Si può essere morti, ma non bisogna essere
mummificati. Per questo Umberto Eco nelle sue ultime volontà ha vietato
convegni su di lui e sulla sua opera per dieci anni: e per questo noi del
Papaluto abbiamo aspettato quasi due mesi per scrivere quanto gli dobbiamo. In
Italia morire da famoso è peggio che essere dimenticato — è essere santificato,
dolcificato, banalizzato. Roba che finanche un Eco diventa un’eco: stanca,
vacua, innocua. Grandissimo ma ignoratissimo in vita, e comunque ignorabilissimo dopo il solito profluvio d’elogi
in morte. Un tipo che scriveva saggi con Kant e l’Ornitorinco nel titolo, che
scriveva romanzi con Sean Connery in copertina, il riferimento-tipo per quando
volevi fare una battuta su qualcosa di lungo, incomprensibile, difficoltoso e
probabilmente palloso. Dopo la Corazzata
Potemkin c’era Eco. Il Professore c’aveva molti fan, ma anche parecchi
Fantozzi al seguito. Bravissimo fondamentale e tutto, ma lascialo lì sullo
scaffale del salotto a fare fugura ma pure polvere... Il Nome della Rosa in
casa ce l’hanno tutti, lo leggono in molti, lo finiscono in pochi, lo capiscono
in meno. Come la Bibbia. E per noi del Papaluto Eco era, come la Bibbia: solo
che a lui credevamo. In particolare il nostro vangelo era la Bustina di
Minerva: una bustina? Ma un bustone ai Lincei, altroché. La sua opera
accademica e giornalistica più misconosciuta, eppure forse la più meritoria e
valida. Un forma d’insegnamento a tradimento: la beccavi sull’autobus o dal
barbiere e zac, eri servito di barba e capelli con sotto un pensiero, la
fermata e la soffermata della tua riflessione era quella giusta. Docente, ma
anche fulminante. La vera prova della sua bravura, far stare tutta la propria
erudizione, ironia, arguzia e capacità d’analisi in quella paginetta. Lì Umbertone
diventava come Schwarzenegger — il Terminator faceva culturismo? E il Professor
faceva Culturalismo. Fare i pesi alla
testa senza fare quelli pesi alla festa; fare per la cultura italica come per
la cultura fisica: esercizio settimanale (poi purtroppo quindicinale…) per
mantenersi un minimo in forma — mentis. Filosofia medievale e Playstation,
Heidegger e Twitter. La cultura impegnata che si disimpegnava benissimo dal
microchip al megastore, da Micromega a Flash Gordon. Di tutto un po’, da tutto
un popò d’osservazione spiazzante che manco il saggio più rilevante: fior
d’osservazioni dalla popò del nostro mondo sbadato, scervellato, scarnificato
dall’utilitarismo ignorantista all’osso. Sono i tempi in cui non serve sapere:
serve saper vendere; ma il sapere di Eco vendeva e vende, persino di questi
tempi. Per capire quanto fosse preziosa, quella pagina in fondo all’Espresso
guardatela adesso che se la dividono i dottorissimi e sdottoreggianti
Valli&Scalfari, ovverosia i primari del reparto Geriatria e Memorialistica.
Eco no. Eco è più vivo di loro anche da morto. Disturba, anche da morto. Non a caso si sono scritte tesi sulla
rubrica: non a caso i suoi avversari sono ancora a nervi tesi, su quella
rubrica. In particolare i simpatici avvoltoi che tubano in calore solo per i
Marò accoppa-indiani e i Kapò lecca-Salvini.
Ma per una volta la stampa stercoraria della
destra è servita a qualcosa, anziché essere asservita a Qualcuno di turno e di
merda come al solito; questi spalatori di balle e rotolatori-incensatori di
stronzi, per una volta sono stati utili al Paese. E persino un po’ a Eco, che
onestamente non ne aveva bisogno. Libero
e il Giornale gli hanno fatto un
processo: evitando gli fosse fatto il processo di
beatificazione/mummificazione; ripescando una vecchia Bustina, che all’immagine
paciosa e pacificata di Eco dà una svegliata che manco l’Ovomaltina… In
quest’Italia che non butta nessuna occasione d’infamità, oramai butta così:
l’onoranza funebre migliore te la fanno i nemici. Che, convinti di gettare
fango, gettano onori come fiori sulla tua bara. Se meriti il rancore di questi
elogiatori impediti e involontari anche da morto, allora la tua vita contro la
stupidità, la pessima istruzione e la cattiva fede non è stata vana. Sarà
stercoraria, sarà involontaria, però vediamo il frutto di questa esilarante
arte varia e funeraria.
Eco:
il Professore che giudicava stupido chi votava Berlusconi.
La “denuncia” all’incirca suona così. Noi —
che di Bustine ce ne siamo perse poche, e che ce ne siamo scordate anche meno —
dobbiamo clamorosamente constatare lo scoop: che, per una volta, uno scoop dei
giornaletti porno di destra non è un falso, un tarocco, un falso col fine di
taroccare un’elezione o un’indagine. Anche se — tecnicamente — manco lo
sarebbe, uno scoop. Ma per una volta che i ragazzi dello zoo di
Meloni&Salvini sono andati a leggere, vogliamo criticarli perché non ne
hanno poi saputo scrivere?!
Noi, Eco, per quella Bustina ancora oggi non
ci sentiamo di difenderlo: perché, ancora oggi, siamo qui ad applaudirlo.
Immaginate. Primi del Duemila, secondo
governo Berlusconi a tremila. Per Silvione un consenso alle stelle, e pure un
consesso da stalle: tutti vip-pecoroni e vitelloni di vita a belargli o a
bearsi del suo successo. Imprenditori, giornalisti, giornalisti pagati da
imprenditori e imprenditori appagati dai loro giornalisti. Insomma. Il plenum
del pensatoio-mangiatoia nazionale a dire che — sì — alla fine ha ragione lui
su tutto. Anzi, Lui ha sempre ragione. Come il duce a furor di popolo, come nuovo
duce: ma a furor di popolo, quindi tutto democraticamente e ipocritamente bene...
La littoria, derisoria combriccola di chi si fa fottere la mamma pur di
vincere, pur di poter sfottere chi perde; di chi sul carro del vincitore
proprio deve starci o guai, di chi sul cazzo al vincitore non vuole starci mai
eppoi mai. Gente che deve stare con chi comanda in Aeternum, e se solo dici opposizione o dignità poi gli serve una comanda di Valium. Quello che fa Silvione
è tutto giusto, e noi ce lo slurpiamo con gran gusto. Se la maggioranza
degl’italiani lo vota, lui la minoranza (come la magistratura, la costituzione
etc) la pota: e quella deve pure starsi zitta. Anzi, adeguarsi, modernizzarsi,
capirlo e copiarlo: magari per batterlo alle prossime elezioni. E’ la
democrazia dell’alternanza, signori; è la nuova democrazia della svergognanza,
baby. Adeguarsi e svestirsi, prego. La sola vergogna nelle leggi del governo è
non approvarle più in fretta, la massima vergogna è nelle opposizioni che delegittimano la volontà popolare che ha
premiato Berlusconi. Tutto scritto, eh, tutti i giorni. Dai soliti
intellettuali italiani modello Tabriz: persiani di lusso dei potenti, gatti da
guardia che i topi tipo Silvio nel formaggio li lasciano ballare quanto
vogliono. Basta che poi gliene tocchi un pezzo, che ci sia un tocco di pezzo di
giornale, di sovvenzione o di figa anche per loro. E’ formazione, è
deformazione, è proprio tradizione: storicamente l’intellettuale italiano non
dà ragioni alla dissidenza, dà ragione alla maggioranza. Qualunque sia,
qualunque cosa faccia, di qualunque simpatia. Si fa prima, si fa carriera, e si
fa anche una bella vita: quasi più bella della carriera. E invece Eco —
apocalittico bonario, integrato mica tanto tranquillo ancorché riverito e milionario
— in piena sbornia sborona e plebiscitaria di piazza Berlusconista, ti piazza
lì questa. Gli elettori di Berlusconi sono di due tipi, gl’ingenui e i
complici. C’è la signora che guarda Rete4 e che lo vota perché gli crede, e il
signore che non guarda rete 4 e non gli crede: e proprio per questo lo vota. La
signora/il signore che ama farsi ingannare, il signore/la signora che ama
ingannare e votare se c’è da guadagnare. Votare secondo i propri migliori
interessi, anche se sono i peggiori della collettività; votare direttamente
contro i propri interessi, ma perché convinti da un imbonitore che vi tratta da
fessi.
Voi non credeteci, ma per noi è ancora adesso
la più valida analisi mai fatta dei flussi elettorali e mestruali del
ciclicamente irritabile e imprevedibile cittadino italiano... Inappuntabile,
appena appena modificabile per essere universale. Lì a destra, nel Club Meno Male Che Silvio C’è Stato,
s’incazzano perché non hanno capito, tanto per cambiare. Eco non era razzista
coi berlusconiani: Eco era fin troppo avvezzo alla razza degl’italiani. Il
problema non era e non è Berlusconi. Il problema siamo noi. Tant’è vero che lo
schema funziona benissimo oggi come ieri; e oggi funziona più di ieri, ma meno
di domani. Come l’amore, solo che di amore — soprattutto amor proprio — non ce
n’è…
Mussolinismo senza Mussolini, Craxismo senza
Craxi, Berlusconismo senza più Berlusconi, Renzismo ancora con Renzi (ma avanti
così, per poco…). E siamo al punto. Questi signori si sono creduti — e nei casi
più gravi ancora si credono — causa e dante causa della storia d’Italia.
Capoccia a capocchia che invece sono solo l’effetto (al tempo stesso
collaterale e principale) di come siamo fatti. Male. E di come ci facciamo, del
male. Credendoci i più furbi che ci siano, credendo ai furbi più scemi che ci
siano. Un errore che ripetuto non resta uguale, che può diventare orrore senza
eguali. Andiamo per spezzare le reni e torniamo che ci devono rappezzare gli
ani; ci beviamo il socialismo champagne di Bettino tipo Fernet, e la nostra
dignità ce la raccogliamo ad Hammamet; crediamo al Miracolo Italiano eppoi
cediamo al Ricettacolo d’inculate berlusconiano. Grandi Classici
dell’Inculatura coi cazzi, della Letteratura per ragazzi: mica tanto svegli da
accorgersi in tempo. Sempre quando è troppo tardi — noi — a capire quanto siamo
troppo tardi per la democrazia consapevole e compiuta. Il politico che da
spregiudicato diventa pregiudicato, noi che per voler stare sempre in pace
finiamo in tutte le guerre. Come la vecchia barzelletta, un’altra passione del
Professore: non è Eco che è razzista, siamo noi che siamo italiani…
I fatti e i misfatti di questi giorni — del
resto — sono lì a darci ragione, ma soprattutto a chiedercene. Scandali,
inchieste, ingiustizie, disastri ambientali e politici? Ancora, di nuovo,
sempre, sempre di più? Ovvio, perché rimuoviamo sempre l’effetto e non la
causa. E stranamente, nell’operazione di scacciare il marcio vecchio col marcio
nuovo, cambiando l’ordine dei fetori il puzzo non cambia. Al posto di Rete 4 mettete
Canale 5; al posto del partito di Silvione mettete quello della Nazione; al
posto di Fede buonanima la D’Urso che vuole fare la bona di corpo e d’anima: e
la bombetta tirata fuori dal cilindro di Eco è un Panama (Papers, vero
Barbarona amicona di Silvione ma simpaticona pure a Matteissimo?) sempre buono,
come cappello introduttivo delle nostre disgrazie. E siamo all’ometto forte di
oggi, all’omino bianco che si è messo nella centrifuga delle sue furbate e
rischia di uscirne come l’uomo nero — di petrolio.
L’ex ragazzo tanto ganzo è una candela che
brucia da due lati, un ex raganzo col
fuoco amico e lobbista al culo: che glielo fa rosso e verdino, glielo strina a
una velocità per cui gliene servirebbero due, di culi, per scamparla con almeno
uno intatto… Eletto da nessuno, ma prediletto da molti, la nostra (Federica)
Guidi suprema è un (Gianluca) Gemelli Diversi di Silvio. Uno che come il
Gianlucone Nazionale cinguetta di moralità e corruzione contro la vecchia
politica sui social, ma poi becchetta e razzola in mano alla politica più
vecchia e corrotta alle cene sociali. No, perché credere di risanare l’Italia
coll’amico Denis condannato in primo grado che dopo averla costruita magari la
caserma dei carabinieri a Firenze la collauda pure, non solo è poco logico: è
proprio patologico… Ma Matteo fa finta di niente, fa finta di fare di tutto. E
tutto nuovo, diverso, epocale. Quando poi è il solito lavoro mandibolare,
patibolare, un mettersi in tasca senza farsi sgamare. E a noi sta bene così.
Renzi è il nostro Gemelli: un figlio di puttana, con cui c’abbiamo fatto un
figlio anche se ci tratta da puttana… Diciamolo, Matteo come Gianluca è il
fidanzato ideale per la nostra cattiva coscienza, la nostra doppia morale, il
nostro triplo molare: la corruzione non ci piace solo se per noi non c’è da
addentare. E in questo Matteo non è Silvio — è meglio, cioè peggio. Perché lui
promette e non mantiene: ma tiene sempre 80 euro in tasca sotto elezione;
perché ai magistrati che indagano e intercettano ha già promesso (e su questo
manterrà) una lezione; perché la stellina sull’Arno non è mica la stella della
Senna, e il suo Giglio Magico non è il Tulipano Nero. Questi sono fior d’affari
e milioni privati, mica fiori da cartoni animati dei suoi amati anni 80 (euro)…
Il Renzismo non è la copia del Berlusconismo: e non solo perché Matteo alla
carta carbone preferisce la cartamoneta a petrolio. E’ diverso perché
perfezionato, quindi peggiore. Grazie al prestigioso Istituto parificato e
plurindagato D.Verdini Renzi ha
preparato l’esame da piduista e da privatista, ha fatto vent’anni di
Berlusconismo in due. Dandosi parecchie arie ha fatto il salto, ma adesso —
dato l’esame — rischia parecchio di saltare in aria. Un Icaro colle ali cera?
Più un picaro con una bruttissima cera: perché non vola più, perché inizia a
precipitare dopo aver promesso troppo a troppi. E anche troppo più potenti, più
sgamati, più intelligenti di lui. Pezzi grossi che al primo mal di pancia
potente (o anche solo potentino…) possono scaricarlo come un grosso pezzo di
merda. Dall’elite alla toilette in un lampo, in un tuono intestinale da
indigestione di potere. ll bullo di periferia potrebbe non essere più il bello
dei banchieri e della petroleria: giù nei loro sondaggi e foraggi, lui con
tutta la sua Teppa Rossa di ex dalemiani ed ex rottamandi (chi è causa del suo D’Alemal, pianga se stesso…). Da Padoan
ad Alfano, siamo una squadra fottutissimi. Riciclati, inciucisti, pugnalatori
di Berlusconi o ex propugnatori delle cazzate di D’Alema. La Rottamazione si
rivelerà per quello che è: la Restaurazione di vecchi sistemi falliti, di
politici vecchi più falliti dei loro sistemi. Hai voglia a mettere la Boschi a
fare la fredda cronaca davanti ai magistrati, a cantargli Trivella Senz’Anima per
respingere le accuse: prima o poi ogni nuovo cantautore del solito ritornello
italiano diventa un Riccardo Scocciante. Comunque vada, sarà un insuccesso.
Finirà come Craxi, finirà come Silvio, finirà con una via di mezzo o proprio in
mezzo a una via? Solo come un cane in Tunisia, solo con un cane che lo porta a
pisciare mentre persino Bondi il Neo-Renziano (!) se ne va via? Dovessimo
scegliere noi, meglio con Dudù che con un Bondi folgorato e innamorato alla
dududù dadadà: ma Minghi signor Presidente, che tristezza in ogni caso vario ed
eventuale. Fortuna o sfortuna che noi abbiamo il nostro, di casino nazionale e
personale. Dobbiamo deciderci, risolverci, e possibilmente svegliarci come
cittadini: questo è il paese, e questo è palese: così non si va da nessuna
parte, a parte a puttane. Dalla crisi economica e materiale si esce solo con
una crasi fra coscienza individuale e questione collettiva e morale. Più etica,
più legalità, più coesione e partecipazione. Diversamente — e si è visto anche
in Basilicata — anche quando piove petrolio ti piove addosso una disgrazia. Un
paese corrotto, alla fine, è un secchio rotto. In cui è inutile versare risorse
finanziarie e umane: alla fine raccogli solo lacrime apulo-lucane. E quindi?
Torniamo a bomba, a Eco, alla bombetta di Eco che non viene certo da un vecchio
cilindro. E’ roba attuale, fondamentale.
Si può essere morti, ma non bisogna essere
mummificati; e purtroppo non bisogna essere necessariamente morti, per essere
mummificati. Cioè quello che siamo noi: imbalsamati vivi sotto le bende,
indifferenti a tutto, sensibili solo ai nostri vantaggi e a possibili prebende.
Ingenui ma cinici, cinici colla lacrima facile davanti al soldo più facile
ancora. Per il resto, tutto il peggio può succedere. E infatti succede, ci
succede, ma che ce ne fotte… Lo Stato fa da agente letterario al figlio mafioso
di chi gli ha fatto strage d’agenti e d’innocenti? La Rai fa la Raffa del
ricongiungimento familiare fra il figlio di Riina (Salvo) e il figlioccio
d’Andreotti (Vespa)? E che fa? E che ci fa? Niente ci fa, se non si fa niente fino alla prossima strage...
Se non volete essere questi, se non volete
esserlo più, o esserlo un po’ meno, c’è una soluzione che non sia essere
Umberto Eco. Per cui non serve saper scrivere, ma saper fare una croce. Il 17
aprile non credete a chi fa il bullo o il bello dell’astensione, a chi vi
compra colla promessa della minima nella pensione, andate a votare: e votate sì.
Per essere vivi e non mummie, per essere cittadini e non scimmie, per
cominciare a far assaggiare la banana a chi crede che siamo scesi dal pero. Svegliatevi,
perché ci sara da vegliare e vagliare; studiate, perché ci sarà da studiare e
capire; votate, perché ci sarà da votare e partecipare. Adesso eppoi in
autunno, per evitare che la primavera renziana diventi il solito inverno di
scontento italico e Italicum. Soprattutto voi, ragazzi. Quelli del Sud, che di
battersi e sbattersi tutta ‘sta voglia… E invece dovete, dobbiamo. Tradite
emozioni e interesse, non tradite voi stessi e il vostro futuro. Siate quello
che siete già: disponibili alla lotta e non al compromesso; attivisti e
ambientalisti, mai inciucisti; protettori della vostra terra, non rimangiatori
della vostra stessa parola. Gente che vuole avere dei figli in salute e in
Italia, non un babbo inquisito in banca Etruria. Se davvero lo siete, fate
vedere che i giovani di questo paese sono meglio dei giovinastri di questo
governo. Diteglielo con un voto, che vi hanno abbandonato e tradito e che se ne
pentiranno. Diteglielo con un sì grosso e bello, diteglielo con un ritornello:
tu ci rimpiangerai, Trivella Senz’Anima...