domenica 12 gennaio 2020

FRA CAPODANNO E COLLO

Alla fine suppergiù è andato tutto come diceva lui: il 2019 è stato un anno bellissimo, soprattutto per lui: anche ma non soltanto per i 700mila euri di reddito (e di rendita: da Presidente del Consiglio legale meno carino che caruccio) l'anno in più. Come lui chi? Ma lui lui, Mastro Geppetto Conte, il papà di un governo fantoccio e di uno bugiardo e burattino, l’avvocato del popolo e del populismo, del diavolo e dell’acqua santa di colonia, che in un anno in un attimo e in due governi gemelli contro(versi) è diventato l’Invocato argine anti-populismo — e pazienza se nell’aria, oltre a Mestizia profumo d’intesa, c’è giusto un filo filo di filo-trasformismo. Perché gli Usa saranno stati (uniti) il paese delle opportunità, ma solo da noi per governare si usa e osa l’opportunismo come sola qualità. Parlare bene, straparlare poco, razzolare per bene nel Palazzo per strapuntinare al meglio: e magari strappare un altro giro al tavolo di governo e da gioco perché sei l’unico che può stappare o stoppare ‘st’imbroglio. Tenere il punto, il proprio punto di vista? Meglio tenere la pochette e il posto, anche passando da una cosca di destra a una cosiddetta e così derelitta sinistra, meglio se facendosi passare da anti-Salvini designato dopo essere stato suo complice, scudo disumano e fido alleato… Che tipo, che lenza, ‘sto Primo Carneade gigante glidante e impomatato che adesso guai a stare senza. Non brutto ma buono — a tutto — un belloccio stagionato buono per tutte le occasioni le stagioni e i ribaltoni. Roba fragrante, croccante, nutriente, roba da coalizione dei campioni alla Rice Crispi. Conte una versione castigata e customizzata di Giolitti, incensurata di Andreotti, meglio vestita più forbita e pettinata di tanti acchiappapoltrona azzeccagarbugli e guitti democristianotti? Sì, possibile e purtroppo probabile. Ma grazie all’abbondante quanto scarsissima concorrenza tutta fanfaroni criptofasci e neofanfaniani, Giuseppi l’orbo fra cotanti cecati arroganti in orbace o in ambasce penali fa il figurone di chi c’ha due o più occhi buoni. Dalla merda nascono fiori, però se la situazione è (come è) di merda non è che ci possiamo aspettare fiori e frutti tanto migliori. Il tipo non è il tipo dell’Einaudi dell’Olivetti o del Mattei, più che padre della patria è un compare della cresima, ma ha il merito di non essere nessuno dei due Mattei: non è Renzi, non è Salvini, sembra un manichino in vetrina o un mannequin in pensione ma pare sempre meno un modello telecomandato o telecomandabile dai vari Beppi e CasaleGiggini… Genio no, manco uno stinco di santo né uno stacco di testa o di coscia, ma in mezzo a ‘sta mezzasegheria di circo Orfei tutto Orchi Onanisti e Babbei è quello che ti puoi guardare menarsela con meno angoscia. Insomma. Uno che pensa colla propria testa, che inizia ad avere un consenso personale oltre il multiverso molto controverso e grillista, che gl’italiani capiscono anche se parla una lingua tutta sua da avvocaticchio apulatinista. Piangiamocela finché vogliamo, ma dopo un po' piantiamola e diciamocelo — piuttosto che niente, meglio ‘sto poco più di nessuno, che almeno contro certi bulli e pupi e pupari cupi ha imparato a farsi furbo e a farsi un niente niente più tosto. Del resto. In tempo di guerra ogni buco è caverna: e in tempi di magra ti sembra Willy Brandt chiunque non sia Scalfarotto il duo brutto ma bono Boschi-Bellanova o Paola Taverna. Al punto (di non ritorno) che Zingaretti — con tutto quello che ha rappresentanza, che comporta e che ancora avanza a sinistra — il Conte Peppe lo ha appena creato Marchese Ex Grillo nonché punto di riferimento certo per i progressisti: nonché di ferimento, a un certo punto, per tutti quelli che con progressisti ancora si riferiscono a Berlinguer Olof Palme e Mandela, anziché a un oscuro Beccaria della Mutua e dei Lumi di candela…  

E insomma? Eh, in somma che fa il totale il quadro fa più acqua e quaresima che champagne e carnevale. Coll’approvazione di cui gode (circa il 40%, più di Mazinga a zero e degli ultimi 10 segretari del Pd messi assieme…) devi appoggiarlo anche se ti rode. Per tirare a campare te lo devi fare piacere, e quando in maggioranza si fa partire il tiro al piccione e al più peggiore devi pure fare da parafulmine e paciere. Certo se per vendicarti devi votare e votarti al Conte di Montecristo e di Montecitorio triste è triste la situazione — per non parlare della compagnia e della coalizione — non ci sono cazzi né lazzi amici e compagni progrestristi. Però tant’è, la pochezza in giro è talmente tanta che il troppo che stroppia o che si stoppa da sé mica c’è. In questa enorme nullità, anche a spararla grossa non si dice o benedice mai un’enormità. E quindi. Conte ultima speranza progressista, anti-sovranista, progressivamente unico soggetto e risorsa rimasta passabilmente anti-Salvinista? Incredibile, indigeribile, ma vero. Sarà che viene dall’università ma è meglio uno che ha molto studiato, è che è molto studiato, ma almeno ha imparato a fare il Presidente del Consiglio come al Cepu, di quello che potrebbe insegnare come fare il social-ministro dell’Interno alla Scuola Radio Elettra Lamborghini o alla Scelba School che non c’è più. Magari non lo è, però Conte almeno sembra un Presidente — del Consiglio anziché della Pro-Loco Anti-Negro sempre in giro ad abboffarsi di polenta osei e coniglio. E questo anche quella Peste di Capitano, lo sa. Non per niente, colla Nutella e le Sardine, Conte è l’unico che Salvini attacca tanto ma tanto non attacca. Ci puoi dare di matto, ma che Conte tiene botta è un dato di fatto. E allora — in mancanza di meglio, e di voglia di prendersele con un maglio — vai a spalmare e a sperare, anche se magari ‘sta speranza un può puzzare: di pesce, marcio o in barile, o di parlata furbetta e strascicata di chi ci si cresce si pasce e tanto si piasce… Insomma amici Papaluti, diteci improvvisamente ammattiti rassegnati o rammolliti moderati, ma questo vi passa il convento: un commento che passa sopra a tanti belletti doppiezze e difetti, ché altrimenti ci tocca quello tutto convinto col cuore di maria il fegato di Menabrea e il triplo mento. Non che l’alternativa sia un toccasana per il metabolismo intestinelettorale. Nutella e sardine, sapide passerelle comparsate e paraculate tutte esse sibilline, brillantina spalmata di brillanti arti retoriche foggiane — come dieta è un po’ pesante da digerire, ma forse (ma un forse forte…) ne varrà la pena e persino la lavanda cerebrogastrica.

Colpo di spugna al cervello e nello stomaco? Oh sì, e del resto o così o così. Sciacquiamoci cervella e budella da noi, scordiamoci che Salvini si sciacqui la bocca e dai coglioni da solo grazie al suo sciocchezzaio da sciocco immondezzaio: altrimenti stiamo freschi, e non solo perché siamo a gennaio. Volere o volare, magari volere anche un po’ morire, al momento l’ex Manichino Foggiano è l’alternativa più (in)credibile all’inchino — con incetta elettorale — al Capitano. Che è ancora bene in testa e in sella, anche se il Consenso Unico con cui si bulla un po’ traballa. Anche se, dalla sbronza da pieni poteri al Mojito del Papeete alla recente quanto un po' stronza e scadente imitazione del papa schiaffeggiante e incazzato, bisogna dire che media(tica)mente qualcosa è cambiato.  Ruba la scena, ma non la tiene e se la fotte più come prima. Smista mazzate, smazza cazzate, guadagna sempre paginate però perde colpi: persino i suoi migliori, quelli bassi fessi e crassi. Da uno che imbrocca ogni mossa cantata — che sia instagram o il solito sit-in da Vespa e da sit coma, che sia sciocco o proprio secco da shock — a uno che sbrocca e stecca di brutto pure le canzoncine cripto-pedofile su tik tok. Vanno un po' giù i sondaggi, certi sermoni tornano su come salmoni, ai telespettelettori sembrano andare un po’ meno giù i suoi rosari di social-magheggi Ego-gastronomici più sazi che saggi. Anche i suoi puttanata-tour permanenti e perniciosi nei paraggi reggiani riminesi e bolognesi sembrano un po' in stanca, ma mai in crisi. Ha smarronato sulle nocciole turche nella Nutella, ha perso lucidità tranne quella della pelle tipo sugna, ha lasciato che il pesciolino in piazza e nei pantaloni gli mostrasse d’averci non le noccioline ma i maroni: e che a Bologna si mangia la mortadella, ma mica si beva solo il cocktail tra il Losco e il Lambrusco suo e della Meloni se lo sogna.

Se si vede un po' di luce in fondo al tunnel anziché solo ‘sto duce della Bassa divora turtlen e turtel, il merito è anche di questi quasi (ex) ragazzi, dai. Con concetti confusi più che risolti e conclusi, certo, ma non sono mica loro i Confuci e Felici che ci devono indicare l’uscita dalla crisi. Già tanto che siano usciti dalle case e dai social vedendo questo che entrava in Casa Russia uscendo di testa dall’Europa e dal borsellino ex socialista di Putin. Da tutte le piazze d’Italia i più o meno ragazzi hanno risposto a tono (calmo, ragionato, inclusivo) al tuono più o meno sempre più sbracato, sboccato, insultante e abrasivo. Pure con un certo stile, un semplice pesciolino azzurro ha rimesso a posto il balenottero sempre più buzzurro e ostile. Contro il più inquartato e inquadrato, hanno saputo e capito di fare le cose (come le) serie, hanno intuito e anticipato i (dis)gusti disturbati dello spettatorelettore oramai spossato e quasi spostato. Dopo un anno e mezzo di LeGomorra a palla, ti viene voglia di Banalberto Angela e della sua camomilla, pur di non farti un’altra pera-visione di Don Matteo Salvinistano che si bulla. Sarà per il fosforo, ma le Sardine hanno avuto l’effetto di far ricordare tanto al paese: le buone maniere, le buone parole e l’antifascismo come Costituzione ed educazione, fra le altre cose. Di farci vedere come chi si dice vittima dell’odio ne è — se non il carnefice — il panciuto compiaciuto e plurivotato artefice. Il pesciolino c’ha fatto ri-capire e ricordare che ‘sto clima da guerriglietta per bande, da guapperia di like e di cartone in cui ci dev’essere una Bestia che le dà e un altro che le prende, ‘sto prendersi a pesc’-a-pesc’ in faccia e in feccia, in Italia, comincia impazza e puzza dal suo Capitan Capoccia. Mica poco, come risultato e come movimento o sommovimento polittico: le cose e il conto però cambiano sul piano squisitamente e poco deliziosamente politico.

Santori e altri (non tutti, in quanto non tutti di sinistra) hanno mostrato che, tranne nei cervelli dei suoi dirigenti, c’è vita e gioventù a sinistra; resta poi da vedere — come già coi girotondi, il popolo viola, in parte col VaffaDay di Grillo anche se mo' come popolo non è che vola — quanto ‘sta gioventù finirà bruciata o scottata dalla politica politicante o anche solo semplicemente praticata. Non per niente, né per colpe particolari, a parte manifestazioni e maxi-adesioni non hanno ottenuto niente. Per adesso l’unico risultato politico e polittico allamato dalla Sardina è stato il Candidato Callipo aka Tonno Subito in Calabria… Un candidato appena decente, in una regione che anche quando la vinci sai già che è perduta e/o perdente. Ma l’Italia non è Calabria — e per fortuna — ma per sfortuna non è manco solo Milano, Torino, Napoli Modena e Bologna. C’è la provincia, che ragiona (o sragiona) e vota (e certe volte stravota) di pancia. E Salvini in tourné sembra un po' bollito, sì, ma lasciando stare la sua figura politica di merda e personale maxilarda, la corsa la fa ancora da lepre: ancora in testa e non ancora in tegame o in salmì. C’ha i suoi acuti, e per raggiungerlo non basta ridere o rimproverare i suoi anacoluti. Se la canta ma ancora non gliele suonano, fra giropiazza e giropanza non tutti apprezzano ancora tutti i suoi giri e i suoi giga-mangiari, e magari fa da sé e disfa per tre però ancora non ha fatto Karaokiri. Anche perché la vita politica non è la vita pratica: bisogna essere in due per suicidarsi, se l’elettore non lo vuole e ancora ti vuole puoi ammazzarti ma non c’è verso d’ammazzarsi. E la gente Salvini lo vuole, se lo vuole votare, anche se magari non ce lo vuole dire. Ecco il punto, ecco i punti che sfuggono a sondaggisti e mica troppo saggi editorialisti. Questa Italia, quella media, non ci sta tutta nell’Italia dei media: tutta l’Italia vera e oscura non ci sta nei media h24, nemmanco nella Mediaset di Rete 4. C’è uno Stivale dei Suoi stivali, sempre ai piedi d’un Duce, eppoi ce n’è uno persino peggiore che sfugge pure ai più terra-terra e destra-destra fra a talk e giornali: quello che senza avere un amico ma sempre lì col Nemico Immaginario di votarlo ne ha bisogno, che di votarglisi c’ha proprio il sogno, che si bagna s’impenna e s’impegna per il Duce ma non te lo dice. Senza dubbio, e pure senza Del Debbio, è (anche, se non soprattutto) questo il paese reale: un paesone incazzato e impoverito, impaurito e viscerale in cui Salvini — con tutte le sue mancanze e arroganze — ha ancora un consenso-assenzio tacito e tossico, solido e stolido, leale almeno quanto irreale.

Eccola, la maggioranza silenziosa, sibilante, sibillinamente e sobillantemente malmostosa. Rabbia sorda che puoi dire cieca, indiscriminata e in certi casi estremi ed estremisti pure ingiustificata. Ma a cui non puoi certo dire incomprensibile, che alla urne e alla prima occasione vuole restare muta: non per niente sceglie Salvini perché le dia voce, e se ne fotte se gli altri gli danno del piccolo duce: e con ‘sti chiari di luna di fiele a Palazzo Chigi, è ovvio che per il Capitano lavorarsi la campagna elettorale da pieni poderi è più una delizia che una croce. Perché qui casca il governo-asino, che si sente dare del cornuto dall’opposizione volpina e Salvina in sella al popolo bue. Ma del resto, questa è la politica, e le cose sono sempre e solo due: o fai qualcosa di buono, o prima o poi l’avversario ti si da fa prono: e al momento qui la uno è nettamente sfavorita sulla due. Conte sta bene al governo, è nei fatti, ma a fatti il suo governo non sta bene al paese. Fatti due conti e la finanziaria, il Conte due non marcia, la tabella dice tanto fumo ma zero niente vapore e zero carbonella. Il motto sembra essere ricredersi, disobbedire, combattersi. Le tematiche che sembrano svolte, affrontate, risolte alla fine si rivelano solo rinviate, rigirate rimaneggiate e rivotate mille volte, ma alla fine dimenticate o rinnegate come scelte. Per molte ragioni — e due regioni — questo è un governo che perde mesi mentre perde senso&consenso siamesi mentre aspetta di perdere le prossime elezioni. Frattanto, si fa tanto tardi e tanto poco. Solo scazzi e strombazzi, perdita di tempo e di pezzi che è roba da pazzi: sempre più mattate, poche materie azzeccate, ovvio che la gente s’incazzi e il Salvini — poco o assai, capitano o sergente — incassi e ci sguazzi.

Questa maggioranza è già tutto un programma, figurarsi ora che — fatta e misfatta la finanziaria — bello o brutto non c’è manco un programma. E si vede. Le cose iniziate bene finiscono male o peggio, quelle solo promesse iniziano a finire di male in peggio e in cazzeggio prim’ancora di cominciare. Facciamo qualche esempio, di qualcosa finito in scempio fatto e finito. Sui sempre cancellandi Decreti Sicurezza di Salvini, per dire, l’unica sicurezza sono i decreti: in vigore, orrendi, vituperandi e osceni. E la ggrossa crisi che c’è su ogni grossa crisi aziendale?! Su Ilva invece bene metterci i soldi e la faccia, molto meno su Alitalia, ma che l’Italia ci rimetta i soldi e la faccia con Autostrade e relativa feccia… Non esiste cazzo, che non esista un cazzo di modo per punire un gestore malversatore assassino e ladro. Che dobbiamo aspettare, che come in Liguria tutta la rete autostradale vada tutta a male o in mare? Se davvero non si può colpire chi fa i miliardi facendo la cresta e i morti, allora non ritiriamo la concessione statale ai Benetton: ma facciamone una per ‘Ndrangheta Spectre e cartello di Culiacan. Legalizziamo tutto,facciamo che tutto è lecito finché e purché ci sia profitto: visto che non si deve criminalizzare né si può sanzionare o illegalizzare niente. La revoca per Società Ladrostrade per l’Italia (ma contro gl’italiani: che infatti approverebbero su due piedi e in undici su dieci il provvedimento) è lì che aspetta sulla scrivania dal Conte I, sepolta come i morti del Morandi da un polverone di promesse chiare e compromessi oscuri. Non si sa il perché slitti, perché la fermezza a parole nei fatti tenga bene come l’ennesima galleria che balla o crolla, o meglio: non si vuole sapere, per non dover parlare di convenienze e pressioni, connivenze o ricatti. Non male per un governo a trazione e ad attrazione populista, glissare lisciare o pisciare una decisione giusta che oltretutto delizierebbe il popolo automobilista, che a forza di casini cesine e caselli s’è fatto da sé auto-populista. E non parliamo dell’altra anima (de li mortacci…) che ‘a Maggica Coalizzione Ggiallorossa ha in sé, quella progressista. Visto lo stato di fatiscenza da fantascienza di scuole università e ospedali, una sinistra degna del nome farebbe di tutto per trovare i soldi — magari facendo davvero pagare lo Stato Sociale ai cittadini che allo stato sono evasori e approfittatori — pur di non far crepare di tosse da 4 in barella pazienti allievi e (fin troppo pazienti) professori. E invece? Quando Fioramonti — un Fieramosca cocchiera improbabile e paracula, ok —  si dimette dalla Pubblica Distruzione senza fondo né fondi, anziché cogliere l’opportunità di mettere la scuola pubblica al centro in un sussulto di dignità, il Pd che fa? Mette in mezzo la scuola politica del centro  — di scambio d’opportunismo e d’assalto, d’insulto e riassunto d’indegnità: di un posto ne facciamo due senza manco un plissé o un rimpasto, soldi no ma culi caldi sì, uno a te uno a me et voilà. Alla scuola serve tutto, banchi lavagne e soprattutto attenzione, ma continua solo e sempre a servire per l’aria fritta e le poltrone. E fosse solo la scuola. Ogni cosa è una lite, ogni lite è soltanto per portare poltrone sofa&potere a casa. Nessun argomento, principio, lo spartito di ‘sto governo è soltanto la spartitocrazia scannocratica da principio terminale di logoramento.

E non solo sulle cose da fare, questo sarebbe niente: questi hanno inventato pure lo scazzo retrospettivo, come forma d’annientamento/arretramento intelligente. Non ci fosse abbastanza da litigare sul futuro e sul facituro, qui si fa e qui si disfa anche su quello già fatto o appena sottoscritto. Procedura standard, professionale tortura da gabinetto: ma nel senso dell’Ideal Standard. Dopo tanta fuffa e fatica bene o male un accordo si stabilisce? Un attimo dopo si esce dalla riunione e lo si demolisce. E di questa miseria di calcolo politico, di ‘sto nulla mischiato con niente, il minimo non comune dominatore è Forza Italia Viva: il pa(r)tito del Genio del Rinascimento Fanfaniano, di Renzi e del suo (o)nanismo gigante. In consiglio dei ministri votiamo tutto, del potere vogliamo tutto anche se restiamo maggioranza ma di nicchia, e oltretutto alla fine non ci sta mai bene la metà di una minchia. Pregiudicati e spregiudicatezza — Renzi, o della grande bassezza. Ce n’era un altro così, che si credeva nato a Natale e cresciuto a Nazareth: che si sentiva padreterno e figlio di dio, eppoi è morto ad Hammamet. Vai Matteino Renxi, che la via da Palazzo Chigi alla Tunisia — che incrocia ex piddini e Berlusconiani ora Matteini, affaristi e sovranisti chez Verdini, piduisti per sempre ora felicemente riuniti nella sacrale famiglia DeniSalvini — avanti così è tutta tua. Oltretutto lì, diversamente da Firenze, le ville da farti pagare da qualche banda di muto soccorso costano poco — anche le più ganze.

E insomma, avanti — anzi: Avanti! — così. Guerre e guerriciole da cronache marziane, minchione, turbo-renziane e tardo-craxiane. Beghe fra beghine, brighe fra briganti, politiche da politicanti. Reddito di cittadinanza, prescrizione o proscrizione dell’anti-prescrizione, Quota Cento o guai a chi tocca i Benetton sennò la borsa gli quota contro, lotta vera o finta all’evasione… Pur di discutere del nulla va bene tutto. Tanto il paese è sano, è robusto, è virtuoso; può aspettare, non ha emergenze o urgenza, magari giusto alzare un po’ lo stipendio dei prefetti: varare il Reddito di Connivenza, così possono vendersi per mazzette più dignitose delle 700 euro che s’è intascato quello di Cosenza… Ma — come dicono i groupie parlamentari o giornalistici alla Travaglio — con ‘sto travaglio senza parto di governo bisogna avere pazienza. Il Conte II è nato così, a scopo ritardato: non far vincere Salvini, proprio per farlo trionfare. Loro nel pallone e nel Palazzo, quello a farsi bullo colle parolone come un pazzo.

Già così il Conte II sembra il comitato elettorale ufficioso del Salvini I, se poi di espulsione in esplosione le guerre 5stellari finiscono in faida aperta — come una cosca in fermento, non come il famosa apri-scatoletta di tonno del parlamento — al posto di ufficioso metteteci ufficiale; e al posto di Conte metteteci già Salvini, che da Chigi prenota e pilota qualche Putinette per il Quirinale. Magari coll’aiuto di Dibba e aggregati affini nonché disgregati grillini, che mentre va e viene dall’Iran lavora (inde)fesso alla nuova (mal)Destra Nazionale. Tutto smotta, e li ce ne fosse uno che smetta. Va bene che il Movimento è nato biodegradabile, ma non si è mai visto un partito andare in merda tanto velocemente: non ci sono proprio paragoni, né Paragone. Loro lo espellono, lui si dice espulso dal nulla, Di Battista lo difende dicendo che è più grillino di tanti grillini: e che tutti e due (assieme ai parlmentari che si porteranno appresso) sono tanto più salvinisti di Salvini. E mentre questi spalancano porte e portatori d’acqua alla Lega dei Meloni, Giggino e Zinga mica fanno melina: fanno vertice, eh, brainstorming: peccato sia un vortice di cazzate. Intempestive più che in tempesta. Opere pubbliche, vera politica industriale, più lavoro e giustizia sociale? Macché, roba vecchia, loro la convergenza la trovano sulla legge elettorale. Proporzionale, con sbarramento, e soprattutto proporzionata al cittadino-elettore e al suo arrapamento — cioè più o meno quanto una foto della nonna in tanga brasileiro: grande Giggino, magico Mazinga a zero.

Come si vede magari Conte sta a galla e pure a gallo, in ‘sto pollaio: ma, dove non lo si vede, c’è chi lavora per spennarlo e spedirlo anche prima di febbraio. Per capire quanto dura in quest’agone — e in quest’agonia — arriva a fagiolo (a cetriolo?) l’apposita elezione. Locale, ovviamente. Tutto logico lecito e giusto, nel paese in cui si vota alle regionali per le politiche, e per le politiche regionali poi ci si vota alle elezioni nazionali. E quindi. Conte non va a casa a caso, ma casa per casa tra Reggio Emilia e Reggio Calabria. Campa o muore in base ai campanelli e ai campanili, a come si girano i quartieri e gli elettori: se in Emilia la bonacciona amministrazione di Bonaccini — il Lex Luthor mixato con Mastro Lindo cogli occhiali di Derrick che corre per il Pd ma guai se lo soccorre uno del Pd — ce la fa a battere la Raggi di Salvini, l’Italo Bambola sgonfiabile a nome Borgonzoni; o se in Calabria Callipo il re del tonno — dopo il doppio ritiro di Occhiuto e Oliverio che getta nel panico l’economia del voto di scambio — batte la reginetta di Previtezza Iole Santelli e vince gratis le elezioni. Sono e siamo appesi a ‘sta sbobba, al voticino locale che sposta e non si snobba, persino al pensierino politico di Dibba. E’ così, anche se tutti non smettono di (s)mentire. Si va avanti tre anni, tutta la legislatura, decidiamo assieme il nuovo presidente della Repubblica anche se alla riunioni pure decidere l’acqua liscia o frizzante è ‘na cazzo di fatica. Balle da ballo e da sballo del potere per il potere. La verità è che lo sgarrupatissimo governo della sgarrupatissima Italia è appesa a due regioni — ma poi nemmeno, lo sappiamo. A un sola: quella più grande, ricca, popolosa; quella non meno mafiosa ma più civile, operosa, apparentemente meno lebbrosa e luparosa, infetta e letale… Parmigiano reggiano o mortigiano del reggino: è difficile ma indovinate voi quale! Nell’attesa di capire di che mano, di che morte, di che mano morta che te la mette al culo morire, si continuerà a fare finta di niente, a fare finta di non fare finta di niente.  Al di là delle dichiarazioni di circostanza e d’intortanza, infatti, pare che Conte abbia programmato per dopo le elezioni il primo vertice di governo: non si sa se di maggioranza, già di minoranza, oppure se di unicanza, con solo lui al tavolo e appena appena giù di morale e d’importanza. Dopo il 26 il Conte bis affollato come un bus potrebbe finire scaricato, come un vecchio telefono, proprio adesso che lui — in perfetto contese, cioè ciceroniano pugliese — alla carica aveva detto di tenerci in quanto non Novello Cincinnato. Che amarezza, che spreco di cultura di pochette e di pettinatura. Certo oltre all’ingiustizia ci sarebbe pure del razzismo intraterritoriale: un comico pugliese diventa genio politico perché fa 8 milioni e mezzo in un giorno con Tolo Tolo, un altro ne fa 30 con una finanziaria da cinema stragicomico e se la Puglia nel culo: tutti a voltargli e a votargli alle spalle, a rimanerlo solo solo. Checco non è Gassman — e ci mancherebbe — come Conte non è Churchill, ma manco il più ciuccio e ciucco degli Yesmen ebbri di poltrone: però di sicuro il mondo è ingiusto dalla A alla Zalone. Peccato, che sfortunona, proprio adesso che da ex Cincinnato e mitile ex ignoto aveva imparato che come attaccarsi a cozza — ma non a cazzo — alla poltrona.      

E mentre cerchiamo di capire se  fra capodanno e collo ci capita o ci Capitana ‘na nuova crisi, arriva Mattarella sempre col solito discorso di fine danno in solido: che ci trova impoveriti impauriti e impigriti, annoiati abboffati e arresi sui divani — sì — ma pure un po' sollevati e più distesi sul domani. E perché? Perchè come quasi tutti i presidenti della Repubblica è un vecchio simpatico come la sabbia nelle mutande — in partenza — che quasi sempre finisce riverito come il nonno con tanto di foto nella credenza. Facciamo i brutti e cattivi, gli gnorri social-patici e gli gnoranti fin troppo attivi, gli sgarbati scaltriti esperti e mica sbarbati: ma poi, sondaggi di gradimento alla mano e alle stelle, gli siamo grati di cuore e rincuorati dal nostro rancore. Ci va male tutto, non ci sta bene niente, ci va tutto peggio ma non il Presidente. E perché? Perché ci perdona, anche se non si rassegna a chi evade elude ecomafieggia ma si condona. Perché ci vuole ancora vedere come il buon popolo del bel paese, perché (non solo per dovere) non se la deve sentire di mandarci ancora e per sempre a quel paese. Cioè a questo, al nostro, a senso civico zero, a senso unico di morale doppia pronta all’uso e prona all’abuso e a tutto — all’Italia che abbiamo costruito, cioè distrutto. Perché da bravo nonno ci tratta ancora da buoni padri di famiglia, anziché da quelli che siamo: padri buoni solo a comprare macchinoni e guidici e avvocatoni per i nostri figli che si fanno le gimcanne in centro o sui vialoni, che pedoni o piedoni alla guida passano col rosso dopo essere passati dal bianco alla bianca per ammazzare o farsi ammazzare sulle strisce di coca davanti alla pippoteca. Ma una sola istituzione, anche se distinta e in funzione, non può farcela quando dappertutto è indistinta disfunzione.
Unico rimasto, Mattarella fa il suo mestiere: di vedere o voler vedere soprattutto quelli che fanno il proprio lavoro con amore, anziché quelli che lavorano d’odio di gomito di tastiera e da gemito per fare una professione del proprio livore. Ma hai voglia a non guardare l’horror-hater show di quelli che scendono o tirano in pista, il paese questo resta. Quello di Imola, a proposito di pista: in terra bruciata, un cortocircuito da formula fumo. Dove si ammazza col Suv un marocchino perché non si sa, forse perché guai a chi mi tocca il bambino: pena di morte, legittima offesa, soprattutto perché gli ha anche toccato il telefonino. L’Italia oramai è questa, un paese in cui trionfa l’omicidio assistito: da una folla complice, plaudente, correa plurignorante e compiacente. Un posto in cui, da Vibo a Frosinone, da Bressanone a Cosenza, fanno schifo i down e Gratteri e gli autistici ma non la mafia, l’ignoranza, il pregiudizio e la violenza. Un paese che dei propri eroi — da Pippo Fava a Mattarella fratello, solo per restare a quelli che ci dimentichiamo fingendo di commemorarli in questo periodo — s’è perso il ricordo, a parte il periodico coccodrillo tv-radio che sa di pastina d’uomo in brodo.

Insomma, visti come siamo messi, pure nell’anno così nuovo che sembra di seconda mano (lesta) non aspettiamoci ‘sti progressi. Nel paese dell’incontrario dell’incoerente e del contrariante, del contraddirsi senza essere contraddetto né — ‘nzamaddio! — contrariato da un contraddittorio decente, è più che logico trovarsi a sperare anziché a sparare su uno accerchiato da chi lo ha scoperto (M5S) e attaccato da chi lui ha coperto in modi variamente inconsueti o inconsulti (Salvini), mentre se lo coccola candidamente e se lo candida coccolosamente chi (il Pd) per mesi ha fatto duro vanto dell’avergli fatto un morbido manto merdoso d’insulti. Sempre a rigor d’illogica le ultime notizie che arrivano da DiMaio e Zingaretti, i Gigì e Cocò di questa mezza stagione di mezza politica: Di Maio, prima che lo dimettano, fa finta per davvero di volersi dimettere; lo Zinga — sotto acido proprio sotto elezioni — dice che il Pd è il partito da votare e da scegliere, così poi lui lo può sciogliere. In Cina il 2020 sarà l’anno del topo, nell’Italia sorcina quella dei topos che abbondano e non abbandonano ‘sta nave. Pressappochismo, opportunismo e improntitudine, improvvisazione al limite dell’ebetudine. Qui al Papaluto sul nuovo anno si minchiona: però il paese è talmente fottuto che Conte (Conte: non De Gasperi, non De Mita e se è per questo neppure Remo Gaspari…) deve fare da argine e da bastione: altrimenti Salvini c’ha margine e già in mano il bastone. Triste alternativa senz’alternative; una scelta deprimente e neppure dirimente; ché quel che è peggio, è che un malinconico appoggio a ‘st’accrocco potrebbe non bastare a evitare il peggio del peggio. Cascasse il mondo (e, se l’amico Trump continua a sentirsi come un socio nel formaggio colle estrazioni/esecuzioni del missilotto a cazzo, c’è il caso e pure il cacio…) fra qualche mese al governo avremo o una coalizione fascia e sovranista che l’Italia la sfascia, o un esecutivo Contista e/o Continuista che magari se l’accolla, ma l’Italia alla fine non l’incolla né l’aggiusta. E quindi. O un anno bellissimo bis, Bellissibissimo, specie per l’azzimatissimo a cui va benissimo: oppure un lungo (e largo…) puttano evo Salviniano, aperto alla grande da un Salvini-anno Uno. Come si vede, più che l’imbarazzo della scelta, da noi su come va a finire (male) c’è la scelta dell’imbarazzo: e siccome noi non lo sappiamo, come finirà, ve lo diciamo. Vi leggiamo le mani e il domani, i segni e i sogni, le carte in sorte e le cacate certe. Del resto, è il periodo. Come si dice? Chi oroscopa a inizio anno poi non oroscopa più per tutto l’anno, così adesso ci togliamo lo sfizio il dente e pure ‘sto vizio fetente. Ma adesso ci sfrizzola la nervatura, ci scorreggia il cervello, allora vai di previsione del meteo(rismo) che puzza e impazza da paura. Colla sola interpretazione del domani possiamo ungervi la camicia e la cravatta, oltre a dirvi cosa vediamo nella nostra sfera di caciocavallo. E siccome deve restarvi impressa come cosa, ‘sta Straoronzata non ve la diciamo in prosa, ma in poesia-profezia alquanto fessa e Nostradamosa:

Carnevale colla maschera di Balanzone, Quaresima colla mascherata della Borgonzoni presidente in Emilia Romagna;
In Calabria to(n)ni trionfali per la vittoria di Callipo e di Pirro, che illude per poco e per gioco pure i più illusi e cretini;
Voto anticipato e Conte ricandidato — premier Pd: con lui contento che infatti mica si lagna, e il partito tutto convinto di fingere che ci si guadagna;
Illieto fine: Dibba e Paragone, Renzi e Giggino, miracolati ministri e alleati nel primo sperimentale governo Meloni-Mengele-Salvini.

Per noi, forse, andrà così la cosa: quindi tanti auguri di buon anno Bellibissimo, sperandoci su e non sputandoci sopra, sapendo che una inutile è meglio di una cosa inutile e dannosa. Segnatevi il pronostico ché chi sbaglia paga. Se sbagliamo ci tocca cambiare spacciatore e pagare da bere noi; ma se non ci sbagliamo su come andrà a votare — di corsa e di cacca — a spacciarci tutti e a spacciarsi da sé sarà il cittadino-pusher-elettore, e a pagare da bare invece pure saremo lui voi e sempre noi. Puntuale come un epitaffio, giusto e tombale come un condono: ma questo è, e per adesso da codesto Papaluto vi saluto e sono. Good Night, Good Nightmare, Good Luck and Happy New Fear.