Quasi scemata la variante Omicron, eccoci alle prese con la tragica scemata dell’invariante Ominchion. E quindi alla prese male con noi: che siamo stupidi, stupratori di noi stessi, straordinariamente avidi avvoltoieschi e cùpidi: che, come sempre e come non mai, purtroppo siamo noi stessi. Insomma. Che lo aveste sperato o temuto, tranquilli amici Papaluti: la catastrofe sanitaria e umanitaria mondiale non ci ha cambiati. Neppure in peggio, che comunque sarebbe la prova d’un cambiamento, e quindi la possibilità o la speranza che un giorno la stessa cosa possa avvenire in meglio. Macché. Siamo sempre qui, cioè siamo sempre lì, siamo sempre da capo e da Kant (come se non bastasse il resto: Immanuel della Kritik, anziché Eva di Diabolik…). L’Umanità è un legno storto, che di dritto ha solo il suo indefettibile correre verso il torto per farci scappare il morto. Torto che è una torta Millefogli da mille di cui ognuno vuole una fetta, una commissione, un boccone una fee o una mazzetta. Torta che è da tutte le parti del tavolo, eh, ché tutti buoni e tutti cattivi non ce ne sono — almeno fin quando c’è ancora il tavolo, fin quando non c’è un aggressore e un aggredito, una nazione e una negoziazione che saltano per aria per una scazzofrenia da fine impero che manco un nuovo Cesare Augustolo, ma più rapace e rincoglionito. Sin dai tempi dei trip alcolici di Eltsin e furbocapitalistici di Clinton noi — Usa ed Europa, Nato e Ue, Dolce e Gabbana — abbiamo sottostimato umiliato e sovreccitato l’Eliogabalo e la Storia Tesa della Russia post-sovietica emmai post-imperiale: gli abbiamo tolto il comunismo per darli in pasto al consumismo, per dargli i Levis al posto di Lenin, gli abbiamo levato e levistizzato il Capitale di Marx per consegnargli e consegnarli al cleptocapitalismo di marca e di marchetta stile Putin. Abbiamo provato a togliergli l’orgoglio, che per loro è come il pane: solo che zar o soviet il pane non l’hanno mai avuto, mentre tornando dai soviet al sotto-zar hanno trovato chi gli fa credere che l’orgoglio non l’hanno mai perduto. Se la vostra idea di mondo e di capitalismo è l’umanesimo subprime dei Bernie Madoff, noi ci teniamo (o ci torniamo) lo zarismo il feudalesimo e lo zarrismo subcoscienti e pre-soviet à la Romanov. Solo nella versione Vladimir Russuria, cioè un po' trans fra il medioevo e il pleistocene avanzato, ma meno avanzato colto e raffinato: per dispetto e disperazione ci diamo a uno che per evitare l’espansionismo Nato, si dà al neo-imperialismo nano e forsennato. Uno che, non volendo fari e forestieri vicino casa, invade casa altrui attirando tutta l’attenzione e compattando tutta la riprovazione internazionale come prima cosa. Un ragionamento un filino originale, un comportamento sul filo fra inconcepibile e criminale. Oltretutto senza giustificazioni — né pratiche, né teoriche — che non siano pezze d’appoggio razzifasciste reperite da pezze da piedi travestite da intellighenzie sovrane e/o sovraniste. Dotte cazzate, dette per amore per forza o per amore della forza delle forze armate. Perché va bene la storia, la geografia, la geopolitica e le sue mosse come pure la psicologia delle masse… Tutto c’entra, fin quando non ci entra la psicoputinologia a casse: tutto giusto e sensato, fin quando nella storia ti c’entra e non ti centra un cingolato. Quando inizia a morire la gente, deve finire ogni favola compiacente o parabola discendente — nella follia, nella tragedia, nel sangue innocente. E — grazie alla pulp-star del Polonio che un brutto giorno decide di fare il bis e l’hybris della Polonia, all’Ignobel per la Pace finita In Europa e per la Medicina perché in 24 ore ha fatto sparire il Coronavirus con l’Ucraina-vulnus, all’indemocraticamente eretto e drogato di veteronazionalismo che accusa il democraticamente eletto Zelensky di essere un nazista drogato — a questo siamo. O risiamo. Alla tragedia che si ripete in farsa, alla memoria che a ripetizioni si rivela sempre scarsa. E quindi.
Neanche finito d’archiviare come nulla e nessuno fosse qualche milione di morti per la Pandemia, che siamo pronti ad apparecchiare le fosse per le migliaia di morti da fare in nome della paranoia del Potere dell’Economia e dell’Egemonia. E anche dell’Egomania, o più in soldoni Egonomia. Ossì, perché colle Zar Wars di questo stiamo parlando. Dell’Impero che colpisce ancora — ma tipo ictus. Di un ego miserabile da povero arricchito, smisurato ingiustificato e incanaglito dall’Io Patria e Famiglia. Tradizionale, russa, orgogliosa: e, ci mancherebbe, tradizionalmente e orgoglionamente russomafiosa. Parliamo di un signore che a furia di sentirsi chiamare zar, di sentirsi dire che è furbo e forte come una specie di Mazinga Zorro, ha dimenticato di sentire la versione del noto cremlinologo J-Ax: e di essere solo uno zarro, un russo ricco più ricco dei russi ricchi perché ci ha saputo fare da spia ladro e sbirro che si vende la mamma per un rocco-tarocco Armani o un paio di AirMax. Perché qui, per capirci e per capire questa roba da matti per tre e da fatti di sé, più che un qualificato cremlinologo in ecstasy basta un criminologo qualsiasi. Perché di questo si tratta. Di un delinquente di strada, d’un teppista che anche a fare lo zarista sempre zarrista resta: un tamarro con quei modi e quella testa, anche se da delinquente ne ha fatta di strada. Un Charlie Putin, un Cenci Scan, uno straccio d’imitazione di condottiero che a fare la parodia di sé è meglio d’un comico vero. Un grande evasore un grandissimo eversore nonché piccolo Grande Dittatore che gioca al glande imperatore, un guappo di cartone gas e carbone, un criminale di guerra e di pace che si fa scrivere e descrivere come un personaggione o un Napoleone da Guerra e Pace. Ma Iban il Terribile, qui, noi come Occidente ce lo siamo meritati; perché, come con Bin Laden e Saddam e come sempre, ce lo siamo costruiti — e adesso, che è troppo tardi, facciamo gli sconvolti gl’increduli e gl’ipocriti inorriditi. Quelli che adesso ex post vedono in Putin un pericolo per il mondo, dov’erano quando l’amico Vladimir sia in patria che in formato export incarcerava o assassinava giornalisti, oppositori dissidenti e attivisti? Dov’erano quelli che parlavano col grande Intenditore/Imprenditore/Intrattenitore delle poesie di Puskin e dei tempi del Politburo fra sorrisoni e bicchierini di Moskovskaja, mentre metteva a tacere e sotto terra la Politkovskaja? La solita storia, i soliti tragici errori: che non sono solo errori tragici, ma calcoli sbagliati e cinici che ci portano orrori, che c’insegnano come non impariamo niente dalla Storia. Noi sciogliamo peana, noi scegliamo l’interesse e la grana, mentre gli amici di letto diventati nemici di colpo ci squagliano le Torri e si sciolgono l’Ucraina. Il Genio del Medioriente Pacificato, l’Uomo Forte ma Giusto, l’Autocrate ma Illuminato, il Dittatore però Mite che è un Mito. Questo — da Trump lo stipendiato da Putin, a Gennaro Sangiuliano il direttore del Tg2 pagato da noi ma impiegato da Salvini stipendiato da Putin — e anche di peggio s’è detto scritto e sentito. E adesso? Tanto per non cambiare, Putin passa da blandito a bandito. Un classico della commedia, specie all’italiana. Da Mussolini a Riina, dalla mafia fascista a quella stragista, noi siamo i migliori a scegliere buoni in nulla ma Capaci di tutto — anche quando la bomba te la piazzano nel Donbass anziché a Punta Raisi, per la marcia su Kiev anziché su Roma. Burattini di cui credi di tirare i fili, che credi di tenere a bada e a biada mentre t’ingrassa il dindarolo, ma che a un certo punto tagliano i fili ti tagliano il gas e vengono pure a tirarti il tritolo. Come ebbe a dire l’immortale e immemorabile ministro di Berlusconi — non per niente il migliore amico dell’amico degli amici Vladimir — colla mafia bisogna convivere: anche se poi si tratta sempre di co-morire un po' alla volta, ogni giorno finché è notte della ragione e dei cristalli. E infatti adesso siamo qui, collusi e felici. Noi italiani più di tutti. Attaccati alla canna del gas e del Kalashnikov, ammanettati al lettone di Putin, come logica conseguenza e cointeressenza del gioco sardo-maso di uno che si vuole annettere la Lettonia perché quindici anni fa gli abbiamo fatto mettere il letto a tre piazze nucleari a un passo da Baja Sardinia. E non crediate che basti un’avanzata, per farci fare marcia indietro che non sia forzata o di facciata come il culo. Prendete Salvini, il teorico kingmaker del Quirinale finito patetico e peripatetico drinkmaker d’un cocktail d’incompetenza e arroganza andato a male, fresco marcio dalla trionfale e preterintenzionale elezione del Precedente della Repubblica. Siccome gli è andata male pure a fare il furbetto No Green Pass, per restare al governo e a capo della Lega è costretto a schierarsi contro il Fuhreretto del Donbass: ma non del tutto, mai di getto, sempre col distinguo e il do ut des di petto. Sono sulla linea Draghi, ma mi tengo in linea di credito anche Putin coi suoi drughi. Armi letali all’Ucraina? Non in mio nome! Bonifici dalla Russia? Neppure, meglio cifrati e a prestanome! Insomma. Vladi tu gli rubli l’anima, ma Matteo deve salvare almeno il culo, visto che la faccia che non ha mai avuto l’ha data come mancia alla firma del contratto da cantante a gettone e a spione per il tuo partito. E bastasse la Lega, che dal Federalismo Padano è passato a quello Putiniano. Non finisce mica il cielo pentastellato sopra di noi. L’ex comico presidente ce l’hanno gli ucraini, ma da ridere per non piangere viene a noi che c’abbiamo gli ultrà (ex) grillinoputiniani: noi che modestamente c’abbiamo l’ex comico garante del principale partito in parlamento che ha iniziato la legislatura da anti-Nato e filo russo nato in tutte le salse e le risse, manco si chiamasse Movimento 5 stelle rosse. Fortuna che a salvare la situazione c’abbiamo Magic Mario, no? L’Uomo che ha Salvato l’Euro, che in sede di mediazione doveva addirittura essere Mr Europe, e invece alla fine non ha salvato l’Europa dall’ennesima figura di merda puzzolente e molle d’interesse economico e disinteresse politico ed etico per un conflitto lasciato a cuocere per anni a cessate il fuoco lento. Ma per una volta Italia-Resto del Mondo finisce in pareggio — di mal comune che non è un gaudio, ma molto peggio. Continua a ripetere che Putin è un dittatore che ne uscirà a pezzi, ma dalla crisi Ucraina Biden non è che ne esca bene da pazzi.
L’Aquila russa bicipite e imperiale ci lascia le penne, ma quella americana non solo non vola: non c’ha il tricipite il passo e manco la strada per camminare, tanto è in panne. Nessun’aquila, qui. Nessuno colla forza militare per vincere o far finire questa guerra, tantomeno con quella morale di lasciar perdere e farla finita con questa guerra. Troppi inganni, troppe ipocrisie sporcizie e scempi, troppi indugi e inciampi. Quest’uomini di stato penoso e peloso non sono aquile, al massimo anatre zoppe — ma solo quando fin quando, a forza di stare zitti e muta davanti all’ennesimo sporco compromesso fra compromessi all’ennesima, il loro piumaggio per tutte le stagioni li rivela come anatre zozze. Per non parlare dell’anatra all’arancia o alla mandarina della Cina, recentemente più scottata e bollita che brillante e laccata. Che fino all’ultimo non ci ha messo becco, ma che non appena Putin è entrato in guerra e in Ucraina gli ha messo a disposizione il becco da più d’un quattrino e da tutta la produzione d’orzo e grano: che gli ha comprato per qualche miliardo di yuan, ma soprattutto comprandosi per quando sarà un bonus invasione per Taiwan. Mao parlava di tigri di carta, i suoi nipotini parlano con Vladimir la tigre di carta di credito. Tutto sommato non a torto, ben sapendo che quando ce l’hanno tutti nessuno ha torto. E sapendo anche meglio che se c’è un corruttore che può vincere, è perché c’è sempre un corrotto che si può e si fa convincere. Come tutti, i cinesi si fanno gli affari propri — e quando si può e si riesce e si fanno, anche quelli impropri… Quindi se qualcuno nella Cina vede un negoziatore, gli conviene guardare meglio: se viene dalla Cina, è solo un negozio aperto ventiquattr’ore.
L’impressione è che attorno a questo tavolo truccato da negoziato ci siano già troppe bare troppi buoni bari e troppi cattivi pensieri, troppa gente che gioca la carta del diritto internazionale sperando di giocare gli altri da dritto internazionale.
La verità è che Putin nel mondo conta — in contanti e in valuta, in yesmen a Londra e in yacht a Dubai e sul lago di Como — sul plata o plomo. O ti prendi i miei soldi o ti prendi il mio piombo: previsione fatta a ragione e provvigione veduta, perché sa benissimo che da noi c’è chi si beccherebbe una pallottola pur di beccarsi qualche briciola.
La speranza invece è che Iban il Terribile si sia fatto male i conti — che noi si abbia la forza, anche se della vergogna e della disperazione più che della convinzione, di fargli male nei conti correnti. Di mettere pressione e depressione a tutti i suoi oligarchi, ai suoi prestanome, ai ricchi orchi alla tavola dei suoi affari sporchi da favola. Di punirlo fino a indurlo a negoziare, d’indurirlo fino a spezzarsi e crollare, di non limitarsi a condannare a parole ma di farlo imputare e processare: non solo di fronte all’opinione pubblica, ma davanti a un tribunale. La priorità è superare la fase acuta della crisi in Ucraina, con tutto quello che ne discende: ma l’apriorità anche quella cronica e senza fine del nostro mitico e oramai adamitico sistema di valori Occidentale, che messo alla prova più che a nudo si è messo in mutande. Sistemone vincente e avvincente che predichiamo ma non pratichiamo, di cui ci riempiamo la bocca solo per riempirci le tasche, cleptocapitalista moralista e doppoipesista al punto che tutti — compresi noi — di questa democrazia predicata a parole, pregiudicata e spregiudicata nei fatti come nei misfatti, ne abbiamo piene le tasche. A chi vogliamo venderli, i nostri valori, se noi siamo i primi a svenderli? Dove ci vogliamo andare a parare, se anziché in provvedimenti e ravvedimenti concreti i nostri valori viaggiano solo su conti cifrati? Da esportatori di democrazia falliti ed espropriatori di democrazia interna perfettamente riusciti, noi non possiamo dare lezioni o elezioni a nessuno. Semmai prenderne. Come da chi? Dal popolo Ucraino che in nome della libertà è disposto a prendere il mitra e un tank in piazza, anziché prendersi un vodka martini a un convegno di think tank in terrazza; dai volontari e coraggiosi che lo affiancano nella Brigata Internazionale, che non a caso non c’era dai tempi della guerra civile in Spagna: e che si riforma adesso, in tempi di guerra vile e incivile nell’Ucraina lasciata sola nell’indifferenza da Mosca o Nato purché se magna; dai soldati di Anonymous, che combattono gli assoldati da Putin per combattere la prima guerra mondiale dei social che urlano alla terza mondiale: spesso da canali No Vax improvvisamente diventati Pro Vlad, in cui adesso gli unici peggiori di chi si vaccina sono quelli che non danno addosso all’Ucraina. Perché siamo in guerra, e la guerra oggi è questa: e soprattutto anche questo. Combattere sul campo contro la dittatura, combattere sui campi minati e smenati dei form tutti fuck news di chi li scrive sotto dettatura perché tira a campare sotto democratura. Noi non sappiamo come finirà, se Putin prenderà la Crime e il Donbass, o perderà potere o addirittura il potere oltre alla faccia e alla facoltà d’invadere e di volere. Di sicuro sappiamo come non vorremmo finisse. Che questo bagno di sangue servisse solo a sciacquarci la nostra cattiva coscienza, lavando via troppo in fretta la nostra buona volontà di cambiamento e speranza: ma, appartenendo al degenere umano che appena è tornato alla vita normale è tornato a darsi la morte come fosse normale, conviene non dare per buona una speranza di cambiamento a volontà. In parlamento Draghi ha detto che questo conflitto ci riporta indietro di 80 anni, noi non vorremmo ci riportasse indietro agli anni 80: a un Ritorno al Futuro di guerre termonucleari e terzomondiali, atomiche acefale e acritiche, combattute a freddo e accettate al calduccio della stanza dei bottoni e dei bottini dei soliti Stranamore primordiali. Speriamo di no, temiamo di sì, ma soprattutto mai come adesso teniamo a chiudere così — buonanotte, buona fortuna, buona lotta e buona Resistenza, Ucraina.
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