domenica 10 aprile 2016

TEPPA ROSSA

Si può essere morti, ma non bisogna essere mummificati. Per questo Umberto Eco nelle sue ultime volontà ha vietato convegni su di lui e sulla sua opera per dieci anni: e per questo noi del Papaluto abbiamo aspettato quasi due mesi per scrivere quanto gli dobbiamo. In Italia morire da famoso è peggio che essere dimenticato — è essere santificato, dolcificato, banalizzato. Roba che finanche un Eco diventa un’eco: stanca, vacua, innocua. Grandissimo ma ignoratissimo in vita,  e comunque ignorabilissimo dopo il solito profluvio d’elogi in morte. Un tipo che scriveva saggi con Kant e l’Ornitorinco nel titolo, che scriveva romanzi con Sean Connery in copertina, il riferimento-tipo per quando volevi fare una battuta su qualcosa di lungo, incomprensibile, difficoltoso e probabilmente palloso. Dopo la Corazzata Potemkin c’era Eco. Il Professore c’aveva molti fan, ma anche parecchi Fantozzi al seguito. Bravissimo fondamentale e tutto, ma lascialo lì sullo scaffale del salotto a fare fugura ma pure polvere... Il Nome della Rosa in casa ce l’hanno tutti, lo leggono in molti, lo finiscono in pochi, lo capiscono in meno. Come la Bibbia. E per noi del Papaluto Eco era, come la Bibbia: solo che a lui credevamo. In particolare il nostro vangelo era la Bustina di Minerva: una bustina? Ma un bustone ai Lincei, altroché. La sua opera accademica e giornalistica più misconosciuta, eppure forse la più meritoria e valida. Un forma d’insegnamento a tradimento: la beccavi sull’autobus o dal barbiere e zac, eri servito di barba e capelli con sotto un pensiero, la fermata e la soffermata della tua riflessione era quella giusta. Docente, ma anche fulminante. La vera prova della sua bravura, far stare tutta la propria erudizione, ironia, arguzia e capacità d’analisi in quella paginetta. Lì Umbertone diventava come Schwarzenegger — il Terminator faceva culturismo? E il Professor faceva Culturalismo. Fare i pesi alla testa senza fare quelli pesi alla festa; fare per la cultura italica come per la cultura fisica: esercizio settimanale (poi purtroppo quindicinale…) per mantenersi un minimo in forma — mentis. Filosofia medievale e Playstation, Heidegger e Twitter. La cultura impegnata che si disimpegnava benissimo dal microchip al megastore, da Micromega a Flash Gordon. Di tutto un po’, da tutto un popò d’osservazione spiazzante che manco il saggio più rilevante: fior d’osservazioni dalla popò del nostro mondo sbadato, scervellato, scarnificato dall’utilitarismo ignorantista all’osso. Sono i tempi in cui non serve sapere: serve saper vendere; ma il sapere di Eco vendeva e vende, persino di questi tempi. Per capire quanto fosse preziosa, quella pagina in fondo all’Espresso guardatela adesso che se la dividono i dottorissimi e sdottoreggianti Valli&Scalfari, ovverosia i primari del reparto Geriatria e Memorialistica. Eco no. Eco è più vivo di loro anche da morto. Disturba, anche da morto. Non a caso si sono scritte tesi sulla rubrica: non a caso i suoi avversari sono ancora a nervi tesi, su quella rubrica. In particolare i simpatici avvoltoi che tubano in calore solo per i Marò accoppa-indiani e i Kapò lecca-Salvini.  

Ma per una volta la stampa stercoraria della destra è servita a qualcosa, anziché essere asservita a Qualcuno di turno e di merda come al solito; questi spalatori di balle e rotolatori-incensatori di stronzi, per una volta sono stati utili al Paese. E persino un po’ a Eco, che onestamente non ne aveva bisogno. Libero e il Giornale gli hanno fatto un processo: evitando gli fosse fatto il processo di beatificazione/mummificazione; ripescando una vecchia Bustina, che all’immagine paciosa e pacificata di Eco dà una svegliata che manco l’Ovomaltina… In quest’Italia che non butta nessuna occasione d’infamità, oramai butta così: l’onoranza funebre migliore te la fanno i nemici. Che, convinti di gettare fango, gettano onori come fiori sulla tua bara. Se meriti il rancore di questi elogiatori impediti e involontari anche da morto, allora la tua vita contro la stupidità, la pessima istruzione e la cattiva fede non è stata vana. Sarà stercoraria, sarà involontaria, però vediamo il frutto di questa esilarante arte varia e funeraria. 
Eco: il Professore che giudicava stupido chi votava Berlusconi.

La “denuncia” all’incirca suona così. Noi — che di Bustine ce ne siamo perse poche, e che ce ne siamo scordate anche meno — dobbiamo clamorosamente constatare lo scoop: che, per una volta, uno scoop dei giornaletti porno di destra non è un falso, un tarocco, un falso col fine di taroccare un’elezione o un’indagine. Anche se — tecnicamente — manco lo sarebbe, uno scoop. Ma per una volta che i ragazzi dello zoo di Meloni&Salvini sono andati a leggere, vogliamo criticarli perché non ne hanno poi saputo scrivere?!
Noi, Eco, per quella Bustina ancora oggi non ci sentiamo di difenderlo: perché, ancora oggi, siamo qui ad applaudirlo.

Immaginate. Primi del Duemila, secondo governo Berlusconi a tremila. Per Silvione un consenso alle stelle, e pure un consesso da stalle: tutti vip-pecoroni e vitelloni di vita a belargli o a bearsi del suo successo. Imprenditori, giornalisti, giornalisti pagati da imprenditori e imprenditori appagati dai loro giornalisti. Insomma. Il plenum del pensatoio-mangiatoia nazionale a dire che — sì — alla fine ha ragione lui su tutto. Anzi, Lui ha sempre ragione. Come il duce a furor di popolo, come nuovo duce: ma a furor di popolo, quindi tutto democraticamente e ipocritamente bene... La littoria, derisoria combriccola di chi si fa fottere la mamma pur di vincere, pur di poter sfottere chi perde; di chi sul carro del vincitore proprio deve starci o guai, di chi sul cazzo al vincitore non vuole starci mai eppoi mai. Gente che deve stare con chi comanda in Aeternum, e se solo dici opposizione o dignità poi gli serve una comanda di Valium. Quello che fa Silvione è tutto giusto, e noi ce lo slurpiamo con gran gusto. Se la maggioranza degl’italiani lo vota, lui la minoranza (come la magistratura, la costituzione etc) la pota: e quella deve pure starsi zitta. Anzi, adeguarsi, modernizzarsi, capirlo e copiarlo: magari per batterlo alle prossime elezioni. E’ la democrazia dell’alternanza, signori; è la nuova democrazia della svergognanza, baby. Adeguarsi e svestirsi, prego. La sola vergogna nelle leggi del governo è non approvarle più in fretta, la massima vergogna è nelle opposizioni che delegittimano la volontà popolare che ha premiato Berlusconi. Tutto scritto, eh, tutti i giorni. Dai soliti intellettuali italiani modello Tabriz: persiani di lusso dei potenti, gatti da guardia che i topi tipo Silvio nel formaggio li lasciano ballare quanto vogliono. Basta che poi gliene tocchi un pezzo, che ci sia un tocco di pezzo di giornale, di sovvenzione o di figa anche per loro. E’ formazione, è deformazione, è proprio tradizione: storicamente l’intellettuale italiano non dà ragioni alla dissidenza, dà ragione alla maggioranza. Qualunque sia, qualunque cosa faccia, di qualunque simpatia. Si fa prima, si fa carriera, e si fa anche una bella vita: quasi più bella della carriera. E invece Eco — apocalittico bonario, integrato mica tanto tranquillo ancorché riverito e milionario — in piena sbornia sborona e plebiscitaria di piazza Berlusconista, ti piazza lì questa. Gli elettori di Berlusconi sono di due tipi, gl’ingenui e i complici. C’è la signora che guarda Rete4 e che lo vota perché gli crede, e il signore che non guarda rete 4 e non gli crede: e proprio per questo lo vota. La signora/il signore che ama farsi ingannare, il signore/la signora che ama ingannare e votare se c’è da guadagnare. Votare secondo i propri migliori interessi, anche se sono i peggiori della collettività; votare direttamente contro i propri interessi, ma perché convinti da un imbonitore che vi tratta da fessi.

Voi non credeteci, ma per noi è ancora adesso la più valida analisi mai fatta dei flussi elettorali e mestruali del ciclicamente irritabile e imprevedibile cittadino italiano... Inappuntabile, appena appena modificabile per essere universale. Lì a destra, nel Club Meno Male Che Silvio C’è Stato, s’incazzano perché non hanno capito, tanto per cambiare. Eco non era razzista coi berlusconiani: Eco era fin troppo avvezzo alla razza degl’italiani. Il problema non era e non è Berlusconi. Il problema siamo noi. Tant’è vero che lo schema funziona benissimo oggi come ieri; e oggi funziona più di ieri, ma meno di domani. Come l’amore, solo che di amore — soprattutto amor proprio — non ce n’è…

Mussolinismo senza Mussolini, Craxismo senza Craxi, Berlusconismo senza più Berlusconi, Renzismo ancora con Renzi (ma avanti così, per poco…). E siamo al punto. Questi signori si sono creduti — e nei casi più gravi ancora si credono — causa e dante causa della storia d’Italia. Capoccia a capocchia che invece sono solo l’effetto (al tempo stesso collaterale e principale) di come siamo fatti. Male. E di come ci facciamo, del male. Credendoci i più furbi che ci siano, credendo ai furbi più scemi che ci siano. Un errore che ripetuto non resta uguale, che può diventare orrore senza eguali. Andiamo per spezzare le reni e torniamo che ci devono rappezzare gli ani; ci beviamo il socialismo champagne di Bettino tipo Fernet, e la nostra dignità ce la raccogliamo ad Hammamet; crediamo al Miracolo Italiano eppoi cediamo al Ricettacolo d’inculate berlusconiano. Grandi Classici dell’Inculatura coi cazzi, della Letteratura per ragazzi: mica tanto svegli da accorgersi in tempo. Sempre quando è troppo tardi — noi — a capire quanto siamo troppo tardi per la democrazia consapevole e compiuta. Il politico che da spregiudicato diventa pregiudicato, noi che per voler stare sempre in pace finiamo in tutte le guerre. Come la vecchia barzelletta, un’altra passione del Professore: non è Eco che è razzista, siamo noi che siamo italiani…

I fatti e i misfatti di questi giorni — del resto — sono lì a darci ragione, ma soprattutto a chiedercene. Scandali, inchieste, ingiustizie, disastri ambientali e politici? Ancora, di nuovo, sempre, sempre di più? Ovvio, perché rimuoviamo sempre l’effetto e non la causa. E stranamente, nell’operazione di scacciare il marcio vecchio col marcio nuovo, cambiando l’ordine dei fetori il puzzo non cambia. Al posto di Rete 4 mettete Canale 5; al posto del partito di Silvione mettete quello della Nazione; al posto di Fede buonanima la D’Urso che vuole fare la bona di corpo e d’anima: e la bombetta tirata fuori dal cilindro di Eco è un Panama (Papers, vero Barbarona amicona di Silvione ma simpaticona pure a Matteissimo?) sempre buono, come cappello introduttivo delle nostre disgrazie. E siamo all’ometto forte di oggi, all’omino bianco che si è messo nella centrifuga delle sue furbate e rischia di uscirne come l’uomo nero — di petrolio.
L’ex ragazzo tanto ganzo è una candela che brucia da due lati, un ex raganzo col fuoco amico e lobbista al culo: che glielo fa rosso e verdino, glielo strina a una velocità per cui gliene servirebbero due, di culi, per scamparla con almeno uno intatto… Eletto da nessuno, ma prediletto da molti, la nostra (Federica) Guidi suprema è un (Gianluca) Gemelli Diversi di Silvio. Uno che come il Gianlucone Nazionale cinguetta di moralità e corruzione contro la vecchia politica sui social, ma poi becchetta e razzola in mano alla politica più vecchia e corrotta alle cene sociali. No, perché credere di risanare l’Italia coll’amico Denis condannato in primo grado che dopo averla costruita magari la caserma dei carabinieri a Firenze la collauda pure, non solo è poco logico: è proprio patologico… Ma Matteo fa finta di niente, fa finta di fare di tutto. E tutto nuovo, diverso, epocale. Quando poi è il solito lavoro mandibolare, patibolare, un mettersi in tasca senza farsi sgamare. E a noi sta bene così. Renzi è il nostro Gemelli: un figlio di puttana, con cui c’abbiamo fatto un figlio anche se ci tratta da puttana… Diciamolo, Matteo come Gianluca è il fidanzato ideale per la nostra cattiva coscienza, la nostra doppia morale, il nostro triplo molare: la corruzione non ci piace solo se per noi non c’è da addentare. E in questo Matteo non è Silvio — è meglio, cioè peggio. Perché lui promette e non mantiene: ma tiene sempre 80 euro in tasca sotto elezione; perché ai magistrati che indagano e intercettano ha già promesso (e su questo manterrà) una lezione; perché la stellina sull’Arno non è mica la stella della Senna, e il suo Giglio Magico non è il Tulipano Nero. Questi sono fior d’affari e milioni privati, mica fiori da cartoni animati dei suoi amati anni 80 (euro)… Il Renzismo non è la copia del Berlusconismo: e non solo perché Matteo alla carta carbone preferisce la cartamoneta a petrolio. E’ diverso perché perfezionato, quindi peggiore. Grazie al prestigioso Istituto parificato e plurindagato D.Verdini Renzi ha preparato l’esame da piduista e da privatista, ha fatto vent’anni di Berlusconismo in due. Dandosi parecchie arie ha fatto il salto, ma adesso — dato l’esame — rischia parecchio di saltare in aria. Un Icaro colle ali cera? Più un picaro con una bruttissima cera: perché non vola più, perché inizia a precipitare dopo aver promesso troppo a troppi. E anche troppo più potenti, più sgamati, più intelligenti di lui. Pezzi grossi che al primo mal di pancia potente (o anche solo potentino…) possono scaricarlo come un grosso pezzo di merda. Dall’elite alla toilette in un lampo, in un tuono intestinale da indigestione di potere. ll bullo di periferia potrebbe non essere più il bello dei banchieri e della petroleria: giù nei loro sondaggi e foraggi, lui con tutta la sua Teppa Rossa di ex dalemiani ed ex rottamandi (chi è causa del suo D’Alemal, pianga se stesso…). Da Padoan ad Alfano, siamo una squadra fottutissimi. Riciclati, inciucisti, pugnalatori di Berlusconi o ex propugnatori delle cazzate di D’Alema. La Rottamazione si rivelerà per quello che è: la Restaurazione di vecchi sistemi falliti, di politici vecchi più falliti dei loro sistemi. Hai voglia a mettere la Boschi a fare la fredda cronaca davanti ai magistrati, a cantargli Trivella Senz’Anima per respingere le accuse: prima o poi ogni nuovo cantautore del solito ritornello italiano diventa un Riccardo Scocciante. Comunque vada, sarà un insuccesso. Finirà come Craxi, finirà come Silvio, finirà con una via di mezzo o proprio in mezzo a una via? Solo come un cane in Tunisia, solo con un cane che lo porta a pisciare mentre persino Bondi il Neo-Renziano (!) se ne va via? Dovessimo scegliere noi, meglio con Dudù che con un Bondi folgorato e innamorato alla dududù dadadà: ma Minghi signor Presidente, che tristezza in ogni caso vario ed eventuale. Fortuna o sfortuna che noi abbiamo il nostro, di casino nazionale e personale. Dobbiamo deciderci, risolverci, e possibilmente svegliarci come cittadini: questo è il paese, e questo è palese: così non si va da nessuna parte, a parte a puttane. Dalla crisi economica e materiale si esce solo con una crasi fra coscienza individuale e questione collettiva e morale. Più etica, più legalità, più coesione e partecipazione. Diversamente — e si è visto anche in Basilicata — anche quando piove petrolio ti piove addosso una disgrazia. Un paese corrotto, alla fine, è un secchio rotto. In cui è inutile versare risorse finanziarie e umane: alla fine raccogli solo lacrime apulo-lucane. E quindi? Torniamo a bomba, a Eco, alla bombetta di Eco che non viene certo da un vecchio cilindro. E’ roba attuale, fondamentale.

Si può essere morti, ma non bisogna essere mummificati; e purtroppo non bisogna essere necessariamente morti, per essere mummificati. Cioè quello che siamo noi: imbalsamati vivi sotto le bende, indifferenti a tutto, sensibili solo ai nostri vantaggi e a possibili prebende. Ingenui ma cinici, cinici colla lacrima facile davanti al soldo più facile ancora. Per il resto, tutto il peggio può succedere. E infatti succede, ci succede, ma che ce ne fotte… Lo Stato fa da agente letterario al figlio mafioso di chi gli ha fatto strage d’agenti e d’innocenti? La Rai fa la Raffa del ricongiungimento familiare fra il figlio di Riina (Salvo) e il figlioccio d’Andreotti (Vespa)? E che fa? E che ci fa?  Niente ci fa, se non si fa niente fino alla prossima strage...

Se non volete essere questi, se non volete esserlo più, o esserlo un po’ meno, c’è una soluzione che non sia essere Umberto Eco. Per cui non serve saper scrivere, ma saper fare una croce. Il 17 aprile non credete a chi fa il bullo o il bello dell’astensione, a chi vi compra colla promessa della minima nella pensione, andate a votare: e votate sì. Per essere vivi e non mummie, per essere cittadini e non scimmie, per cominciare a far assaggiare la banana a chi crede che siamo scesi dal pero. Svegliatevi, perché ci sara da vegliare e vagliare; studiate, perché ci sarà da studiare e capire; votate, perché ci sarà da votare e partecipare. Adesso eppoi in autunno, per evitare che la primavera renziana diventi il solito inverno di scontento italico e Italicum. Soprattutto voi, ragazzi. Quelli del Sud, che di battersi e sbattersi tutta ‘sta voglia… E invece dovete, dobbiamo. Tradite emozioni e interesse, non tradite voi stessi e il vostro futuro. Siate quello che siete già: disponibili alla lotta e non al compromesso; attivisti e ambientalisti, mai inciucisti; protettori della vostra terra, non rimangiatori della vostra stessa parola. Gente che vuole avere dei figli in salute e in Italia, non un babbo inquisito in banca Etruria. Se davvero lo siete, fate vedere che i giovani di questo paese sono meglio dei giovinastri di questo governo. Diteglielo con un voto, che vi hanno abbandonato e tradito e che se ne pentiranno. Diteglielo con un sì grosso e bello, diteglielo con un ritornello: tu ci rimpiangerai, Trivella Senz’Anima...