giovedì 24 dicembre 2015

BANCO NATALE

E’ arrivato pure quest’anno, mai come quest’anno con purè di osanna. Contorno di spirito santo di patate, per questo piatto rituale e questo rituale quantomai piatto. Oltretutto con un che di papale e pesantuccio. Come il fiato dello zio infartuato eppure costipato dopo tutti i cenoni alla barcollo ma non mollo, come non potrebbe non essere coll’afflato ecumenico e paraculico di tutte le religioni sul colon e sul collo. Religioni, al plurale: perché da noi nasce il frutto del suo seno gesù, però nel resto del mondo monoteista nascono altri pretesti come frutti di stagione che fuori di senno lo sono anche di più. Tutte religioni della bontà, con tutte le loro buone ragioni di marketing, antecedenti anche se adesso meno efficienti di quelle della Coca Cola che col suo Natale trionfa qua come là… Religioni, oppio dei popoli e scoppio degli oboli a negozianti e mendicanti. Religioni: che sono le solite sette, che alla solita mezzanotte della stagione e della ragione fanno scattare il rimedio anti-magone: il timer di qualche festa per controllare il cucù nella nostra testa. Pioggia, freddo, giornate corte e musi lunghi no, così non va. Periodo troppo cupo. Urge festa da scavarsi nel cuore dell’inverno, per non sentirsi nel buco del culo dell’inferno. Come in effetti siamo, ma pare brutto se lo ammettiamo. Verità fa rima con felicità solo a parole, mica fra le galline festaiole... E che è ‘st’atmofera mesta alla Arthur Schopenahuer? Vai colla mega festa da Fedez il rapper! Luci, suoni, colori e calore e regali a coloro che ami. La tua religione che incoraggia e benedice la libagione, tutte le religioni che riconoscono la sola vera religione con una ragion d’essere, anzi d’avere: il consumo, lo shopping, la Santissima Scontrinità. Prego dio, ma prego accomodarsi alla cassa meglio di così. Dal cattolicelismo all’islam all’ebraismo: festoni che sono suggestioni anche per l’ateismo, superstizioni per il solstizio d’inverno col clima ostico: che infatti stanno bene anche all’agnostico. La neve scende giù coll’umore, tiriamoci su colla saga mentale dell’amore. Fintamente fraterno, ché gli altri per noi sono sempre l’inferno. Ma volete mettere Sartre, colla bellezza di ‘sto cimitero panoramico di sepolcri imbiancati da neve finta che nemmeno a Montmartre? Questo si pensa e ci sta bene, ma non sta bene dircelo. Quindi ipocrisia come se piovesse, anzi, nevicasse. Quindi avanti colle feste, avanzi di cena e di pena fino all’Epifania.
Ennesimo Natale di crisi, ma primo Natale di CrisIs. Un Natale come lo scemo: di guerra; un Natale più o meno di guerra, ma scemo e farlocco come tutti quelli che il padre del neonato se esistesse, come se anche esistesse non avesse di meglio da fare… ha mandato in Terra. Scemitudine e guerra come libidine, due concetti che ricorreranno spesso in questo Papaluto da Papà Natale. La scemitudine chiama la guerra, ma chi ama la guerra non ama la scemitudine: e la guerra per conto suo la fa fare agli scemi, mentre persegue i suoi schemi finanziari.
Tipo il geniale Hassanal Bolkian. Come, chi cazz’è? Lo scemo del giorno, che infatti fa la guerra; lo scemo del giorno di Natale, che infatti fa la guerra al giorno medesimo. A parte questi fondamentali titoli onorifici, il signore è anche sultano del Brunei. Cioè della solita petrocrazia islamica a minchia retta dalle nostre democrazie strabiche a benzina, in cui festeggiare il Natale sarà proibito per legge e vaneggiamento del suo cervello scorreggiante a nafta bigotta. Fino a 5 anni di carcere per chi nel Brunei festeggia il Natale: se fai l’albero, ti facciamo un culo come la capanna del presepe. Intendiamoci. L’idea non è male, in fondo anche equa: che sono cinque anni di carcere per il Natale in Brunei, rispetto alla galera cinepanettona di trenta e passa che ci tocca col Natale in Italia ma sempre da qualche parte con De Sica?! Fino a quando lo fanno comandare, Bolkian a casa sua fa come gli pare. Il problema è che lui fa come gli pare all’estero, mentre a casa sua devono obbedire. Perché il sultanato è nel Brunei, ma il sultano non ci conterei. Hassanal colla Total incassa, ma col Total Burqa delle sue femmine si scassa: infatti lui le feste se la fa a Londra. Cioè in una città talmente natalizia che Babbo Natale al confronto sembra il Grinch che presiede una riunione del Cicap. Champagne per Bolkian, sharia per i suoi sudditi. Fare contento l’imam islamista ossesso sì, essere scontento e fesso lui, no. Gli piace fingere facile, ecco. Più comoda di così, la guerra santa non può essere. Soldi a manetta dall’occidente che importa, solide manette se l’occidente si importa: e lì m’incazzo, lì m’importa… Perfetto spirito natalizio, diciamo. Ipocrisia canaglia, uguale e contraria a chi da noi raglia all’incirca allo stesso modo.
Tipo Matteo Salvini, che in questi giorni ha trasformato la classica tritatura di palle delle recite di Natale in una bellica e trita pantomima di balle sulla terza guerra mondiale. Più bello e più bellico, il presepe coll’elmetto e il filo spinato alla fin fine siamo sempre in medioriente, e lì ci si va armati: ma mica solo di buone intenzioni. Salvini il leghista presepista che manco un napoletano, Salvini apripista di nuova tendenza anche in casa Cupiello. Il presepe bellicista, animalista, feticista delle perversioni zoofile. Del presepio facciamo un carnaio, un canaio, un porcile e uno scempio. Tutto grazie a lui, l’asino che si dà alla politica internazionale, il bue che dà del cornuto all’asino internazionale Renzi, il dromedario quasi più gobbo del colpo che gli è riuscito nel far sembrare la Lega il partito di chi si fotte la Corna e i diamanti nel partito che si batte per la pulizia morale e per i credenti. L’uomo-bestialità che facendo il Re Mago della Fuffa propagandista e della Truffa razzista nel presepe della scuola del figlio ha dato un messaggio chiaro: se posso essere tutte ‘ste bestie insieme, noi della Lega non dobbiamo porci (e cani) limiti. Da partito dell’incidente giudiziario a partito dell’Occidente reazionario e avanti colle belle statuine del presepio, colle brutte pose suine che fanno pieni voti da Brescia a Manerbio.    
E noi del Papaluto che siamo, da meno? Meno porci e cani e minorati del cazzaro maggiorato Salvini? Se il presepe dev’essere un simbolo, uno status di stato confusionale da embolo noi mica ci tiriamo indietro. Al massimo ci tiriamo dietro un po’ di ricordi. E quindi più che vivente e di propaganda, noi il presepe lo facciamo meno demente: e con qualche appunto in agenda. Magari in una di quelle che regalano le banche in questo periodo, mentre ti relegano allo spizio della Caritas. Mica per niente il nostro presepe ha per titolo (scontato e spazzatura, anche, ma mai quanto quello obbligazionario di certe banche ladre di natura…)  Banco Natale. In onore di Banca Etruria, ma anche per lo scandalo bancario-leghista Credieuronord alla (cattiva) memoria…
E chi ci mettiamo, dentro la scena della natività? Tutti quelli che vorrebbero starne fuori, perché questa è una scena se non del crimine certo della complicità. Della passività, della connivenza, quantomeno dell’indifferenza: verso chi derubato dalla sua banca s’ammazza mentre tuo padre locupletato dalla medesima nella crisi ci sguazza. Tutti quelli che non vorrebbero essere messi in mezzo, che del presepe più che altro gl’interessa la mangiatoia, che con ogni mezzo vorrebbero passare per verginelle quando sono figli di troia. E allora, prego e preghiamo si accomodi Maria (Elena) vergine mica tanto dal servo encomio, protettrice degli uccelli paduli di Boschi e di Riviera nonché della Maremma Bancaria. Che nel reparto santa maternità (e cotanta paternità…) del presepe ci sta benissimo perché l’ha fatto da piccola, che modestamente è ancora illibata come allora perché lei dà solo inculate della madonna che interpreta e della malora, che oltretutto ha umili origini contadine: anche se da come ha messo a quattro zampe i risparmiatori truffati, si pensava pecorine. Accanto a lei suo marito putativo e sputtanativo del Paese, che di banche non sa e con lei ci fa una sega: il falegname Giuseppe Renzie, col chiodo di pelle fisso di farti la pelle eppoi fesso dicendoti che lui il decreto salvabanche mica l’ha fatto per proteggere papà Boschi o se stesso. Anche se il decreto che convertiva e spolpava le popolari in Spa l’ha fatto undici mesi fa, lui di ‘sto casino se n’è accorto adesso. All’improvviso. Un’illuminazione, una rivelazione, anzi un’epifania: epifania? Avanti allora e all’oro (sparito dalla cassa) e incenso (sparato dalla grancassa dei giornali) a tutta birra, arriva il Re Mangio Denis Verdini. Il terzo toscano, il freddo che completa la banda della Maiala. L’uomo dell’aiutino al governo Renzi, dello zampino nel crac Mps, del Credito Cooperativo Fiorentino sotto terra con lui sotto processo. Fallito pure quello, guardate un po’. E guardante anche un po’ il nostro presepre che prende forma, fra risparmi e risparmiatori che prendono il volo dalla finestra. Ancora fermi a Gesù, Giuseppe e Maria? Aggiornatevi: Denis er più, Giuseppe Fonzie e Maria. Li chiamavano Trinità, voi chiamateli calamità: prima di loro in Toscana non era mai fallita una banca…
Solo coincidenze, eh. Al massimo un po’ di connivenze, ma roba piccola: gozzovigliare gozzanesco, intimo, famigliare… E comunque non hanno fatto o imparato tutto da soli. Hanno avuto un venerabile Maestro, che proprio in questi giorni è morto non invano: lasciando questo adorabile contesto. Licio Gelli è morto e sepolto, solidarietà ai vermi che dovranno mangiarsi una merda così. Gelli è morto, ma non sepolto. Solo coperto, male, dalla cattiva coscienza delle sue ex cameriere che gli devono fantastiche carriere. Gellì è morto:  fra tanti, stranamente, non ne danno il triste annuncio Silvio B, Maurizio Costanzo, e Fabrizio Cicchì. Tutti personaggi che ci starebbero bene, nel presepe. E che infatti Nazareno più o Domenica In meno ancora ci stanno. E’ morto Gelli, ma mica i suoi anni belli: la P2 va avanti, dei successi si fanno sempre i sequel. Con Verdini e simili siamo già a P3 e P4, e senza manco la P38. A che ti serve la pistola, quando sei al già al comando di tutto quanto fa gola? Le banche, la Rai, anche la magistratura che senza Berlusconi non fa più tanto la dura capirai, dopo la clava di di Napolitano per quel popò di cura… Il Piano di Rinascita Democratica di Mastro Licio questo prevedeva: tenere tutti a libro mastro, tutto il Palazzo nel suo capestro. Una dittaura sordida, ma morbida. Uno Stato Licio al dovere. Istituzioni, giornali, capitani d’industria e generali dell’esercito. Lo Stato d’allora aveva reagito e Gelli aveva fallito: lo stato pietoso e fallito d’oggi, Gelli lo avrebbe seguito. Mica per niente, mentre lui è marcio in una tomba, la sua idea marcia che è un bomba. Stesso Piano, stesso Palazzo: in una piazza Italia in cui però dormono tutti. Dal golpe borghese siamo passati al colpo di sonno palese di tutto il paese, che stanco e sfiduciato ha solo voglia di abboccare come un tonno grosso così, di abbioccare con un sonno lungo così. Solo voglia di darsi, per amo o per forza, a quella lenza di Renzi: il piccolo fanfaniano Fiorentino, che nel matrimonio politico colla Boschi porta in dote e in auge il masson-cattolicesimo aretino. Testimone, anzi, giudice di nozze ad Arezzo, il procuratore Roberto Rossi. Il pm che avrebbe dovuto indagare sui sotterfugi bancari fatto consulente casualmente, lungimirantemente di Palazzo Chigi coi pretesti più vari. Così si fa: sì la do, la solfa con cui la bella tipa Italia ti molla la topa senza menarla coi tempi da Minima Moralia… Adesso lo chiamano partito della Nazione, ma a Licio potrebbero almeno riconoscere che è partito per primo: concedere il brevetto dell’invenzione…
Un bel quadro e un bel quadriglione, certo. La danza del potere che t’arreda tutta la casa per le feste. Il bue e l’asinello Salvini, la pecorina deigli obbligazionisti derubati dei quattrini, la mucca e il suo vitello, maria e… cazzo, il bambinello! Momenti ce lo scordavamo. Fortuna che c’ha pensato Bertone. Al Bambin Gesù, e anche a tutti gli altri bambini che non ci sono più: morti di malattia, mentre lui coi soldi del loro ospedale ci si faceva un attico che manco un boss di Scampia. Del resto, o di campane o di Campania, alla fine sono sempre don che per dindi fanno dan… Quadri tappeti e dipinti per il soggiorno del cardinale, mentre mio figlio soffre in un corridoio d’ospedale. Il bambino al centro di una rappresentazione dell’infamità, più che della natività. Altroché paura dei pazzi dell’Isis: forse è per pura repulsione di questi pezzi di merda e di collezione De Pisis, se all’apertura della porta santa c’era meno gente che alla chiusura di un concerto di Valerio Scanu…
Altroché Natale di Crisis, natali di una crisi. Morale e materiale, senza fine: e col solo scopo di lucrare sulla paura; morale e umorale, senza senso pietà e decenza. Al punto che il ministro danese Inger Stojberg ha potuto impunemente proporre ai profughi di pagare anche con gioielli e averi di famiglia la loro accoglienza nel suo paese: per rilanciare l’ideona delle camere a gas, la simpatica signora aspetta l’invito nella stanza degli orrori e delle arie di Del Debbio… Nell’attesa di Retequattro, signora ministro, si becchi quattro svastiche piene sul nostro Nazi-advisor. E si accomodi pure nel presepe precomatoso e malvivente con Salvini. E con i nostri complimenti e auguri.

Auguri di buon Natale di scemi di guerra fra poveri. Poveri di soldi contro poveri di solidi principi e di qualche minimo scrupolo. Da progressisti, noi del Papaluto vorremmo che la storia fosse una linea retta: ma ci sembra sempre più un cerchio, un circolo vizioso che retta ne dà solo al peggio dentro di noi. Siamo senza pietà, ma in compenso ne facciamo tantissima agli altri, e mai a noi stessi. Non ci facciamo problemi, a non farci pietà: a disfarci della poca umanità che abbiamo. Ogni volta che è successo, siamo finiti preda di qualche ossesso coi baffetti o i baffoni osannato da sanguinari coglioni. Qui dal Papaluto noi speriamo bene, e spariamo cazzate mica tanto. L’Occidente laico e aperto e tollerante sta chiudendo di nuovo la testa e le frontiere: l’ultimo che fanno entrare spenga la luce. Anzi no, col buio da pestaggi che c’è meglio ne accenda una. Persino di Natale: purché di speranza, perché la disperanza non vinca. E l’arroganza oscurantista non trionfi, come ci sembra farà. Tanti auguri a voi, e a noi, di buone feste. E di cattivo pronostico.