Quattro mesi
di silenzio non sono pochi. Ma quattro mesi di repliche sarebbero stati troppi.
Essì, cari Papalutisti di ritorno, questo è o vorrebbe essere un blog di satira
politica: ma se la satira diventa politica
di governo, noi non è che possiamo postare gattini pianisti e Razzi puttanisti
per quattro mesi. Non potevamo, e per fortuna non dovevamo. Non ci avrebbe
appagato, e giustamente non ci avrebbe pagato nessuno, per farlo. Quattro mesi di tagli e
tweet, di salari bassi e salassi altissimi per i più deboli; quattro mesi di
mance e scalpi alla cerchia degli amici, di colpi alla botte del lavoro e botte agli
operai che il lavoro non ce l’hanno più; quattro mesi che vedersi coi rossi del
sindacato Camusso-Landini mai, però col sindacato criminali di Silvio-Verdini
tutti i giorni, ora d’aria permettendo; quattro mesi che i veri eroi sono
gl’imprenditori — tutti — quando i veri supereroi sono i loro ex dipendenti che sopravvivono
in eterno e in eternit alle loro porcate tumorali e multimiliardarie.
Fanfaronate che nemmeno Berlusconi, Fanfanismo spudorato che nemmeno Fanfani
l’originale. Quattro mesi che sembrano quarant’anni. Ritratto dell’artista
della truffa da ex giovane — un ritratto di Dorian Gray, degno di Oscar Wilde e di Oscar per
gli effetti poco speciali. Sì perche il Don Matteo di Rignano mica è come il Don
Matteo di Terence Hill: lui più pedala, più invecchia; anzi è proprio come Don
Johnson: un invecchiato presto e male facendo finta di essere figo, il nostro
Madia Vice. Del resto essere il ToyBoyScout per le zozzerie
istituzional-inguinali di certe cougarazze come Silvione Porcellone e Sgorgo Napolitano
qualche piccolo incoveniente ce l’ha — parecchio sbattimento e poco godimento, tipo. Per lui, ma
soprattutto per noi. Che, onestamente, da uno che si dice di sinistra perché forse la sega che combina al governo se la tira
colla mancina, non ci aspettavamo niente. Ma meno di niente, peggio del niente,
nemmeno noi, i peggiori nientisti del mondo in materia grigia renziana. E
invece siamo stati ottimisti, su Renzi: perché siamo sotto Renzi. Perché non è vero che al peggio non c’è fine: in
Italia al peggio c’è fine, e di solito è un fine democristiano. Dal tipo non
c’aspettavamo il comunismo, ma almeno un comunicato sì: abbiamo rifatto la
Democrazia Cristiana, stop. Ahhh, liberazione. Più del Venticinque Aprile o di
venticinque chili di prugne. Una twittatina come la dolce euchessina, che ti
libera la coscienza e lo stronzo. Patti chiari, inimicizia lunga e stitichezza
corta, almeno. Per risolvere il blocco politico, stappa il culo e un andreottino!
Ma in quanto autentico democristiano rifatto, Renzi non rifà la Dc senza ipocrisie:
la fa senza dirlo, la fa chiamandola Pd. Negando fino all’ultimo cosa c’è
dietro, ti mette davanti al
misfatto compiuto: quando ormai c’hai una mano davanti e una dietro. Il tutto
mentre i presunti oppositori — a cominciare dal Grillo sparlante e stanchino associato allo
scienziato Casa(pound)leggio — lavorano per farlo
sembrare un genio della relatività. Nel senso che, messo a confronto cogli
altri che sembrano Frankenstein, è ovvio che Renzi sembra Einstein. Se
l’opposizione è questa, si Salvini chi può: e chi Salvini proprio non può, o dà
di matto e o dà il voto all’altro Matteo. Sistema minestra-finestra. Butti giù una, o ti
butti giù dall’altra. Tutti i partiti fermi, a fargli il solletico o a fargli codazzo o
a fare ‘sto cazzo; e l’unico Movimento che c’era, a furia di muoversi isterico
è rimasto fermo mentre il treno delle occasioni che ha perso adesso gli passa
sopra con vagonate di espulsi e rimpianti. Questo il riassunto della puntate (e
delle puttanate) precedenti. Per cui, onestamente, potevamo restare dov’eravamo:
in silenzio. Se non fosse successa una cosina che solo al re delle primarie — nel senso
delle elezioni e delle erezioni da testa di glande — poteva
sembrare secondaria. Il suo bel Partito della Nazione ha infrociato con un
regionale. Anzi, con le regionali. Voi direte: evvabbé, l’Emilia ex rossa si è
astenuta, ha perso voti, che sarà mai. Ha vinto pure in Calabria... E qua vi
volevo, con-calabresi compagni di sventura. Qui in Calabria non ha vinto: ha
stravinto, e in Emilia ha straperso consensi pur essendo stracontento della
cosa. O, tanto per cambiare, facendo finta. Perché se il disegnino da
bimbominkia berluschino è chiaro, non è proprio chiarissimo se riuscirà. Mollo
la sinistra e le periferie, mi prendo il centro storico e politico. Dalle Case
del Popolo passo a quelli che hanno casa in piazza del Popolo. Da chi una volta
guardava a Mosca a chi tutt’oggi si guarda Vespa, diciamo. Calano i votanti e
gl’iscritti? E chissene: sono secondari, a noi interessa il terziario avanzato
(alla galera) della web-economy. Per un partito un po’ Inps un po’ Internet, un
po’ Risiko e un po’ Rotary colla sede alle Cayman, questo ci vuole. Ci vorrebbe
anche chi lo vota, magari. Ma il partito Unico deve avere Unico anche
l’elettore — un uomo solo al comando, con un votante solo via telecomando.
Progettino mica male, eh. Peccato che, se i calabresi si scoprono emiliani
nell’affluenza e nei voti al Pd, gli emiliani (forse per tutta quella delizia
di calabria che gli abbiamo mandato su…) si stanno scoprendo calabresi di
calibro (9) negli avvertimenti. Alle regionali a Renzi è arrivato un tortellino
minatorio con dentro un ripieno di lupara. Per mo’ non ti abbiamo votato e
basta, alla prossima votiamo contro e ti trovi una testa di mortadella nel
letto… Ovvio che don Matteo adesso fa il compagnone, il tranquillone, il
brillantone del Partito della Nazione che stravince e ancor più stravincerà,
trallallero trallallà. Ma i sondaggi li guarda, eppoi si guarda allo specchio:
e non sa dove sputarsi prima. E’ ancora alto nei numeri, ma se va avanti così a
fumarsi consenso più che della Nazione il partito gli diventa della Nazionale
senza filtro. E anche senza sputazza quando — magari partendo proprio
dall’Emilia — alle prossime
elezioni la prenderà in culatello. Prejarsi la curramatura elettorale delle
olive e degli Oliverio fregandosene delle forme di dissenso e di Parmigiano è
un tantino pesante e pure pericoloso, come menu politico. Lo scambio non sembra conveniente, ecco.
Al cazzomercato sarebbe come scambiare il randello di Rocco Siffredi col pipino
di Pupo. Sarebbe come stancarsi della Ferilli — passatella de sinistra — per mettersi colla Calabrisella: più
vecchia e pure più puttana, sempre lì al fiume a votare il migliore offerente.
E no che non conviene. Specie ora che, sorpresona, finendo i soldi per
comprarli stanno finendo anche i voti. 80 euro passati senza risolvere, adesso
80 voglia di mandarti a cacare. Tutti i nodi e i nani vengono al pettine, tutti
i Napolitani prima o poi vanno in pensione. E se Silvione il senza capelli veri
di un pettine non sa che farsene, un Matteo Berluschino senza un Napolitano a
proteggerlo ai suoi magnaccia potrebbe essere anche meno utile. Un po’ come
questa vittoria in Magna Magna Grecia a base di trasformismo, paleocentrismo, pacchi
di pasta e pacchetti di voti volanti. Wanda Ferro — il primo
candidato trans alla regione: roba che Luxuria si riattacca il peperone dall’invidia
— per questa campagna aveva trovato uno slogan che all’altro Ferro,
Tiziano, non gli veniva nemmeno con un aneurisma: Calabria, diventa ciò che sei. L’impressione è che l’Italia del Partito Nazione stia
diventando ciò che la Calabria del Partito Regione è già — mare, mafia e merda. Mare pochino, per la verità.
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