bello schifo, in un buono
per la spazzatura. Uno sfoglio che è uno slalom alla Foglio: una via in mezzo allo
slurp di sponsor commerciale o politico e al pezzo passabile, una passeggiata
sul lungomare al buio: a ogni passo d’articolo, occhio a non pestare una merda
di cane, a non prestare attenzione alla merda di redattore cane. I principali e
più venduti (in tutti i sensi…) quotidiani da noi sono abnormi, deformi, tutti
conformi. Alla Riforma Mentis del momento, cioè del Renzi. Senza esitazioni,
senza troppi scrupoli rossori o distinzioni. Editoria che adesso è tutta
Etrureria: editori che sono l’ultima rotativa di carro del vincitore. Meglio
tutelati nei loro interessi da un sistema imperfetto — e zozzetto — che nessun
sistema a difenderli da qualche debituccio o impiccetto. Una farsa che poi è un
dramma. Perché fare i giornali non è fare palazzine, e a disfarli non bastano
quattro moine. Ma quattro, cinque, seicentomila copie adulterate al giorno scassano
quel poco d’opinione pubblica che si è scassata di leggere/pensare/contestare.
Una rassegnazione stampa molto pericolosa, per chi i giornali li fa:
disfandoli, facendoli stare a servizio anziché facendogli svolgere il loro. Va
bene i padroni, ma che cerchino solo nuovi padrini…
Che
poi perché agitarsi così? I giornali da noi sono un mercato non grande, di
nicchia. Ma noi del Papaluto — che siamo grandi teste di nicchia — ancora li leggiamo, ci pensiamo,
li contestiamo. La notizia è che, per la notizia, non ne abbiamo di buone. Un
dissenso che pare dissenteria, da quanto ci fa male la panza per ‘sta cacata in
corso. Noi del Papaluto la carta stampa la leggiamo, anche se forse andrebbe
stampata a fiori: per quando cachiamo… Ma teniamo duro, andiamo morbidi quasi
sciolti, ma leggiamo.
Soprattutto
la Repubblica: da vent’anni; nonostante tutta la Renzubblica, anche se già si
vedono i danni. L’arrivo di Calabresi è stato come mangiare una cassa di prugne
— sai che ti farà male, devi solo aspettare. E infatti. Prima
scorreggia, la fantastica intervista-scoop ad Al-Sisi: tutta sulle ginocchia,
mentre il Generalissimo che in Egitto fa benissimo t’infinocchia. Nessuna
verità per Regeni, pochissima dignità per la fu Repubblica, Scalfariana o
Italiana che sia. Il meglio però doveva ancora venire. Colla Stampubblica, una
fusione da fantascienza che è un’infusione di scienza. Da lì Calabresi — l’ex della
Stampa e attuale di Repubblica — è diventato Unico Direttore e direttore più unico che raro: del
giornale in allegato al marketing di Renzi. Una cosa graduale, ma che la
graduatoria del Renzismo a mezzo stampa l’ha risalita subito. Cose che sotto il
vecchio Cavaliere non sarebbero passate mai, sotto i piedi del nuovo alfiere
del centrocentrocentro(sinistra) passano in cavalleria. Qualche esempio, qualche
scempio, quante idee da Marione Calabresi alias Di Scempiaggini Ti Riempio.
Il
partito della Nazione più corrotta d’Europa si riempie di pregiudicati? E il
giornale si riempie di pregiudizi — positivi, a prescindere. Quando il sindaco Uggetti da Lodi viene
arrestato e confessa d’aver pilotato appalti, l’apposito vicedirettore Di Feo
ammette che ci sono gli estremi: ma che forse c’è stato pure estremismo. E
Davigo, e i magistrati? Indagare ma non parlare; o al massimo parlare: ma guai
a dire che i politici — specie renziani agli arresti e confessi — non si
vergognano di rubare. Un florilegio che sembra una floricoltura di garofani. Da
una cultura editoriale che il gaglioffo del garofano l’aveva sempre combattuto,
però. Ma se Craxi aveva l’Avanti, Renxi è più avanti ancora: c’ha Stampubblica.
Soprattutto in appoggio al sì al Renzerendum.
Una cosa — oltreché sciagurata — anche discretamente sfacciata. Al punto che Scalfari, pur amico
di Napolitano in verità, vuol essere più amico della verità: e diventa EugeNO a
Italicum e Riforma Mentis dell’Italia, del giornale. Ma lui ha i suoi anni,
mentre De Benedetti ha i suoi anni e anni di debiti, davanti. Che senza un
aiutino di Renzi in cambio di un bell’aiutino a Renzi…
Stessa
storia — solo molto più vecchia, asfittica, piduistica — al Corriere
della Sera. Che perde soldi e lettori, ma stranamente non prestigio. O
comunque, non il gioco di finto prestigio per cui tutti lo vogliono. Per
comandare, e possibilmente senza pagare. Ora lo voleva Urbano Cairo, un ex
berluschino, un editore non proprio immacolato, ma comunque puro. Se non di
spirito, d’attività. Il giornale più antico a un editore all’antica: che fa
solo giornali e telegiornali. Brutto, tanto peggio della P2? Evidentemente sì.
Perché — ritenendo l’offerta offensiva — è subito scattata la
controfferta come controffensiva. Di Mediobanca e dei soliti Poteri Morti. Ma
quale Cairo e Cairo d’Egitto! Dai di cordata all’impiccato, per farlo restare
nell’area Renziana del Sì — padroni! Una svolta storica, persino nel campo della storiaccia
solitamente settica della porno stampa di destra con relativo stuolo: e scolo….
Qui Angelucci — il senatore ex portantino diventato l’indebitatissimo Mazzarino
dell’editoria de destra da Libero al Tempo
— nella lotta del fango e della macchina spala medesimo, ha appena
guadagnato una vangata su tutti. Cacciando Belpietro da Libero perché era per
il No e contro Renzi: per rimetterci, senza rimettere, Vomitorio Feltri. Che — essendo
sempre per il Sì per il referendum e a qualunque nuovo padrone — ha
accettato: senza rimetterci, né rimettere. Al voto voto, al vomito al vomito: e
siamo solo a maggio, fino a ottobre ce ne serve coraggio!
Conclusione
del pippone sconfinato, ma forse non del tutto sconclusionato. Se siamo
riusciti a farci capire, a non farvi assopire. Dicendovi che la cultura di
massa — cioè per tutti — non dev’essere per forza l’incultura di una mazza di niente, cioè di un cazzo di livello televisivo
politico e intellettivo così scadente. Non accettate il vecchio travestito da
nuovo, tempestato di promesse, tramortente e incupito da chissà quale minaccia
di tempeste e sventure connesse. Renzi non è il solo che può salvarci — ma è uno
che, da solo, può rovinarci peggio. C’è sempre un’alternativa. Soprattutto a
questo programma televisivo, politico-elettorale, editorial-padronale.
Rifiutiamo ‘sti riufiuti della società dei magnaccioni. Basta coi Faziolis,
colle Stampubblica, coi talk-sciocchi che si palleggiano i Giannini-Floris. Don
Matteo e la Regimetta di Bellezza Maria Elena sono un palinsesto bello tosto da
digerire, bello lesto a farsi inserire: e proprio dove non vorreste. Lui — il
profanatore di cadaveri — che fa rivoltare nella tomba Berlinguer e Ingrao, pur di farci
votare una riforma talmente democratica che piacerebbe a Mao. Lei che — per la
serie Piccole Donne — attacca i partigiani che votano, in stereo colla Meloni che dice
sì a una via per chi i partigiani li avrebbe attaccati a una forca…
Il
tutto senza sdegnare più di tanto un’opinione pubblica impegnata a non farsi
sderenare troppo. E troppo giusto. Niente coscienza critica, senza convenienza
pratica o economica. Ecco, noi italiani per costituzione saremmo così: ma la
Costituzione non possiamo lasciarla rifare a italiani così. Diamo un senso e un
dissenso, alla nostra vita — perché sia utile e democratica, non solo biologica. Se alla
bisogna la presunta e bisunta classe intellettual-editoriale ‘sta coscienza
critica se la vende senza classe né vergogna, acquistiamone noi: per una volta
senza calcolo o paura della gogna. Le idee non sono un’onta — sono la
cosa che più conta. Senza idee non si fanno nemmeno i fatti; senza buone idee,
si fanno solo cattivi affari. L’economia l’hanno inventata i filosofi, e la
democrazia non la possiamo certo far sfasciare dagli economisti, dagli
opportunisti, dagl’imprenditori che se la vendono in cambio di favori. Per
questi signori la cultura è in perdita, quindi è in svendita: ma proprio contro
questi signori e signorini deve restare imperterrita, non per terra a chiedere
l’elemosina presso chi l’accredita...
La
Repubblica Italiana è nata dalla Resistenza, ma può essere abortita dalla
mancata resistenza a tutto questo. Cominciamo a prepararci colla pazienza dei
santi, a quello che si sta per pararci davanti. Non siamo un popolo
d’intellettuali, ma abbiamo avuto grandi intellettuali di popolo. Che mai
avrebbero accettato l’antimafia per fiction e l’anti-antimafia nella realtà, la
stampa che derubrica la corruzione omertosa e assassina a problema di moralità.
Siamo troppo pigri, troppo allegri, per incazzarci davanti a cose così. Magari
non ci stiamo bene, ma ci stanno bene. E invece no. Per cambiare davvero,
bisogna smettere di cambiare per finta e per convenienza. Davanti a questo
spettacolo che lascia senza parole, riprendiamocela. Anche per chi l’ha persa
pur di guadagnare o non per perderci. Cambiare idea contro chi ha cambiato
bandiera. Non ricambiare più chi ne ha cambiate troppe. Non è nel nostro stile,
ma dobbiamo. Tutti in piedi e dritti, contro il tutti zitti. Occorre una
mutazione stilistica: per contrastare quest’ammutamento/ammutinamento generale,
quest’ammutazione genetica. Alzare la voce per accendere una luce sul nostro
futuro; per spegnere le luci e le voci sullo spettacolone a Rete Unificata, sul
Rischianiente Ciao Darwin, sul MiRischioTuttoAlReferendum che fa #Ciaone a
Renzi che vuole andare all-in. Perché — saremo anche in mutande — ma seguire ‘sto bluffone che non fa ridere nel suo strip poker
non è obbligatorio. Non ancora.
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