(Poco) Distinti e (anche
meno) egregi amici Papalutisti, c’è voluto più di un mese per le doverose verifiche
giornalistiche ma oggi – 15 febbraio – possiamo comunicarvi il nostro scoop: il
10 gennaio è passato da più di un mese. No, no. Niente grazie sentiti:
ricordarvi le cose per noi è un dovere. Ma nemmeno grazie al cazzo risentiti: qui da noi scordarsi le cose è praticamente
un piacere. Però – fra i nostri doveri –
c’è solo quello del dov’eri. E per
l’esattezza: dov’eri, tu, quando andavano
in onda Oggi Le Tragicomiche? Ma probabilmente qui, al Cinema Italia. Dove
puoi scegliere fra pop corn o patatine alla Nino D’Angelo, ma dove fra vizio e
ozio della memoria non c’è scelta alla McDonald’s. Menu fisso, menu fesso,
happy meal degli happpy minchia smemorati e contenti. O forse solo contenti
dell’essere variamente smemorati, per non essere veramente disgustati da certi
tipetti avariati...
E allora rinfreschiamola,
‘sta memoria guizzante e fosforosa come un pesce – marcio, di tre giorni, che
puzza ed è pazzo dalla testa del suo ministro dell’Internamento. Considerateci
i vostri Neuronal Trainer, il bastoncino Findus della vostra vecchiaia mentale,
quelli che vi rimettono in moto il cervello: per non farvi finire come un
Gasparri sempre ai moti che alle coppie gay con figli chiede quanto hanno
pagato il loro bambino, forse perchè ha paura che i suoi gli chiedano il
risarcimento... Chiaro che se nasci tipo scemo e più osceno così, si può fare
poco. Che però è sempre meglio che non fare niente. Non servirà a un cazzo, ma
noi non ci diamo per vinti: andiamo per vintage, e ripeschiamo la storia che la
dice lunga almeno quanto la lingua dei lucidachiappe da rimozione, da emozione
e da sempre in azione. Partendo dalla fine, che come al solito è solo l’inizio
della rimozione forzata di una farsa da neuroni in divieto di sosta. Roba
ovvia, insana da malaria, ma meno appariscente della rrobba verghiana e bancaria.
Che si capisce bene non dalla pessime azioni e obbligazioni sui quotidiani, ma
dalle piccole inazioni obbligate quotidiane. Provare (a capire) per credere.
10 gennaio u.s.: come
ultimo scorso, e anche come unione sportiva di ragazze, o sportivo-magheggiativa
di marpioni e carognazze. Lo Sporting Locri – squadra di calcio a 5 femminile
minacciata dall’alacre mafia locale – gioca in casa contro la Lazio. In tribuna
e sugli spalti, il pubblico pagante è minore del pubblico autoritariame
ciarlante. Senti nell’aria c’è già... Come un pensiero che sa di Solidarietà.
Tanti Al Bano e Romina esibiti e a esibirsi per il presidente Armeni, ragazzo
di Calabria da gente di fiumara (d’intimidazioni) che manco Minone Reitano. Già
gli hanno bucato le gomme: guai a bucare anche l’appuntamento con lui e colla
partita. Solidarietà, la mafia non
vincerà! Dalla Federcalcio all’Arcicaccia alla Federcasalinghe vogliose:
autorità non solo in fila, addirittura in rima. Una solidarietà più popolare,
che popolata. Poca gente, ma vip: e vieppiù bendisposta verso la nobile Causa.
Meglio di così, anche per un’affluenza così così... Cordoni Digos più che
striscioni Ultras, tiracordoni della borsa castale scortati da tirapiedi in
atteggiamento sacrale. Anzi, lombo-sacrale. Giornalisti e giornatanti
opportunisti, tutti lì riuniti: tutti scatenati. Lecchiamo il culo e il
francobollo per mandare un messaggio d’affrancamento chiaro – No Alla Mafia. O anche Sì Alla Mamma, Forse Alla Maremma. Tanto è uguale, per questa specie di antimafia
antinomiale. Ignara, ignorante, contraddittoria, per cui l’importante è fare
cagnara: dire contro questa ‘ndrangheta fetente in maniera stentata ma
stentorea. Un cazzata qualunque va bene, per questo charter della ciarla cazzabubbolara
che prende e parte – ma non arriva mai a nulla. Presidenti di tutto,
rappresentativi di niente, sovrintendenti sottopanza e sottomedia
nell’intendere la lingua italiana o la realtà calabrese. Tutti lì, tutti unti
dal Signore e tutti uniti: per ore a ripetere le stesse cose a signore e
signori, a disponibili rincoglioniti. Tipo quelli della Rai, che dà la partita
in diretta: e che a un certo punto restano stupiti. Quando – in un sussulto di
decenza – qualcuno della procura di Locri dirama un comunicato che i signori
cronisti vanno a leggere, a costo di andare in iperventilazione e di non poter
più tornare in redazione per la figura di merda.
Fra le molte possibili, nell’indagine in corso questo Ufficio segue la
pista del gesto di uno squilibrato ed esclude l’eventualità della minaccia
mafiosa. Boom. La bomba scoppia, ma non quella che (si) aspettavano tutti.
Niente botto negli ascolti: ‘na bella botta quando l’ascolti, una notizia così.
Fine della festa, caduto il fine della protesta. Niente mafia, quindi niente
antimafia. Ragazzi, qua l’unico esponente di una cosca avida e infida è il noto
boss Tavecchio, del clan dei Lotitesi... Un buco nell’acqua e uno nel braccio,
‘sta fleboclisi di legalità trasfusa dal calcio più illegale e in crisi. Non
c’è trippa per gatti, non c’è trip mentale per quelli che volevano farsi i
film. Magari di propaganda del genere Una
bella giornata di Sport e Legalità. Nada, invece. Nada di Ma che freddo fa a zero gradi di credibilità:
perché in questo periodo Sanremo è Sanremo, ma Tavecchio è Tavecchio tutto
l’anno. Purtroppo per lui e per noi. Niente sport antimafia locale, niente spot
pro-mafia federale. La protesta come pretesto per farsi cool col culo degli
altri doveva sbancare, e invece deve sbaraccare. I sensazionalisti lasciano
scortati e scornati il palazzetto di Locri – lasciando palazzine e palazzacci
del potere agli ‘ndranghetisti. Che, dal Comune all’ordinario, comandano: che
c’hanno in mano un’intera attività politico-economico-predatoria, ma mica la
penna per quella letterina minatoria. Crimini e criminali veri, che non tocca
nessuno; che toccano a giornalisti veri, cacati da nessuno. E minacciati – ma
davvero – da tutti i Qualcuno che contano: che gli basta ordinare, e i mitra
cantano. Taratatattatà, cartuccia canta: perché – specie a pallettoni – un gran
memo è sempre un gran memo, per questi presentatori di Conti ma non di
festival.
Fatto sta, e misfatto
pure, che la festa è finita e gli amici se ne vanno. E magari a te la festa vera la fanno dopo. Risultato
della partita: 3-2 per gli ospiti, in realtà 3-0 per i padroni di casa e di
cosa – nostra. La mafia là sta e là resta, le mafiette del potere mediatico
squagliano da lì e mai che quaglino in qualche modo. Tutto bene quello che
finisce mica tanto. Il caso si sgonfia, la squadra si vende, le false verità di
comodo sul caso della squadra non se le compra più nessuno. Armeni – forse
parecchio indebitato, forse parecchio implicato, forse solo parecchio ingegnato
a trovare un acquirente – da eroe dei nostri tempi diventa venditore dai tempi
stretti: a un certo Zadotti. Nuovo presidente, e presente che in un mese è già
vecchio, più che passato, ininfluente e inquietante più di Tavecchio. Abbiamo scherzato,
ma almeno abbiamo venduto. Cazzata libera in libero mercato. Inventarsi un
falso racketing per escogitare un nuovo marketing. Tecnica aggressiva, appena
appena umiliante e omissiva, ma certamente efficace quanto persuasiva. In
guerra e in (poco) amore per se stessi, tutto è permesso. Anche usare la mafia
come pretesto per passare da una protesta finta a una proposta d’acquisto. Che
non è Salvo, perchè in questa storia ci sono sì molti carabinieri, ma troppi
eroi finti. E troppi errori tinti. Erroracci di valutazione. Di
supervalutazione dell’usato trucco mediatico, di sottovalutazione del rischio
immediato. Campagne pubblicitarie che sono campagne di Russia, a danno e
dannazione non solo della campagna calabrese che russa. Di sonno della ragione,
di una regione che è sulla via del riscatto solo in sogno; al massimo in
qualche pezzo farlocco da aria nuova in cucina, dove al posto della cipolla si
mette lo scalogno. Cricche di Cracco cucinatori dei soliti accrocchi d’immagine
e zozzaggine, che impazzano e impiattano: pattume, piattume, piacevolezze sul
fatto che non tutto al sud è mafia o sudiciume. E che impattano, anche.
Riscuotono successo, non volendo scuotere troppo ‘sto meridione ridotto un
cesso. Se non tutto è sporco, allora lo sporco che c’è è niente. Sillogismo
cosmetico-aristotelico. Del zozzume perchè parlarne per intemerate, quando
abbiamo tanti tappeti di tweet sotto cui spalarne tonnellate? Perché – se
proprio proprio – non parlarne colla sordina, il mutismo, la risatina? Fare drammi
è come credere agli ufo, è cedere al pensiero gufo. Anche se Locri non è quasi
più Italia, l’Italia è come Locri: ‘sto male poteva andare peggio, non
prendetevi troppo male e andate al seggio. Votate per l’ottimismo
rivoluzionario, non votatevi al pessimismo moralista e legalitario. Peccato che
più la mafia diventa una barzelletta perchè tanto alla fine non è morto
nessuno, più diventa una cosa seria in cui muoriamo tutti. E non dal ridere, ma
nel vivere civile. Più che un lieto, un lutto fine. Un degno finale per un
indegno totale. Un calcio da prendere così, in un paese così: da prendere a
calci. Sport da stato pietoso, in uno stato fondamentalmente omertoso per sport.
Ma non finisce mica il cielo, in questa favola sanremese in cui i somari e i
ritornelli sommari volano.
L’ignoranza e l’omertà
come saggezza popolare, anzi popolarissima; ignorare i fatti o i misfatti come
valuta corrente. Accorrente, a difendere quello sbagliato: a corrente continua,
e mica alternata. La conferma più clamorosa – più schifosa – qualche giorno
dopo la recita di Locri. Contro Mancini, a Sarri – ex simpatico toscano da
osteria numero mille i Landini fan scintille che in fatto di salame confonde
facile finocchio e finocchiona, che infinocchia il mondo passandosela da
progressista con un sacco di carissimi amici gay, alcuni pure morti – scappa un
frocio finocchio: ma tutta la muta scappa
a difenderlo, a dire muta alla parte di pubblica opinione che s’indigna, si
scandalizza, intigna a incazzarsi. Sbagliato. Fra uomini (uomini-uomini, eh,
quelli che amano, trombano e pestano le donne come nostro signore comanda...)
ci si regola diversamente. Sarri gli ha dato del frocio, ma Mancini ha parlato
perché forse lo è. Di sicuro è spia, fighetto, non figlio di Maria ma della
Perfida Albione, dell’Inghilterra che da Macho omofobo lo ha trasformato in un
Mancio fregnofobo e frignone. Sarri ha chiesto scusa, Mancini non ha scuse.
Doveva stare zitto, queste cose devono limitarsi al campo – dell’omertà.
Denunciare la mafia finta a Locri, e per il resto propalare la mafiosità vera a
botta di linciaggi alacri. Nello sport, come nel paese, conviene sorridere e
tacere. Ottimismo e rassegnazione. Questo ci dice, questa nostra pera di
fosforo che dispera: che, da noi, guai a chi dice. Amnesia e allegria, amnesia
è allegria: peccato il Papaluto, che per l’amnesia c’ha l’allergia...
La verità è che
l’Italia non sta tutta collo Sporting Locri: è l’Italia, sporting e no, che sta
diventando tutta una Locri. Afflitta da problemi drammatici, sconfitta da
meccanismi di rimozione comici. Fino alla tragedia, che porta a isterismi di
reazione meccanici. E inutili, falsi, coglionissimi. Oh disgrazia, oh
solidarietà, oh viva commozione di un paese che si stringe tutto intorno alle
vittime! Ma nulla stringe, chi troppo vuole: fingere, reagire sempre dopo e
agire mai per tempo. Tutta Italia una Locride di coccodrillo, che piange sul
sangue versato come latte – materno, sprizzato da una politica sottoterra, mai
sprezzato da una cultura che proprio non riesce a non prendersi sottogamba. Non
contiamo più un cazzo, inutile che raccontiamo tutti i cazzi che non vanno.
Cultura del disimpegno che diventa impegno nell’incultura: che però minchia
come fattura. Coltivare il dubbio diventa seminare ubbie. Repressione
paramilitare della paranoia intellettuale. Basta farsi seghe mentali che
diventa diuturno processo di martellamento genitali. Basta non pensarci diventa
non pensare – e basta. La facoltà intellettiva diventa obbligo ricreativo,
cumulativo, remunerativo. Più uno s’arrende, e più gli rende. Più uno si vende
di lavoro, più si vende uno dei suoi lavori. Niente è più contesto alla
Sciascia, tutto è pretesto che lascia: il tempo pessimo che trova. Ma che
raccatta portatori di voti, lettori e follower devoti. Niente più di questo. La
convenienza in ogni evenienza, una convenienza di tutta evidenza. Una coscienza
sociale o morale che – se in latitanza paraculica – garantisce rilevanza politica
e spettanza economica.
Nei giorni della
pagliacciata di Locri, per dire, il presidente del Consiglio non guarda alla
Calabria perché è a vedere Zalone: che la Calabria la vede in chiave comica,
senza avvedersi di dire la verità su una chiavica atomica. Di cui nessuno si
occupa, e con buona ragione: una regione cattiva, irrecuperabile, utilizzabile
solo per qualche foto di circostanza. Oramai guadagnata a una mafiosità di
fotonica potenza, persa in una cronica distanza dal paese (pure
sottosviluppato) come pure dai paesi più sviluppati. Ragazze dello Sporting, se
volete convincere il Renzie amico di zio Sam dovete vincere almeno un grande
Slam. A lui interessa la Pennetta che vince in America, mica la Beretta che
trionfa in Calafrica. Che depressione, in tutto questo; e che opposizione a
tutto questo: più deprimente ancora. Pelosa come la barba del Grillo in fuga,
penosa come l’autodifesa dei grillini in foga. A Quarto non c’entriamo! Di
posti come Locri – vittoria alle elezioni locali e clocacali a parte – non ci
occupiamo! Specie adesso che Beppe (lui sì) è tornato a fare dei Palasport
gremiti di giornalisti dei Palaspot per rincoglioniti e complottisti. Prediche facili
in tutta Italia, razzolate difficili da Parma a Livorno a Gela: e noi prefiche
fin troppo facili sull’Italia. Manco tanto originali, nel nostro pianto antico.
Col partito della Nazione forse non c’è ancora, ma la nazione è già a
malpartito di sicuro. A mal partiti, per l’esattezza. Un governo marcescente,
un’opposizione o matta o marcia o inconsistente. Con partiti che sono pessimi
soggetti e attori, ma necessari alla confortevolezza degli elettori. Questo il
copione che tradizionalmente non c’è, nella commedia dell’arte d’arrangiarsi
che da noi c’è da sempre e mai abbastanza. Le mafie di ogni tipo ci servono,
per le nostre esigenze tipo: tagliare una coda o una testa, che differenza fa? Servono
i guappi, i furbi, i dritti come dovere per raddrizzare le storture e
gl’inghippi. L’Italia funziona così, perché noi funzioniamo così. La collettività
è roba da ossessi, e qua tra noi individualisti mica ci sonon fessi. Fare di
corsa, fare di cosca. Sono i tempi che corrono, e finanche i contrattempi
occorrono. Basta che non ci tocchino, che tutti tarocchino tutto, in questa
democrazia partecipativa passata. Uno dieci cento mille Sporting Locri, per la
Depressing Terra dei Cachi. Il paese che vive, che esige il calcio come la
politica e la politica come il calcio, ha i Calciattori che si merita. Che
recitano a (cattivo) soggetto; che in questo teatro-macello si ritagliano o
tagliano una parte, possibilmente la migliore. Perché anche noi facciamo così,
in questa bell’opera di distruzione: Cosi disfan tutti, e piano piano disfiamo
tutto.
Un’aria malsana che
puzza e fa a pezzi, mozartiana che mozza il fiato alle trombe di chi – dal
presunto governo o dalla presuntuosa opposizione – decanta il contrario. L’Italia
moderna e pazzesca che sta cambiando del tutto marcia? Semmai classica e
gattopardesca: che sta cambiando tutto, pur di restare marcia. Si fa ma non si
dice – nessuna novità, nell’Italia machiavellica e millenaria. Anzi no. L’Italia
del debito e del Pil da downgrading, qualche upgrade a discredito ce l’ha
ancora. Oggi si fa ma non si dice, anche e addirittura quando si fa qualcosa di
buono. Massimo orgoglio sulle riforme finte o a fosche tinte, tipo l’abolizione
falsa delle province e quella vera della democrazia parlamentare; quasi
cordoglio quando si procede di pura decenza – anche se non proprio d’urgenza –
come sulle Unioni Civili. Fosse stata qualche cazzata propagandista delle sue,
Renzie avrebbe alzato il pollice a tutto pollice di televisore da Vespa&C.
Qui invece, niente. Su una norma che porta avanti l’Italia, lui si fa indietro.
Si fa i viaggi all’estero, i sondaggi su quanto s’incazzano gli alleati democristiani
etero e vetero... Su una legge comunque buona e necessaria per un paese civile,
la civiltà di serie C della classe dirigente italiana è civiltà senza C: viltà
pura, paura di allinearsi alla società. Fortuna che la solita e teocratica Cei –
che se non è zuppa è Pan Bangnasco, hai voglia di quanti Bergoglio ci metti... –
ha costretto il governo a reagire. Renzi ha fatto la voce grossa, ma forse
facendosela ancora più grossa nelle mutandine fanfaniane. O, peggio ancora, alfaniane.
Ohhh sì, perché metafora finale e perfetta di questo Papaluto è questa metà di
niente, questa cacchetta. Il ministro da internamento, che imbarca inquisiti e
trasformisti da camicia di forza, che pure ha una bella forza in camicia e
cravatta mentre l’Italia Giletta e populista licenzia solo gli assenteisti
in mutande del festival del qualunquismo
di Sanremo. Agli opportunisti in gita a Locri, niente. E l’assenteista
cerebrale del signor ministro, uguale. Che compassato, procede come un guaio
passato: da noi tutti. Meridionale solo per i natali, ché per il resto lui a
Roma ci passa pure pasqua e ferragosto, a Locri non ci va nemmeno per scherzo;
a Napoli schiattata dalle faide ci manda i militari col solito Esercito di
Stile tarocco e sudamericano. Tutto qua, tutto un quaqquaraqquà. Non avendo
modo e capacità di fare il suo lavoro di ministro, ha un sacco di tempo per
fare quello di ministro della fede bigotto e sinistro. E – in perfetta sintonia
cogli uomini che vendono il culo alla mafia – vuole mettere in galera le donne
che affittano l’utero. Perché questa è l’Italia del Family Day: tutta una
grande famiglia allargata. Agli uomini di panza colla bocca stretta, mica ai mezz’uomini
col culo largo. Meglio i padrini politico-mafiosi e fuorilegge, che i padri
froci per legge. Questione morale a zero, questione moralista e bigotta a
mille. Eccola, la prospettiva. Step by step, eccola la stepchild adoption del
governo Renzangelino: adotta un picciotto, nel caso ci sta bene anche se ti
piace il salsicciotto. Buonanotte, e buonafortuna.
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